Le celebrazioni per gli ottocento anni dalla morte di san Francesco sono l’occasione per approfondire una figura dal fascino straordinario. Benché studiato da otto secoli, il santo di Assisi rimane un segreto, “un mistero continuamente sorgente” – ha detto Davide Rondoni, presidente del comitato nazionale per la celebrazione dell’ottavo centenario. E ha aggiunto: “Le figure carismatiche sorgono misteriosamente e sono inesauribili; le devi continuare a raccontare. Non c’è un altro modo per affrontarle, le devi continuare a imparare e a raccontare”.
Ad Assisi, nella Basilica superiore di San Francesco, un affresco ricorda il momento in cui il santo “rinuncia ai beni terreni”. È la quinta delle ventotto scene rappresentate nel ciclo pittorico attribuito a Giotto, sulla base della Leggenda maggiore di san Bonaventura. L’affresco ci pone davanti a un dramma; non ce lo spiega, semplicemente ce lo mette davanti agli occhi.
Corre l’anno del Signore 1206. Francesco è stato trascinato al cospetto del vescovo come di fronte a un giudice: la piazza è divenuta un’aula di tribunale e suo padre, Pietro di Bernardone, chiede giustizia perché si ritiene vittima di un duplice furto. Vuole che gli sia restituito il denaro del quale si è impossessato il figlio e soprattutto vuole riprendersi il figlio stesso, perché conduca una vita normale, basata sulla ricerca del successo e delle comodità.
Alla presenza di illustri personaggi della città, Francesco agisce senza esitazioni: “Non aspetta né fa parole; ma immediatamente depone tutti i vestiti e li restituisce al padre. Poi, inebriato da un ammirabile fervore di spirito, depone anche le mutande e si denuda totalmente davanti a tutti”. Quindi, con le mani giunte, dice a Pietro: “Finora ho chiamato te, mio padre sulla terra; d’ora in poi posso dire con sicurezza: Padre nostro, che sei nei cieli, perché in Lui ho riposto ogni mio tesoro e ho collocato tutta la mia fiducia e la mia speranza” (Fonti Francescane 1043). Ha deciso nel suo cuore il santo viaggio.
Pietro è rabbioso. Ha raccolto in fretta il denaro e i vestiti lasciati cadere dal figlio, e gli darebbe senz’altro un ceffone se non fosse trattenuto da un uomo che gli sta alle spalle. Amici e familiari sono raccolti intorno a lui, forse per esprimergli solidarietà; il vescovo invece sta vicino a Francesco e lo copre col suo mantello. Il giovane, seminudo, ritto di fronte al padre, ha lo sguardo e le mani rivolti verso il cielo, squarciato dalla mano benedicente di Dio.
Recentemente, visitando Assisi, mi sono fermato di fronte a questa scena che pure ho visto molte volte. Mi sono chiesto perché Francesco abbia compiuto un gesto tanto radicale, che ha sconvolto del tutto la sua vita. Se voleva essere un uomo di Chiesa, non sarebbe bastato entrare in qualche ordine religioso esistente?
Per provare almeno un po’ a capire, occorre fare un passo indietro. Quattro anni prima Francesco era un ventenne pieno di energie e di entusiasmo che sognava di compiere grandi imprese militari. Insieme al suo gruppo di amici scorrazzava per la città cantando l’amor cortese e le gesta cavalleresche. Gli abitanti di Assisi lo conoscevano bene, per il suo alto tenore di vita, per i vestiti colorati e alla moda, per la simpatia, la generosità, l’affabilità. Conoscevano anche il suo desiderio di diventare un cavaliere: nel 1202, quando il campanone della cattedrale chiamò i cittadini alla guerra contro Perugia, nessuno si stupì vedendolo partire.
L’avventura – lo sappiamo – finì presto e male, perché Francesco “fu catturato con molti suoi concittadini e condotto prigioniero a Perugia” (FF 1398). Rimase in carcere un anno intero e quando rientrò ad Assisi era molto malato. Non era più il ragazzo di prima, la malattia aveva cominciato “a cambiare il suo mondo interiore” (FF 323). L’impeto giovanile, tuttavia, prevalse ancora. Recuperate le forze partì, questa volta verso le Puglie, unendosi alla spedizione militare di un nobile assisiate. Ma giunto a Spoleto tornò a sentirsi debole. Mentre riposava, nel dormiveglia intese una voce che lo interrogò su dove fosse diretto e poi lo invitò a tornare nella sua città natale, per mettersi al servizio di un vero re. Così Francesco rinunciò alla spedizione: non aveva più velleità di diventare cavaliere, “solo bramava di conformarsi al volere divino” (FF 1401).
Qualche giorno più tardi, camminando per la campagna, s’imbatté in un lebbroso. A differenza di quanto avrebbe fatto tempo prima, vinse il senso di disgusto, gli andò incontro e lo abbracciò, offrendogli il denaro che aveva con sé. Qualcosa di profondo si stava verificando in lui; forse presagiva che la sua vita doveva radicalmente cambiare. L’evento decisivo accadde nella chiesetta di San Damiano. Mentre pregava, dal crocifisso dipinto sentì provenire una voce: “Francesco, va’ e ripara la mia chiesa che è tutta in rovina” (FF 1038). Credette di capire. Corse alla bottega di famiglia, caricò di stoffe il cavallo, galoppò fino a Foligno e vendette tutto ciò che aveva. Anche il cavallo. Col ricavato intendeva comprare pietre, calce e sabbia per restaurare la chiesetta cadente di San Damiano. Era contento, perché le sue giornate avevano finalmente acquistato uno scopo.
Pietro di Bernardone andò su tutte le furie e appena ebbe l’occasione, assalì il figlio con insulti e bastonate, incapace di comprendere perché si riducesse a vivere come uno straccione. Lui stesso lo aveva educato a godersi la vita; non per niente aveva voluto chiamarlo Francesco, cioè “francesino”, quando il nome di battesimo era Giovanni. Forse la prigione e la malattia lo avevano fatto impazzire? Poiché Francesco non intendeva ragioni, decise di denunciarlo alle autorità ecclesiastiche.
Giungiamo così alla scena raffigurata da Giotto (nome che riassume i pittori di Assisi). Non si può non pensare all’inizio della vita pubblica di Gesù. Il Vangelo racconta che il Maestro, dopo essere stato battezzato, vide aprirsi i cieli, mentre una voce diceva: “Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto”. Anche per Francesco il cielo si dischiude e la benedizione del Signore scende su di lui. Egli crede all’amore di Dio e non intende seguire progetti personali, ma solo conformarsi alla Sua volontà. Sembra ripetere le parole di Giobbe: “Nudo uscii dal seno di mia madre, nudo vi ritornerò”.
Comincia per lui, e in un certo senso per il mondo, una nuova vita; Francesco è in qualche modo il primo uomo della storia. A differenza di Adamo, che si nascose, egli non ha paura di mostrarsi nudo di fronte a Dio: sa che il giardino dell’Eden è stato aperto dalla croce di Cristo e non esita a entrarvi con fiducia e umiltà. Vive nei luoghi di prima, ma con la coscienza che l’universo è stato salvato. Lo si capisce dal Cantico di frate sole, scritto al crepuscolo della sua vita, in cui considera tutte le creature come fratelli e sorelle, compresa “sora nostra morte corporale” (FF 263). Il creato è redento dall’amore di Gesù e Francesco già vede la fraternità preannunziata dal profeta Isaia: “Il lupo dimorerà insieme con l’agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un fanciullo li guiderà”.
Per Francesco il valore della vita non sta in ciò che si possiede, bensì in una “gratitudine e sublime dipendenza” (G.K. Chesterton). Con lo sguardo e le mani tesi verso il cielo, egli “propone a tutti un unico modello, il Cristo; un unico programma, seguire nudo il Cristo nudo” (J. Le Goff). Il santo di Assisi ha capito che la consistenza dell’uomo sta solo in Dio. Per questo ha lasciato la vita comoda e festaiola e ha deciso di vivere come Suo figlio, come il Gesù sofferente che gli ha parlato a San Damiano: “Da quel momento [infatti] il suo cuore fu ferito e si struggeva al ricordo della passione del Signore” (FF 1412). Viene in mente quanto ha scritto Benedetto XVI nell’enciclica Deus Caritas Est: “All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva”.
Cosa è successo negli anni seguenti? “Conclusa la drammatica scena davanti al vescovo, Francesco si trovò improvvisamente solo con se stesso. Era inverno. Come gli amati cavalieri dei romanzi si gettò verso l’ignoto entrando in un bosco, cantando in francese le lodi di Dio” (C. Frugoni). Lungo il cammino, poi, durante una Messa all’udire le parole del vangelo “Non procuratevi né oro, né argento, né moneta di rame nelle vostre cinture, né bisaccia da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone” Francesco fu investito e rivestito dallo “Spirito di Cristo con tale potenza che lo trasformò in quella norma di vita, non solo in rapporto al modo di conoscere e di sentire, ma anche in rapporto al modo di vivere e di vestire” (FF 1339). Il santo di Assisi non entrò in un ordine religioso già esistente, perché – quel giorno – intravvide una strada nuova tracciata per lui dal Signore.
Con gioia, il santo di Assisi intraprese un cammino che lo condusse a un dialogo sempre più intimo col Mistero, fino all’evento impenetrabile, a noi del tutto sfuggente, in cui ricevette le stimmate. Fu la conferma della sua relazione reale (non folle) con il Signore. Sul Monte Verna, nelle notti di preghiera, Francesco domandava commosso: “Chi sei tu, o dolcissimo Iddio mio? Che sono io, vilissimo vermine e disutile servo tuo?” (FF 1915). E Dio gli rispose donandogli i segni della passione di suo Figlio, per renderlo partecipe in modo particolare del dolore della croce. Così Francesco diventò simile anche nel corpo a quel Gesù che gli aveva parlato nella chiesa san Damiano e che lo aveva riempito di fascino, attesa e indicibile speranza.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.