Shabbar Abbas, padre di Saman accusato dell’omicidio con la moglie Nazia Shaheen e altri tre parenti (Danish Hasnain, Ikram Ijaz e Nomanulhaq Nomanulhaq), continua a lanciare accuse all’Italia. Nel mirino dell’uomo, in carcere in Pakistan in attesa di decisione del giudice di Islamabad sulla eventuale estradizione, gli inquirenti di Reggio Emilia e il fidanzato della figlia 18enne uccisa a Novellara nel 2021, Saqib, da lui indicato quale presunto autore di un “ricatto” ai danni della famiglia: secondo Shabbar, il giovane gli avrebbe chiesto 20mila euro in cambio della restituzione della figlia “viva o morta”. Affermazioni immediatamente respinte dal ragazzo e dal suo avvocato, Claudio Falleti.



Tramite il suo legale, Akhtar Mahmood, il padre di Saman continua a sostenere di essere estraneo al delitto e afferma di avere persino dubbi sul fatto che il corpo trovato sepolto nel casolare abbandonato di Novellara sia proprio della figlia. Il cadavere, però, sarebbe stato identificato grazie ad un’anomalia dentaria e non ci sono dubbi: Saman è morta. Secondo la Procura di Reggio Emilia, ad ucciderla sarebbero stati i familiari oggi imputati, organizzati secondo un piano che avrebbe previsto l’omicidio della ragazza per essersi opposta alle nozze forzate. Shabbar, riporta il settimanale Giallo, sostiene inoltre che “tutto può essere manipolato” compresi gli elementi raccolti a carico della sua famiglia: “Anche se fosse stato commesso un omicidio, non abbiamo le prove concrete di chi l’abbia uccisa. Tutto si basa sui video e le chat con il suo fidanzato“.



Shabbar Abbas “non si fida della giustizia italiana”: la versione del padre di Saman

Il padre di Saman punta il dito contro le autorità italiane. Attraverso il suo avvocato Akhtar Mahmood, Shabbar Abbas respinge le accuse di aver ucciso la figlia 18enne e di aver premeditato il piano per poi disfarsi del corpo, e lancia parole di fuoco all’indirizzo della polizia. “Shabbar non si fida della giustizia italiana – ha dichiarato il legale a Quarto Grado, farà causa al governo italiano, alla comunità italiana e a tutti quelli che sono coinvolti nell’omicidio della figlia“.



Incredibilmente, gli attacchi di Shabbar si rivolgono non solo al fidanzato della ragazza, Saqib, che per primo lanciò l’allarme sulla scomparsa di Saman portando sul tavolo degli inquirenti importantissimi elementi per arrivare alla soluzione del caso, ma anche allo Stato italiano e alla stessa comunità che accolse la ragazza dopo la sua fuga da casa, un anno prima della sparizione, perché pressata dai parenti che le avrebbero privato di vivere come voleva, “all’occidentale”, e di avere una relazione proprio con il giovane Saqib di cui era profondamente innamorata. Shabbar attende in Pakistan la decisione del giudice di Islamabad sul suo eventuale rilascio – chiesto dalla difesa – e sulla sua estradizione – chiesta dall’Italia -, mentre la moglie Nazia, madre di Saman, è ancora latitante in patria. Alla sbarra nel processo che si aperto a Reggio Emilia per il delitto, i cugini della 18enne, Ikram Ijaz e Nomanulhaq Nomanulhaq, e lo zio Danish Hasnain. Quest’ultimo, indicato dal fratello minore della ragazza quale esecutore materiale dell’omicidio, respinge le accuse e sostiene: Volevano uccidere anche me, io ero d’accordo con la relazione di mia nipote. Reciproche accuse e versioni contrastanti sulle quali si proverà a fare chiarezza nel corso del dibattimento.