Nel difficile periodo cui stiamo assistendo, con l’incombere della pandemia da coronavirus e le sue tante, troppe vittime, in Italia e nel mondo, uno dei santi da pregare per chiedere una grazia per i tanti ammalati che continuano ad aggiungersi giorno dopo giorno è certamente San Riccardo Pampuri nacque col nome di Erminio Filippo il 2 agosto del 1897 a Trivolzio, un piccolo paesino in provincia di Pavia, era il decimo degli undici figli di Innocente e Angela Campari. Rimasto orfano di madre all’età di tre anni venne affidato alle cure degli zii materni viste anche le difficoltà economiche in cui versava il padre, che morì a sua volta in un incidente stradale quando Riccardo aveva undici anni. Iniziato il ginnasio a Milano si trasferì poi a Pavia dove conseguì la maturità e dimostrò la sua abilità nelle materie scientifiche, il che fece crescere in lui la vocazione di diventare medico per aiutare a suo dire i malati e i bisognosi, così si iscrisse alla facoltà di medicina dell’Università di Pavia proprio mentre l’Italia si apprestava ad entrare nel primo conflitto mondiale. Difatti nel 1917 fu chiamato alle armi e prestò servizio come medico nel corpo di sanità. Fu a Caporetto durante la disfatta dell’esercito italiano e dove, in condizioni atmosferiche estreme che lo protessero però dal fuoco nemico, dopo la disfatta si arrischiò a recuperare quanto più possibile fosse necessario alle cure dei feriti, trasportando il suo pesante carico per più di ventiquattro ore fino a raggiungere i compagni in fuga. Questo sforzo enorme gli fruttò una licenza premio, la promozione a sergente e una medaglia di bronzo al valore, ma anche una forte pleurite che segnò per sempre la sua breve vita.



San Riccardo Pampuri, la laurea e…

Nel 1921 San Riccardo Pampuri si laureò col massimo dei voti e fu nominato medico condotto a Morimondo, piccola frazione rurale la cui popolazione era sparsa in cascinali di campagna che a bordo della bicicletta raggiungeva per curare i malati, spesso offrendo loro anche sostegno economico oltre che medico, conquistando l’affetto dell’intera comunità che lo chiamava il santo dottore. In tutto questo trovava comunque, come durante la guerra, il tempo per raccogliersi per ore in preghiera. In breve diventò un punto di riferimento dell’intera comunità, avvicinandola alla parrocchia e fondando il circolo locale di Azione Cattolica che ne diventò il centro nevralgico e per la quale Erminio si spendeva moltissimo. Nel 1927, a trent’anni, matura infine la volontà di indossare l’abito dei Fatebenefratelli, prendendo il nome di Riccardo, in memoria del suo padre spirituale. Si trasferì poi a Brescia dove lavorò nell’ospedale di Sant’Orsola, presso l’ambulatorio dentistico e dove si occupò anche della formazione degli infermieri, sempre con la consueta umiltà e devozione, che lo portavano a svolgere anche le mansioni più umili, nonostante il grande prestigio in ambito medico.



La morte e i dolori

Dopo soli due anni le sue condizioni di salute peggiorarono per il riacuirsi dei suoi problemi polmonari che sfociarono poi in tubercolosi, che lo portarono alla morte a soli trentatré anni il primo maggio del 1930, data in cui viene oggi ricordato. I suoi resti si trovano oggi nella chiesa parrocchiale del suo paese natio, dove in tanti si recavano e si recano tutt’oggi per chiedere una guarigione, e alla sua intercessione se ne attribuiscono diversi casi al punto che nel 1949 iniziò il processo di beatificazione conclusosi nel 1981 da parte di Giovanni Paolo II. L’anno successivo venne poi approvato il miracolo che lo rese santo: l’inspiegabile risanamento dell’occhio sinistro di un ragazzino spagnolo, Manuel Cifuentes Rodenas, ferito mentre lavorava nelle campagne, dopo che il padre mise tra le bende che lo coprivano un’immaginetta del futuro santo. Dal primo maggio 2019 è in corso inoltre l’anno giubilare di San Riccardo, nel cui decreto si esplica che per acquisire l’indulgenza plenaria ci si deve recare nella chiesa parrocchiale di Trivolzio dove è oggi sepolto il Santo, prendendo parte alle celebrazioni giubilari o adorandone le spoglie, ma anche gli anziani, i malati, e tutti coloro che sono impediti ad uscire di casa possono ottenere l’indulgenza unendosi spiritualmente alle celebrazioni giubilari e offrendo i propri dolori e sofferenze a Dio misericordioso.

Leggi anche

Covid, lo studio sul cervello degli adolescenti/ “In pandemia invecchiato di più quello delle ragazze”