IL SINDACO DI CECINA SAMUELE LIPPI NON SI DIMETTE: “NON È REATO FARSI DI COCAINA”

Samuele Lippi non ha intenzione di dimettersi da sindaco di Cecina nonostante sia da qualche giorno nell’occhio del ciclone nazionale per essere stato trovato con dose minima di cocaina in macchina (ma comunque tale da far scattare segnalazione alla prefettura e ritiro della patente). Dopo qualche ora di riflessione e di silenzio stampa, il sindaco Lippi ha spiegato di essere stato fermato in auto lunedì scorso da una pattuglia dei carabinieri nella zona di Riparbella a pochi chilometri da Cecina, ma in provincia di Pisa: il controllo di ordinaria routine ha però trovato il possesso di una piccola quantità di cocaina nell’auto del sindaco Pd.



Essendo una quantità piccola di cocaina che rientra nella casistica dell’uso personale, non ci sono profili di rilevanza penale: nessuna denuncia o illeciti, solo la rilevanza etica per un uomo rappresentante delle istituzioni. La prima dichiarazione ufficiale lo ha visto chiedere scusa ai cittadini: «Sono inciampato, ma voglio rialzarmi e con coraggio ho deciso di intraprendere un percorso che mi permetta di prendermi cura di me. Voglio e devo farlo non solo per me, ma anzitutto per i miei familiari, per coloro che condividono l’impegno di governo della città, per le forze politiche che lo sostengono, per rispetto di tutto il consiglio comunale e non per ultimo, verso tutti i cittadini di Cecina». Oggi intervistato dal “Corriere della Sera” Samuele Lippi sottolinea, al di là dell’errore suo personale, che consumare cocaina in Italia non è un reato e che per questo non ha intenzione di dimettersi.



FIDUCIA PD AL SINDACO DI CECINA: “CON LUI”, SUL CASO MORISI PERÒ SI CHIESERO SUBITO LE DIMISSIONI

«A fine estate tornerò in Comune, con più entusiasmo, con più forza di prima», spiega il sindaco di Cecina al “CorSera”, «assolutamente però non mi dimetto. Non ho commesso reati, la legge consente il possesso di un modico quantitativo di stupefacenti per uso personale. Non sono un tossicodipendente, non ho dipendenza». La droga, aggiunge ancora Samuele Lippi, «l’assumevo quando ero sotto stress, al massimo una, due volte la settimana. Ho iniziato qualche anno fa e ho sbagliato, ma l’uso limitato dello stupefacente non ha mai compromesso le mie facoltà intellettive e non sono mai stato schiavo delle sostanze. Sono un uomo libero, come lo sono sempre stato in politica».



Lippi ancora sottolinea di aver sbagliato a prendere piccole quantità di cocaina «per superare momenti di straordinario lavoro, ma non sono e non sono mai stato schiavo della droga», e conclude «Sono anni che assumo sporadicamente modiche quantità di stupefacenti e tutti mi riconoscono di aver governato bene. Nonostante questo, ho deciso di non usare più sostanze. Senza di me Cecina sarebbe seriamente danneggiata». Il sindaco fa riferimento al fatto che il municipio sarebbe commissariato nel caso di dimissioni e «rischieremmo di perdere i soldi del Pnrr e di mandare in fumo progetti importantissimi come il porto». Attestati di stima e vicinanza gli sono stati tributati dal Partito Democratico cittadino e regionale, facendo sapere che il gruppo in Comune «non sfiducerà il sindaco Lippi». Come spesso accade però in politica, il combinato disposto di garantismo sui casi che coinvolgono i propri esponenti funziona alla perfezione; funziona molto meno quando dentro al medesimo errore/reato/sbaglio etc. ci finiscono esponenti di opposte fazioni politiche. Solo nell’ottobre 2021 il caso di Luca Morisi, dimessosi da responsabile della comunicazione della Lega in merito a vicende di droga (era anche stato indagato ma poi del tutto assolto quando ormai la reputazione personale era stata compromessa dal “circo mediatico”), vedeva la netta condanna da parte del Pd, con richiesta di dimissioni sue e pure del suo leader di riferimento, Matteo SalvinI: «Morisi è stato un uomo di potere, un cardine della Lega di Salvini, dal Viminale ha guidato una macchina responsabile del linguaggio di odio che si è riversato sul Paese. E del dolore inflitto a chiunque finisse sotto la sua Bestia», attaccava l’allora vicesegretario Pd Giuseppe Provenzano.