Ogni vita umana merita il massimo rispetto per le sue condizioni, per le sue scelte e per le sue prospettive che rivelano una complessità nella quale si annida il mistero delle nostre speranze e delle nostre paure; delle nostre attese e dei nostri rimpianti. Ma anche l’assoluta consapevolezza che il mito dell’autonomia e dell’indipendenza assoluta debbono cedere il passo davanti alla crescente convinzione che in realtà siamo tutti interdipendenti dagli altri, a cominciare dalle persone che amiamo e che ci amano. Nasciamo in una famiglia e viviamo in una famiglia, con tutta la fitta rete di legami affettivi ed effettivi che ci vincolano gli uni agli altri e condizionano le nostre vite, supportandole nei momenti di difficoltà e condividendo tutto, sia pure in modo diverso, cose belle e cose tristi; salute e malattia.



Si tratta di una premessa indispensabile per poter parlare di Samantha D’Incà, non come del nuovo caso Englaro, destinato ad analoga conclusione, ma come quello di una persona giovane, viva, anche se in stato di minima coscienza, che non ha lasciato scritto nessun testamento biologico, ma che nel ricordo dei suoi familiari, pur amando moltissimo la vita, non avrebbe mai voluto un trattamento analogo ad un vero e proprio accanimento terapeutico.

I fatti

Samantha ha 30 anni e dal 20 novembre scorso è immobile in un letto di ospedale dopo un’operazione a una gamba. Tutto comincia dopo quello che, almeno inizialmente, sembra un banale incidente. Samantha si rompe una gamba ed è necessario inserire una vite per facilitare la sua guarigione. Viene dimessa e sembra che tutto sia andato tutto bene, per cui inizia la normale riabilitazione. Ma all’improvviso la gamba si gonfia, viene condotta nuovamente in ospedale, ma i medici non sembrano attribuire una particolare gravità alla cosa e la rimandano a casa. Il giorno seguente si gonfia anche l’altra gamba; in poco tempo Samantha presenta difficoltà a respirare e un’ambulanza la riporta in ospedale, dove viene diagnosticata una grave forma di polmonite, che non ha nulla a che vedere con il Covid-19. Di lì a poco la situazione precipita e viene spostata d’urgenza all’ospedale di Treviso. In poco tempo entra in uno stato di minima coscienza. Oggi Samantha è di nuovo a Feltre, ma non a casa sua, è sempre in ospedale, dove viene alimentata tramite Peg. La famiglia di Samantha chiede per lei l’eutanasia.

La madre afferma convinta che sua figlia non avrebbe accettato questa situazione e vorrebbe che si ponesse fine alla sua vita, staccandola da ogni tipo di macchina. E suo padre, Giorgio D’Incà, come Peppino Englaro a suo tempo, è impegnato in una battaglia che consenta di andare oltre la attuale legge sulle Dat, considerandola incompleta e inadeguata. Il fratello gemello, Manuel, sostiene che sua sorella aveva espresso il desiderio che in un caso analogo fosse chi le stava vicino a decidere, ma non voleva nessuna forma di accanimento. Il giudice però, in mancanza di una dichiarazione scritta, ha disposto un nuovo tentativo di riabilitazione e quindi Samantha continua ad essere idratata e nutrita nella speranza che qualcosa possa succedere. Il legale della famiglia, interpretando i desideri dei familiari, sostiene che si possa ricostruire la volontà di Samantha anche se non è mai stata messa per iscritto. Per questo servirebbe un amministratore di sostegno, ossia una persona con compiti di assistenza e rappresentanza in ambito sanitario, anche se alla fine la decisione ultima spetterebbe sempre al giudice cautelare, come previsto dalla legge.

La legge sul Fine vita

Secondo la legge 2018 del 2017 sul Fine vita, ogni persona maggiorenne capace di intendere e di volere può esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari attraverso alcune disposizioni anticipate nel caso in cui sopraggiunga l’incapacità di autodeterminazione. Si può quindi esprimere la propria volontà in forma scritta o attraverso videoregistrazione. Nelle disposizioni è necessario indicare anche un fiduciario pronto a fare le veci del paziente e rappresentarlo davanti al medico e alle strutture sanitarie. Nonostante il fortissimo bombardamento mediatico seguito per oltre 10 anni al caso Englaro, e a pochissimi altri casi analoghi, l’ultimo dei quali è riconducibile a DJ Fabo e alla vicenda Cappato; nonostante la legge sulle Dat del 2017 fosse stata presentata come una legge di civiltà assolutamente indispensabile ad intercettare la volontà degli italiani, a dicembre del 2019, secondo un’indagine condotta a livello nazionale, meno di un italiano su dieci aveva sottoscritto le disposizioni anticipate. Certamente non per mancanza di informazione, ma per una scelta libera e personalissima.

Nel caso di Samantha, in cui non c’è nulla di scritto, perché Samantha non ha lasciato nessuna traccia scritta o videoregistrata delle sue volontà, la volontà della famiglia si scontra con la decisione del Comitato etico dell’Ulss bellunese che si è espresso contro l’attivazione del percorso di fine vita. E quindi per il giudice tutelare non ci sono gli estremi per applicare la legge 219/2017.

Il problema non riguarda solo gli aspetti normativi alla luce di cosa preveda o meno la legge attuale. Si tratta di un problema culturale molto importante e secondo Beppe Englaro, più volte interpellato anche su questo caso, certe decisioni andrebbero affrontate il prima possibile, andando fino in fondo, con idee chiare e con una traccia scritta di ciò che si vuole, per evitare queste situazioni. Come dire: fate il vostro testamento, il prima possibile, perché non sapete cosa potrà accadere e in quel momento nessuno si potrà sostituire alla vostra volontà. La legge c’è, usatela e fatela applicare.

La nostra vita è un mistero che va ben oltre la legge

Non mi sorprende che nel momento in cui viene calendarizzata nella XII Commissione della Camera dei deputati la legge sull’eutanasia, comincino ad apparire fatti di cronaca a forte impatto emotivo, che forzano l’attenzione dei parlamentari a cogliere la necessità, a volte la stessa urgenza di una legge che renda possibile passare dal testamento biologico alla morte in diretta, rimuovendo ogni possibile ostacolo, compreso quello della mancanza del testamento stesso. È una prassi che abbiamo visto applicare sistematicamente negli ultimi decenni. Se vuoi una legge cerca il caso ad hoc, oppure crea il casus belli, in modo da parlare alla parte emotivamente più coinvolgente di ognuno di noi, obbligando il parlamento a sovvertire l’ordine delle sue priorità pur di soddisfare una voce che piano piano diventa una sorta di imperativo categorico. E l’eutanasia diventa la manifestazione più naturale della pietas popolare, davanti al dolore e alla sofferenza di una famiglia, mentre in realtà resta un gesto concreto ed esplicito con cui si pone fine ad una vita umana.

In questo senso non si può non apprezzare la bella fiction della Lux, appena conclusa su Canale 5: Buongiorno Mamma, premiata da un livello di ascolti molto elevato, il top in ogni sera di trasmissione, anche se è stata proiettata cambiando fin troppo spesso il giorno della trasmissione. Evidentemente il pubblico ha voluto seguirla con determinazione e ha accettato di farsi interpellare da una vicenda vera, un fatto anche questo di cronaca, liberamente raccontato dagli sceneggiatori. Senza voler entrare nelle intricate e intriganti vicende di ogni personaggio, il filo conduttore è la presenza nel soggiorno della casa di un grande letto in cui dorme la madre, ormai da quasi 7 anni. La cosa sorprendente è che la sua presenza suggerisce, ogni giorno, ad ogni figlio, compreso il marito, un dialogo reale: ognuno si racconta alla madre, vero punto di riferimento nella vita di ognuno di loro, legati da un forte rapporto affettivo di cui il padre si fa garante con una dedizione straordinaria; senza gesti eclatanti, ma con la ricchezza delle piccole cose di ogni giorno e con la consapevolezza che trattandosi di adolescenti: due ragazze e un ragazzo, più Michele, che è il piccolo di casa. Per ognuno di loro la madre è viva; nessuno pensa a staccare nessuna spina; l’assistenza materiale richiesta dalla persona, in stato di minima coscienza anche lei, è ridotta, mentre la ricchezza di affetti che da lei emana è fonte di vita per tutti gli altri. Anche questa è una storia vera, vale la pena sottolinearlo. Certo ogni famiglia è diversa, ma ci piacerebbe pensare e ricordare a tutti che non c’è bisogno della legge sull’eutanasia e in molte occasioni ci sarebbe invece bisogno di una nuova qualità dell’assistenza domiciliare e di un supporto a queste famiglie che includa una rete di servizi adeguata alle necessità di tutti.

Buongiorno Mamma è un modo diverso di affrontare la questione; ma non è una favola; è una diversa cultura della relazione di cura in cui la Rete dei servizi del nostro Ssn deve fare un vero e proprio salto di qualità. Non si possono lasciare sole le famiglie, neppure davanti ad una decisione, pur sempre drammatica, come quella di staccare la spina. Comunque ricordo che per Eluana non c’era nessuna spina da staccare e per Samantha sembra che si tratti pur sempre solo di Peg, ossia della nutrizione e idratazione di cui anche noi abbiamo bisogno ogni giorno.

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