Saman Abbas è la vittima “sbagliata” per tanti: per chi non vuole vedere che esistono ancora oggi nel 2021 ragazze obbligate a seguire i dettami para-religiosi delle famiglia, per chi rifiuta di vedere nella radicalizzazione dell’Islam un problema di tutti, per chi considera il problema della violenza “di genere” solo a targhe alterne e con vittime più vittime di altri. È durissimo il monito lanciato ieri sul Foglio da Hamed Abdel-Samad, politologo egiziano che vive da anni in Germania sotto scorta per le sue critiche all’Islam radicale, sulla storia della povera ragazza 18enne fatta sparire molto probabilmente dalla famiglia dopo il suo “niet” alle nozze combinate e ai modi di di vivere secondo i dettami del Corano.
«Se lasci l’islam sei morto», ha detto il fratello di Saman Abbas poco prima che lei sparisse ormai un mese fa nelle campagne di Novellara (Reggio Emilia): mentre le ricerche del suo corpo proseguono, lo scontro mediatico e politico sull’ennesimo caso di ragazza “controllata” dalla famiglia islamista non può non far discutere: il pudore iniziale dei media (ora finalmente se ne parla, a ragione) nel trattare il caso, l’ancora presente ritrosia nel voler usare parole come “Islam”, “Sharia” sostituiti piuttosto con i più “corretti” attualmente – “femminicidio” o “violenza domestica” – sono problemi che non possono non essere affrontati e si vuole capire a fondo cosa possa essere successo alla povera Saman.
IL TERRORE E L’ISLAM
Abbandonata da quell’Occidente per cui lei si sentiva parte tanto da sfidare l’odio dei genitori e dello zio nel suo volersi “conformare” ai valori italiani piuttosto che a quelli pachistani: «Saman Abbas è il razzismo delle basse aspettative», spiega il politologo protetto dalla Germania, in viaggio solo con scorta e senza lasciare tracce dei suoi spostamenti. «Mi aspetto che i padri italiani diano la libertà alle figlie. Mi aspetto che le ragazze tedesche abbandonino la casa materna quando vogliono. Ma tutto questo non dagli immigrati. C’è una gerarchia delle vittime nel nuovo antirazzismo. La violenza viene sempre dai bianchi. Se gli immigrati sono vittime del razzismo bianco, i media ci saltano sopra e la rendono virale. E non importa che in Pakistan accadano ogni giorno queste cose», attacca ferocemente Abdel-Samad. Il concetto di anti-razzismo, prosegue lo studioso, è priorità di un certo anti-occidentalismo in quanto la narrativa attuale è che solo l’uomo bianco è il vero colpevole e violento “perpetratore”: «le minoranze sono solo vittime», ribadisce Abdel-Samad, e per questo «i media sono imbarazzati con le tante Saman Abbas. La paura della sinistra è che la destra sfrutti questi casi per motivi politici, non si deve parlare di terrorismo, di islam, di delitti d’onore, di immigrazione. ‘Non parliamone così non esistono’, pensano”. Ma si ottiene l’effetto contrario».
Ma così facendo si fa la fine della Francia che per anni ha taciuto il problema di banlieu e divisione religiosa-culturale esplosi nel terrorismo ancora oggi imperversante, e purtroppo la situazione rischia di essere simile anche in Germania, Italia e nel resto d’Europa: «Il relativismo culturale ha finito per fargli perdere il controllo […] L’illuminismo umanista ha subìto una controrivoluzione, il comunismo, l’islamismo e ora la politica dell’identità. Quest’ultima è come l’islamismo perché non vede l’individuo ma la comunità, sono entrambe dogmatiche, vogliono entrambe rieducare la società e per entrambe le emozioni sono più importanti della ragione. Se non canti sull’altare della chiesa antirazzista, sei fuori, sei fascista, sei xenofobo. Da qui il silenzio paralizzante sulle minoranze», spiega ancora perfettamente il politologo al Foglio. Un’omertà costante che non può essere catalogata come “scusante”: si tratta di ideologia ‘bella’ e ‘buona’, con la complicità di media e opinione pubblica ‘islam-friendly’. Il multiculturalismo di oggi secondo Abdel-Samad sta ormai sostituendo l’umanesimo e nel creare questa religione “politicamente corretta” di fatto ‘asfalta’ tutte le altre culture e religioni (che il più delle volte restano inerti): «Non sta bene criticare troppo. E quando lo fai diventi un razzista. Un ‘islamofobo’. E così, in nome del- la tolleranza, abbiamo consentito all’intolleranza di crescere».