È polemica ancora una volta nel governo tra due posizioni opposte. Da una parte il ministro degli Interni Matteo Salvini che annuncia la volontà di far chiudere i quasi mille negozi dove si vende cannabis light, cioè con percentuale di Thc inferiore alle dosi “da sballo” e quindi legale, e dall’altra il ministro della Salute Giulia Grillo (M5s) che sostiene che quella che viene venduta “non è droga”. In realtà la battaglia di Salvini è cominciata dopo che in un paio di questi negozi è stata trovata in vendita anche marijuana non consentita dalla legge. Come ci spiega Alberto Gambino, giurista e professore ordinario di diritto privato e civile nell’Università Europea di Roma, Salvini ha l’autorità di far chiudere solo i negozi che non rispettano la legge o altrimenti dovrà cambiare tutto l’impianto legislativo.



Come giudica la posizione del ministro Salvini in merito alla chiusura dei cannabis shop?

Il tema delle droghe leggere come quello delle dipendenze è uno dei punti di maggiore afflizione della nostra gioventù. Tutto quello che si può fare per creare una cultura di contrasto è sempre molto positivo, giudico questa presa di posizione del ministro in modo culturalmente positivo.



Però dal punto di vista della legge queste attività sono riconosciute ufficialmente.

Teniamo conto che nel giro di due, tre anni senza che nessuno lo dicesse e senza che si fosse sviluppato un dibattito pubblico si sono aperti una serie di negozietti sotto casa con il simbolo della cannabis, come dire “ragazzi ormai è legale”. Poi ci hanno spiegato che ci sono percentuali stabilite dalla legge dello stesso tenore delle camomille.

Molti esperti hanno infatti definito queste attività dei cavalli di Troia per arrivare poi alla legalizzazione completa della cannabis. È così?

L’impatto culturale infatti è stato devastante, è stato dire ai nostri giovani che con fatica cerchiamo di educare a casa che ormai lo Stato tollera la cannabis, tanto che si aprono questi negozi. Un messaggio che ritengo sia stato culturalmente devastante.



E dal punto di vista strettamente legale? I proprietari di negozi in fondo hanno la legge dalla loro parte.

Ovviamente ci sono leggi dello Stato: se questi negozi sono in regola, si possono chiudere solo quelli che non sono in regola. Altrimenti bisogna modificare la legislazione per poterli chiudere tutti. Il ministro applica la legge, credo che lui ritenga che accanto a un’offerta legale ci sia una offerta illegale. Ha tutti gli strumenti per far chiudere un esercizio commerciale fuori legge.

Che frecce hanno al loro arco i venditori di cannabis?

C’è un problema a monte su cui si dovrebbe intervenire, proprio perché questi venditori hanno la legge dalla loro parte. Se davvero questi shop hanno dei prodotti calmanti e tranquillizzanti come dicono, non possono mettere fuori in vetrina la foglia della cannabis. Qui si tratta di pubblicità ingannevole. I 5 Stelle hanno fatto una lotta sacrosanta contro la pubblicità sul gioco d’azzardo, non possono adesso dire che mettere in mostra quella foglia non sia una pubblicità deviante, proprio come quella che si faceva sul gioco d’azzardo. Stai dando il messaggio culturale che siamo in una zona franca dove può essere vendibile la cannabis.

Il fatto è che oggi è passato anche il messaggio che la cannabis è una sostanza per la cura di certe malattie, addirittura si vendono cosmetici e saponette alla marijuana…

Ma se è intesa come medicinale, allora fuori del negozio ci va la croce rossa come fanno le farmacie, non la foglia di marijuana.

Dalle reazioni che già si vedono sui social, le parole di Salvini sono intese unicamente come messaggio repressivo. È questo il rischio che si corre?

Non si scherza coi giovani, non possiamo lamentarci che ogni giorno ci siano fatti di cronaca con protagonisti minorenni che ammazzano il disabile, o il bullismo, o giovani che si buttano dalla finestra per aver abusato delle tecnologie da computer.  Diciamo invece che mettere una foglia di canapa come pubblicità è dire che in quel negozio ci stanno dentro cose da sballo. Questo non va tollerato.

(Paolo Vites)