A tre giorni dalla prima udienza in cui ha testimoniato contro la sua famiglia, il fratello di Saman Abbas è tornato a rispondere alle domande delle parti. “Da quando è successa questa roba, ho tenuto tutto dentro di me, ogni giorno soffro e mi voglio liberare. La notte non riesco a dormire“. La “roba” è l’omicidio della sorella, la 18enne pakistana uccisa secondo i pm di Reggio Emilia dalla famiglia perché si opponeva ad un matrimonio combinato. Il ragazzo è tornato in aula ad accusare la famiglia di aver organizzato l’omicidio della sorella, mentre il padre dichiara di non averla uccisa. “In camera mia ho attaccato le foto di mia sorella e, quando le guardo sbatto la testa contro il muro. So che se adesso dico tutte le cose come stanno, mi libero un po’. Questa cosa me la porterò dietro tutta la vita, ma se c’è qualcosa che mi può aiutare è sfogarsi, parlando, dire le cose come sono andate e come è successo“.



Questo serve anche a fare giustizia per la sorella, aggiunge il giovane, che all’epoca del femminicidio aveva 16 anni. Come riportato dal Fatto Quotidiano, il racconto del ragazzo è pieno di sofferenza e disperazione. “Ho provato anche a farmi male, in comunità a Parma ho bevuto il profumo, non ce la facevo più, avevo troppe cose in testa. Non riuscivo a portare tutte le cose con me“, ha aggiunto riguardo le intercettazioni in cui nei mesi successivi alla scomparsa di Saman Abbas esprimeva l’intenzione di suicidarsi.



LA TELEFONATA TRA ZIO E PADRE E IL CLIMA IN CASA

Il fratello di Saman Abbas ha dichiarato in aula di aver seguito un percorso e di sentirsi diverso. “Io sono cresciuto in quella cultura, da piccolo i miei genitori mi hanno insegnato che non si poteva fare amicizia con le ragazze, era vietato, e per questo ho mandato la foto del bacio di Saman ai miei parenti. In quel momento avevo la loro stessa mentalità, per me era una cosa sbagliata“. Ma ora le cose sono cambiate, da quando è in comunità. “Mi sento anche di essere italiano. Per come penso ora, hanno fatto una cosa sbagliatissima“. Nel corso dell’udienza si è parlato anche di una telefonata tra lo zio e il padre di Saman dopo una perquisizione, col sequestro dei telefoni. “Mio zio disse: ‘adesso noi scappiamo, perché ci hanno preso i telefoni, si sono accorti’. Ma papà disse: ‘dovete stare lì, perché altrimenti penseranno che è davvero successo qualcosa’. Ma mio zio rispose: ‘Non possiamo stare qui, tu sei scappato in Pakistan, non hai problemi. Se prendono qualcuno, prendono noi’“. A quel punto, il fratello di Saman partì con lo zio.



Durante il viaggio ritrovò i due cugini, che riuscirono a scappare con lo zio, per poi essere arrestati tra Francia e Spagna. Invece, il ragazzo fu portato in Questura e poi trasferito in una comunità. Il 18enne ha ricostruito anche il clima di paura in casa. “C’è stato un periodo in cui mio padre si ubriacava e picchiava, ci cacciava fuori da casa. Passavamo le notti al freddo. Una sera, mi ricordo benissimo siamo stati in una serra, faceva tanto freddo. Poi siamo andati in un capannone, io mia mamma e mia sorella, siamo stati chiusi dentro una macchina, mia madre usò il velo per coprire me e mio fratello, avvenne un pò di notti“. Nel corso della sua testimonianza, il fratello di Saman ha evidenziato le differenze tra lui e sua sorella: “Mia sorella diceva le cose in faccia a papà, io invece ho sempre avuto paura e non sono mai riuscito. Ci sono stati molti episodi in cui papà picchiava la mamma, da quando siamo in Italia succedeva quasi sempre“.

IN AULA ANCHE IL PADRE DI SAMAN ABBAS

In aula anche Shabbar Abbas, le cui parole sono state riportate dagli avvocati difensori Enrico Della Capanna e Simone Servillo all’AdnKronos durante una pausa dell’udienza nel processo per l’omicidio di Saman. “Non ho ucciso mia figlia, non ho mai voluto ucciderla. Ma di una cosa sono sicuro, l’omicidio è avvenuto in ambito familiare“. Della Capanna si è detto convinto, pur precisando di non essere detentore della verità assoluta, che la morte della ragazza “sia stata un incidente“. Inoltre, ha parlato all’agenzia di stampa di “indagini portate avanti in maniera pessima, hanno sempre insistito su una e una sola ipotesi, affievolendo le altre. Eppure sono diverse le alternative possibili nella dinamica dei fatti“. Il legale ha aggiunto: “Sappiamo che Saman quella sera uscì di casa vestita con jeans e scarpe ben allacciate per andare via, chissà dove. È probabile che si sia riparata in casa di qualcuno, un parente certo, che si sia messa comoda e lì, magari al culmine di una lite, sia stata uccisa. Vero è che, nella fossa nella quale è stata trovata, non aveva né le scarpe né i calzini che calzava la sera in cui è fuggita. Oppure, altra ipotesi, è che un parente l’abbia afferrata di forza per bloccarla, per non farla andar via, e nel farlo le abbia spezzato l’osso del collo“.

Riguardo la fossa, c’è un’ipotesi secondo cui sia stata scavata in più giorni. “È stata scavata il primo maggio. Ci avranno messo un’ora, non di più“, ha spiegato l’avvocato Servillo. Della Capanna ha contestato anche un passaggio della testimonianza del fratello della vittima: “Ha detto di aver visto dall’uscio di casa lo zio Danish prendere per il collo Saman e portarla nelle serre. Io martedì sera, terminata la scorsa udienza, sono andato coi miei due collaboratori, nel punto in cui il ragazzo dice di aver visto la scena. La luce di cui parla è a distanza di oltre 200 metri e la luna, che a novembre ha la stessa luminosità che ha a maggio, non mi rendeva minimamente riconoscibile ai miei due soci. Nonostante io abbia la pelle bianca“. Infine, sul rapporto di Shabbar Abbas con la figlia Saman: “Voleva bene a Saman. Al di là di quanto si è detto, c’è una foto che più di tutto lo racconta. Shabbar e sua figlia abbracciati sul letto, è stata scattata il 20 aprile, dopo la comunità. Ma soprattutto 10 giorni prima che di lei si perdessero le tracce“.