Dopo circa quattro mesi la Corte di Assiste di Reggio Emilia ha pubblicato le motivazioni della sentenza impartita a Abbas Shabbar, Shaheen Nazia e Danish Hasnain, rispettivamente padre, madre e zio della 18enne Saman Abbas, uccisa esattamente (era la notte tra il 30 aprile e il 1 maggio) 3 anni in quel di Novellara. Il processo è stato uno dei più discussi, sia perché inizialmente si credeva che la morte fosse legata al rifiuto della ragazza di contrarre nozze combinate (da tradizione islamica), sia perché dopo il ritrovamento del corpo senza vita di Saman Abbas entrambi i genitori sono ‘scappati’ in Pakistan, aprendo ad una lunga stagione di richieste di estrazione.



Lasciando da parte la ormai nota cronaca di quell’omicidio, a processo ci sono finiti proprio i genitori della 18enne e lo zio, ritenuti tutti a vario titolo organizzatori del reato, mentre solo Shabbar e Nazia si possono ritenere (secondo la corte) responsabili materiali dell’omicidio. I genitori di Saman Abbas sono finiti all’ergastolo, mentre lo zio è stato condannato a 14 anni di reclusione perché (scrivono i giudici citati da diversi quotidiani) “può dirsi indiziariamente accertata la comune volontà degli imputati di commettere l’omicidio”.



Le motivazioni della condanna per i genitori di Saman Abbas: “La madre potrebbe essere l’esecutrice materiale dell’omicidio”

Nelle lunghe (oltre 600 pagine) motivazioni dei giudici si parte da un fatto che la Corte si ritiene “tenuta a rilevare”: durante l’istruttoria e il processo, infatti, si è chiarito che “Saman Abbas non è stata uccisa per essersi opposta a un matrimonio combinato o forzato”. Le motivazioni del reato, differentemente, sono da ricercare “all’epilogo ultimo della vicenda” nata da un litigio (l’ultimo) tra genitori e figlia per lo stile di vita che aveva scelto di seguire e, soprattutto, per “la relazione con Saqib” che, nonostante la loro opposizione, proseguiva, al punto che Saman Abbas stava “progettando di fuggire nuovamente, scoperta che poi condurrà alla discussione finale”.



Una sottigliezza che, specifica ancora la Corte, “nulla toglie e nulla aggiunge alla gravità del fatto”, con i due imputati che “hanno letteralmente accompagnato la figlia a morire“, telefonando allo zio Danish nel momento in cui, in quel 30 aprile, hanno accompagnato la ragazza sull’ultimo luogo in cui è rimasta in vita. Secondo i giudici, inoltre, entrambi gli imputati erano presenti “sul luogo del delitto” e avrebbero “fornito un apporto comprovato alla realizzazione dell’evento”.

In quel casolare (come dimostrano le telecamere) i genitori di Saman Abbas sono apparsi “eloquenti ed espressivi” nelle loro movenze: la madre che ha bloccato il marito per precederlo sulla carraia “per quel minuto che non consente di escludere sia stata lei l’esecutrice materiale“; mentre il padre “resta ad osservare, senza far nulla” dimostrando secondo la Corte “la sua adesione psicologica piena al fatto”.