Il 27 febbraio si festeggia San Gabriele dell’Addolorata, all’anagrafe Francesco Possenti chiamato “Checchino” per la sua dolcezza e bontà d’animo che gli valsero l’appellativo di “Santo del sorriso“. Patrono di Civitanova Marche, Bovolente e Martin Sicuro, San Gabriele dell’Addolorata è considerato il protettore di chi lavora nella comunicazione perché incarna il simbolo dell’arcangelo che annunciò alla vergine Maria la venuta in terra di Cristo per suo tramite. Isola Gran Sasso d’Italia, dove spirò il giovane Francesco ancor prima di essere ordinato sacerdote, è sede di un convento francescano poi divenuto un santuario a lui dedicato. Lì, ogni anno, viene rievocata con solenni celebrazioni il 27 febbraio, data del suo decesso, la memoria del santo, in particolare gli ultimi giorni di sofferenza in cui non perse mai la voglia di sorridere e aiutare gli altri.
Ispirandosi a quella lezione di vita il santuario è oggi impegnato nella raccolta di fondi destinati al sostentamento dei bambini poveri di Angola e Tanzania. San Gabriele dell’Addolorata non è il solo santo ad essere celebrato il 27 febbraio. Fra gli altri si ricordano Sant’Onorina, vergine e martire, San Luca monaco del monastero del Santissimo Salvatore, Sant’Ippolito abate e San Gregorio di Narek dottore della Chiesa.
San Gabriele dell’Addolorata, la vita
San Gabriele dell’Addolorata era l’undicesimo di tredici figli nacque ad Assisi il 1° marzo 1838 e si spense nel 1862 a soli 24 anni per tubercolosi a Isola Gran Sasso d’Italia, in provincia di Teramo. Suo padre Sante fu governatore pontificio al servizio di due Papi, Gregorio XVI e Pio IX, ma la sua famiglia fu funestata da lutti e sventure, fra cui la perdita del primogenito nella prima guerra d’Indipendenza, il suicidio di un altro figlio e la morte prematura della moglie Agnese Frisciotti malata di leucemia. Solo il carattere mite e solare di Francesco lo aiutava a sopravvivere dandogli sollievo dalle disgrazie, ma quando perse anche lui si spense e finì i suoi giorni in solitudine nella sua Terni. Quel figlio tanto amato sentì presto nascere dentro di sé l’amore per la preghiera e la parola del Signore. Per quanto la sua adolescenza fosse segnata dalle passioni comuni ai ragazzi della sua età come il ballo, la caccia e i primi batticuori, il giovane capì subito che gli mancava qualcosa per essere pienamente felice.
Lasciatosi alle spalle la mondanità, con entusiasmo e coraggio abbracciò la vita religiosa come passionista, dopo una locuzione mariana ricevuta nella cattedrale di Spoleto a conferma di una vocazione pregressa e sincera. Il suo motto era “Iddìo così vuole, così voglio anch’io”. Per sua intercessione si tramandano miracoli e guarigioni, fra cui quella della santa Gemma Galgani, mistica lucchese con cui strinse un rapporto di profonda empatia e che strappò a morte certa con la sola forza della preghiera. Santificato nel 1920, la sua popolarità è testimoniata dalle migliaia di ex voto che riceve incessantemente da parte dei devoti.