Sembra l’ennesimo anatema lanciato da Salvini: sulla cannabis può cadere il governo. Non sulla vicenda Siri, né sul sospetto di collusione con la mafia, né su molte altre questioni economiche che mantengono il paese sull’orlo del precipizio. Ma sulla cannabis, Salvini non è disposto a mollare e annuncia la sua battaglia attraverso controlli a tappeto su tutti i negozi che in questi ultimi tempi hanno inondato il mercato di prodotti vari con la scusa che il Thc, il principio attivo della cannabis, ha una concentrazione minima, inferiore a quanto previsto dalla legge.



Sono tanti i prodotti naturali e biologici realizzati con materie prime derivate dalla lavorazione della pianta della canapa: alimenti bio a base di semi, farina e olio di canapa, cosmesi naturale e prodotti per la salute, borse e accessori in fibra di canapa, articoli per casa, orto e giardino, e molto altro ancora. Ormai il boom della cannabis legale, quella con un contenuto di Thc inferiore allo 0,6%, sembra inarrestabile. Un giro d’affari milionario che di recente è sbarcato anche nelle tabaccherie della capitale.



Ma è davvero tutto in regola? E i consumatori rischiano qualcosa? Tutto è iniziato con Easy Joint, una piccola azienda che vendeva in rete infiorescenze di canapa light, considerate legali perché contenenti meno dello 0,6% di Thc. Poi sono arrivati gli smartshop, i grow shop – negozi dedicati alla vendita di tutti i derivati della canapa – che hanno iniziato a spuntare come funghi su tutta la penisola. E quindi i tabaccai, in molti dei quali oggi, almeno a Roma, sono disponibili sacchettini di infiorescenze di canapa italiana, che danno l’idea di come stia cambiando l’immagine della nuova cannabis. L’unico elemento preso in considerazione per considerarla legale è la concentrazione del principio attivo, ignorando del tutto gli altri fattori che la rendono particolarmente insidiosa anche sul piano della dipendenza. Una dipendenza talmente vistosa che c’è anche chi si sta attrezzando per fornire servizi di home delivery, per portare l’erba direttamente a casa del consumatore. Un vero e proprio pony express della marijuana, per chi non riesce a farne assolutamente a meno.



La cannabis legale, insomma, dilaga: un’autentica mania che non accenna a placarsi, e che non manca di sollevare un certo numero di domande: è davvero tutto in regola? Cosa rischia il consumatore che comincia già a non poterne fare a meno e chiede un servizio a domicilio?

Il momento della svolta arriva nel 2016, con l’approvazione della legge 242, che punta a incentivare la coltivazione di canapa, con regole più semplici e flessibili, senza necessità di autorizzazione, con incentivi statali per la coltivazione e la creazione di impianti di trasformazione. La legge ha indubbiamente rilanciato la produzione italiana di canapa, ma l’effetto collaterale più vistoso è stato quello di aprire un varco alla cannabis light legale. Tra le pieghe della legge, infatti, alcuni imprenditori hanno visto immediatamente la possibilità di commercializzare liberamente le infiorescenze ottenute dalle coltivazioni legali.

Bisogna dire che, durante il dibattito che nella legislatura passata si sviluppò in Parlamento in quell’occasione, molti parlamentari fecero notare che la legge 242/2016 era mal concepita; enfatizzava l’uso della canapa per alimenti e cosmetici, semilavorati per applicazioni industriali, prodotti per la bio-edilizia, senza mai fare riferimento all’evidente rischio del suo consumo ricreativo. 

E così una legge, teoricamente pensata per regolare la coltivazione della canapa a scopo industriale, ha finito per aprire le porte alla canapa legale. Venduta come un pacchetto di caramelle o come un profumo o un deodorante ambientale, non sembra proprio una sostanza pericolosa. Ma in pochi mesi è apparso chiarissimo che il consumatore, con un’età sempre più bassa, perché non sussiste nessun obbligo di controllo, in moltissimi casi decide di fumarsela, con la giustificazione, spesso del tutto ipocrita per chi la produce, chi la vende e chi la consuma, che il contenuto di Thc è troppo basso per avere effetti apprezzabili sull’organismo.

Ma ci sono tre elementi che nella loro indiscutibile evidenza contraddicono la banalizzazione che finora si è fatta della cosiddetta cannabis a basso dosaggio: prima di tutto la logica del mercato. Le stime più recenti parlano di un giro d’affari che potrebbe raggiungere decine di milioni di euro ogni anno. E il giro di affari cresce non solo perché aumenta il numero dei consumatori, ma anche perché aumenta la quantità di prodotto consumato per ogni acquirente, che viene facilmente fidelizzato, diventando un consumatore abituale. La terza cosa interessante è la misura adottata dai tabaccai che però invita alla prudenza. I prodotti in questione riportano in bella vista la dicitura “non è un prodotto da fumo”, o similari, ma proprio questa precisazione indica il rischio riconosciuto e in un certo senso sottolineato proprio dalla scritta. La Federazione tabaccai sa perfettamente che la maggioranza delle persone che acquista il prodotto poi lo fuma; il suo timore non è tanto per la salute dei consumatori, quanto per il rischio che il Mef, attraverso l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, consideri la cannabis light una sorta di surrogato del tabacco, soggetto a specifica tassazione; ma in questo caso, trattandosi di vendita non regolamentata, ci sarebbe il rischio del ritiro della licenza per il tabaccaio.

In alcuni casi inoltre, in occasione di specifici controlli, è stato rilevato che la concentrazione di Thc è superiore alla quantità consentita, per cui ci si troverebbe davanti ad una vera e propria violazione del principio che proibisce la vendita di droghe, leggere o pesanti che siano. Ed è in questo groviglio confuso di norme che Salvini potrebbe inserirsi nella sua azione di controllo e quindi di punizione. Per la legge italiana il consumo di marijuana a scopo ricreativo è vietato ad ogni livello. Se per la coltivazione e la vendita dei prodotti derivati dalla canapa esiste una soglia di tolleranza per il contenuto in Thc che oscilla tra gli 0,2 e gli 0,6%, per il consumo non esiste un limite minimo. Fumare cannabis legale tecnicamente resta un illecito, anche se di natura amministrativa. Siamo quindi in una situazione in cui due norme differenti si sovrappongono e si contrappongono, quella che permette la compravendita dei derivati della canapa legale, e quella che vieta uso e possesso di sostanze stupefacenti. Salvini potrebbe verificare l’effettiva concentrazione del principio attivo nei negozi in vendita e intervenire con misure più o meno pesanti se non fosse così. Ma difficilmente potrebbe sanzionare una persona che, una volta comperata la cannabis in questione, ne facesse uso a casa sua. Ovviamente è ben diverso se fumasse cannabis per strada o in un luogo pubblico. L’erba legale viene venduta sigillata e se il consumatore la conserva così teoricamente non corre alcun rischio, anche se Salvini minacciasse rappresaglie di vario tipo.

Ma il danno grave è stato già fatto proprio con la legge 242, che ha volutamente ignorato questi aspetti e non ha previsto misure adeguate né sul piano delle sanzioni né sul ben più complesso piano della prevenzione e della tutela della salute. Per questo vale la pena ricordare che nella legislatura precedente il tema della liberalizzazione della cannabis è stato sempre in pole position, con un asse Pd-M5s impegnati a facilitare il consumo di cannabis ad uso ricreativo. Ma per misure di prudenza è stato possibile approvare solo quella parte della legge che riguardava la cannabis terapeutica, e che consente di prescrivere medicinali a base di cannabis per la terapia del dolore e alcuni altri impieghi limitati. La legge, sia per motivi di sicurezza che di controllo, affida la coltivazione della cannabis, la sua preparazione e la sua distribuzione allo stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze. E chiede alle Regioni di monitorare le prescrizioni.

Niente a che vedere quindi con quanto accaduto oggi nel consiglio comunale di Torino, dove su iniziativa di un consigliere Cinquestelle è stata approvato una mozione che autorizza la coltivazione della cannabis a scopo terapeutico anche su proprietà comunali, liberalizzando ulteriormente uso e consumo della cannabis e scatenando l’ira di Salvini. 

L’impressione diffusa è che sia in atto una strategia in cui la cannabis è diventata al tempo stesso un oggetto di mercato estremamente appetibile, un simbolo di libertà individuale che non riconosce limiti, e uno strumento di battaglia politica che sposta sempre più in alto il livello dei desideri dei potenziali elettori, senza mai chiedersi con quali conseguenze e ai danni di chi.