Un omicidio assurdo, frutto questo sì, secondo l’ipotesi accusatoria, di una concezione patriarcale della famiglia: i genitori possono decidere in tutto e per tutto delle scelte di una figlia (il marito, in questo caso) fino al punto, in caso di ribellione, di toglierle la vita. La sentenza può apparire inspiegabile o comunque di difficile interpretazione: il padre (detenuto) e la madre (latitante) di Saman Abbas, presunti mandanti dell’omicidio, sono stati condannati all’ergastolo, mentre allo zio, esecutore materiale dell’omicidio, sono stati inferti “solo” 14 anni di reclusione (nonostante il pm ne avesse chiesti 30). Assolti i cugini. Ma una spiegazione c’è ed è di natura tecnica (anche se naturalmente occorrerà attendere le motivazioni della sentenza che verranno depositate entro 90 giorni).
Per tutti gli imputati sono state escluse due aggravanti: quella dei motivi futili (probabilmente si è considerato la matrice culturale in cui è maturato il delitto) e la premeditazione (si è quindi ritenuto che non ci fossero le prove che l’omicidio fosse stato programmato e organizzato da tempo, ma sia stato frutto di una scelta estemporanea). Questa importante riqualificazione del reato ha consentito allo zio di “recuperare” la diminuente di un terzo di pena concessa a chi in sede di udienza preliminare aveva chiesto di essere giudicato con il giudizio abbreviato (e cioè allo stato degli atti, senza accedere al dibattimento), richiesta che era stata respinta perché questo tipo di processo (il giudizio abbreviato, appunto) non è ammissibile se vi sono aggravanti che comportano la pena dell’ergastolo.
Cadute in giudizio le aggravanti, è stato possibile recuperare quello sconto di pena e, concesse le attenuanti generiche per il buon comportamento processuale (ha fatto ritrovare il cadavere), la pena è scesa così a 14 anni di reclusione.
Diversa la posizione del padre e della madre, per i quali l’aggravante della genitorialità consentiva, in assenza di attenuanti, la condanna all’ergastolo, pena puntualmente comminata dalla Corte di Assise di Reggio Emilia.
Questo omicidio, come anche altri fatti di cronaca recente (caso Cecchettin) stanno facendo lievitare il numero di chi si dichiara favorevole alla reintroduzione della pena di morte. Da un recente sondaggio di Affari italiani è emerso che il 42,1% degli italiani è favorevole alla pena capitale per i casi più gravi ed efferati di omicidio. Non sembra inutile ricordare che la pena di morte è stata espressamente cancellata dalla nostra Costituzione, che all’art. 27 prevede anche che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non c’è quindi spazio per ritorni al passato, salvo inopportune ed improbabili modifiche della nostra legge fondamentale.
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