Non si è ancora conclusa – e probabilmente mai lo farà – la storia di Sammy Basso che un paio di giorni fa (esattamente lunedì 7 ottobre) è morto all’età di appena 28 anni a causa di un malore che si è rivelato fatale e che nulla avrebbe avuto a che fare con il ‘mostro’ contro cui combatteva da tutta la vita; ovvero quella diagnosi di progeria ricevuta in tenerissima età e che ha affrontato – fino all’ultimo, ed anche oltre – come un vero e proprio avversario da sconfiggere grazie alla ricerca scientifica, sempre con il sorriso sul volto.
Proprio per dar seguito al suo amore per la scienza e alla ricerca sulla progeria che ha stimolato anche grazie alla onlus fondata con i suoi genitori, Sammy Basso ha disposto come ultimissimo atto di donare il suo corpo alla scienza: nei prossimi giorni (infatti) un team di ricercatori – probabilmente dell’Università di Padova che da sempre lo seguiva – svolgerà alcuni esami sul corpo, prelevando tessuti e raccogliendo dati che potrebbero rivelarsi fondamentali per trovare una cura (o, quanto meno, una nuova terapia efficace) per la progeria.
Il dottore De Caro: “Grazie a Sammy Basso potremo trovare una cura alla progeria”
Si dice pronto ad accogliere il corpo di Sammy Basso il referente del Centro di donazione del corpo dell’Università padovana Raffaele De Caro che ricorda come gli uffici e le aule dell’ateneo di Padova fossero una sorta di “seconda casa” per il 28enne che proprio lì ha conseguito entrambe le sue lauree dimostrando “uno degli migliori studenti” della storia dell’Università con una vera e sincera “passione per la scienza” che unita alle sue “capacità comunicative” e al suo instancabile “entusiasmo” hanno reso “i seminari in cui ha insegnato” dei veri e propri appuntamenti unici per tutti gli studenti.
D’altro canto, lo stesso De Caro ci tiene anche a ricordare le “conclusioni importanti” – ribattute su numerose riviste internazionali e da centinaia di colleghi ricercatori – a cui sono giunti gli studi di Sammy Basso: “Ha lasciato il segno – conclude – e indicato la strada” per arrivare veramente (ed ovviamente in futuro) ad una “cura” contro quella patologia che oggi si stima affligga circa 150 bambini in tutto il mondo.