Il fatto non sussiste: ieri sera con la formula più ampia i giudici della seconda sezione del tribunale di Palermo hanno assolto Matteo Salvini nel processo Open Arms. L’allora ministro dell’Interno non ha commesso i reati di sequestro di persona e di rifiuto d’atti d’ufficio quando nel 2019 impedì l’ingresso nelle acque italiane della nave che a bordo aveva 147 persone soccorse dalla Ong spagnola nel Mediterraneo. Il leader leghista rischiava 6 anni di carcere: questa la richiesta della procura siciliana, travolta da una valanga di insulti sui social dopo la diffusione della sentenza.



L’assoluzione è una “buona notizia”: a dirlo, sorprendentemente, è il segretario generale del Partito democratico europeo Sandro Gozi. Un oppositore di Salvini. L’argomento di Gozi è che “in Italia la democrazia funziona” in quanto la sentenza dimostra “l’indipendenza delle nostre istituzioni”. I tre giudici del tribunale di Palermo hanno tenuto lontani i sospetti che nella camera di consiglio (durata moltissimo, quasi otto ore) si prolungasse la stessa battaglia politica combattuta invece nell’aula del procedimento. Lo ha fatto intendere lo stesso guardasigilli Carlo Nordio che così ha commentato il verdetto: “Questo processo non si sarebbe nemmeno dovuto iniziare. Processi come questo, fondati sul nulla, rallentano l’amministrazione: credo sia necessaria una riflessione sul nostro sistema imperfetto”.



La sentenza, tra l’altro, giunge il giorno dopo che la Cassazione ha fatto segnare un altro punto favorevole al governo: la Corte ha infatti ristabilito l’ordine nella definizione dei “Paesi sicuri”, limitando gli ambiti nei quali il potere giudiziario potrà disapplicare la normativa. Il pronunciamento di fatto riapre le porte del centro di accoglienza realizzato dal governo Meloni in Albania. “Difendere la patria non è reato. Chi pensava di usare i migranti per fare politica ha perso e torna in Spagna con le mani in saccoccia”, è la sintesi salviniana.

Che quella di Palermo sia stata una partita politica contro Salvini lo dimostra anche il fatto che le Ong impegnate nei soccorsi in mare hanno riconfermato ieri sera che continueranno nella loro azione.  “Gli attacchi alle organizzazioni umanitarie e le politiche migratorie di esclusione – ha detto Open Arms in una nota – sono sintomi della preoccupante deriva di estrema destra che l’Europa e il mondo si trovano ad affrontare”. In realtà, l’assoluzione piena dà un via libera alla linea del governo per difendere i confini nazionali e contrastare gli sbarchi incontrollati. E dà una mano anche all’Europa, eternamente indecisa se abbracciare la linea dura nella frontiera mediterranea con il Nordafrica.



Ma il tema del rapporto tra giustizia e politica, e dei tempi della giustizia, è tutt’altro che chiuso, come dimostra il caso dell’inchiesta sui rapporti tra Matteo Renzi e la Fondazione Open. L’udienza preliminare conclusa con l’archiviazione è durata due anni e mezzo: come un processo. E nelle stesse ore in cui l’ex rottamatore lasciava l’aula di giustizia, l’ex governatore ligure Giovanni Toti, con la ratifica del patteggiamento da parte del gup, usciva da un’altra inchiesta, quella che ha terremotato la vecchia giunta regionale costringendo la Liguria alle elezioni anticipate. Toti ha concordato un patteggiamento che è poca cosa rispetto alle pesanti ipotesi accusatorie che gli erano state contestate.

Anche per questi casi si può dire che la magistratura ha al suo interno gli anticorpi per combattere le proprie frange più politicizzate. Ma un’udienza preliminare che dura oltre 30 mesi senza approdare al giudizio è una sconfitta per l’ordine giudiziario. Così come i tre anni per la sentenza di primo grado a carico di Salvini. “Bisogna ripensare ai tempi e ai modi della giustizia”, ha detto il vicepremier leghista. “Io ho le spalle larghe, anche in caso di condanna sarei andato avanti ugualmente. Ma non mi dimentico dei 30mila italiani che sono stati ingiustamente carcerati”.

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