Come era scontato, la Camera ieri sera ha respinto la mozione di sfiducia verso Matteo Salvini. Il vicepremier leghista e ministro dei Trasporti finito nel mirino delle minoranze per i rapporti di collaborazione con Russia Unita, il partito di Vladimir Putin, è stato confermato da una larga maggioranza (211 no alla mozione presentata dalle opposizioni, 129 sì e 3 astenuti). Sarà invece votata oggi la mozione di sfiducia contro il ministro del Turismo Daniela Santanchè, che in origine doveva tenersi lo stesso giorno di Salvini. Lo slittamento aiuta in realtà a distinguere le posizioni dei due ministri.
Il caso del vicepremier è in gran parte mediatico, schermaglie combattute sul piano dell’informazione ed enfatizzate alla vigilia della campagna elettorale per le Europee. La vicinanza della Lega agli ambienti putiniani è stata da tempo smentita dai fatti. Quando la Russia invase l’Ucraina, Salvini fece un impopolare blitz al confine polacco, per dire che l’“operazione militare speciale” era un grave errore. Da allora la Lega ha votato tutti i provvedimenti a favore del Paese guidato da Volodymyr Zelensky, così come tutte le misure di embargo a danno di Mosca. Di fatto, il patto con Russia Unita è sciolto. Il voto di ieri appare dunque il culmine di un processo politico che ha messo sul banco degli imputati il più esposto tra i tanti politici italiani che negli anni hanno coltivato rapporti con Putin o sottoscritto accordi economici con la Russia. Senza scomodare l’accordo Prodi-Putin sul gasdotto South Stream, poi bloccato dagli Usa, basta citare l’ex presidente del Consiglio Pd Enrico Letta e pure Carlo Calenda, ex ministro dell’Industria, il cui partito, Azione, ora è il promotore della mozione contro Salvini (primo firmatario è il capogruppo Matteo Richetti). Lo scopo è evidente: dipingere Salvini come l’unico “cattivo” della situazione, la stampella interna del nemico russo.
Diversa è la posizione della Santanchè, che si trova coinvolta in una complessa vicenda giudiziaria. L’esito del voto di stamattina sarà analogo a quello di ieri sera, ma a differenza di Salvini il cui caso è chiuso, la questione Santanchè rimarrà aperta e resta un grosso problema politico per la premier Giorgia Meloni. L’atmosfera di freddezza che predomina nel centrodestra risaltava anche dal clima che ha accompagnato ieri la discussione sulla mozione: deserto tra i banchi della maggioranza, assenti in larghissima parte i membri dell’esecutivo. A tratti a Montecitorio era presente la sola ministra Annamaria Bernini, che non è neppure di Fratelli d’Italia, il partito della Santanchè.
Dal palazzo di giustizia di Milano presto potrebbero arrivare pessime notizie per la titolare del Turismo, forse anche una richiesta di rinvio a giudizio. E se il gip la dovesse mandare a processo, sarà inevitabile il passo indietro. La linea del centrodestra rimane quella garantista, quindi oggi la Santanchè non sarà bruciata da un voto d’Aula. Ma si rafforzano le voci secondo le quali nei prossimi mesi, dopo il voto europeo, la Meloni possa procedere a un rimpasto di governo per avvicendare alcuni ministri. La Santanchè finirebbe dunque tra i giubilati ufficialmente per ragioni di opportunità, anche se il vero scopo è togliere dal tavolo una grossa grana politica.
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