Oggi è San Valentino, protettore degli innamorati, ma non tutti conoscono il legame tra la biografia del martire e la festa dell’amore. Il fatto è che Valentino, vescovo di Terni, morì martirizzato nel 273, fatto decapitare per essersi rifiutato di rinnegare la propria fede. Due secoli dopo, nel 496, papa Gelasio I nominò il patrono di Terni protettore degli innamorati e degli sposi. Il vescovo Valentino, infatti, superando le difficoltà e gli ostacoli di un amore nato tra persone di fedi diverse, aveva unito in matrimonio una donna cristiana, Serapia, con un legionario pagano, Sabino. Bellissimo esempio di superamento delle differenze in nome di un amore che è comunione, cammino in una stessa via anche se si proviene da strade diverse. È la storia antica – e per questo estremamente moderna – in cui l’incontro e l’amore fra persone diverse è l’occasione per riscoprire i fondamenti delle proprie convinzioni e della propria vita.



Ma c’è un altro elemento di estremo interesse in san Valentino: egli era anche considerato protettore degli epilettici. L’epilessia è una malattia nota fin dall’antichità, la cui origine era ritenuta soprannaturale. Veniva chiamata “morbo sacro” perché rendeva simile agli innamorati coloro che colpiva: cogliendo all’improvviso li rendeva capaci di azioni sorprendenti. D’altronde nella letteratura non di rado si è accomunato l’amore alla follia: con il suo “morir d’amore” era addirittura paragonata alla morte.



Ciò che è vero di questa analogia è che per amare bisogna perdere sé stessi, bisogna “perdere la vita” in termini di tempo, di apprensione, di “pensieri” per un altro in modo gratuito. Proprio per questa libertà di sacrificarsi e di donarsi, l’innamoramento non è amore. Ecco perché, in un giorno come oggi, San Valentino avrà un gran lavoro: dovrà far comprendere agli interessati l’enorme differenza che passa tra il primo e il secondo. Mentre l’innamoramento “accade e passa”, l’amore, se è scelta libera e consapevole costruita giorno per giorno, dura per tutta la vita. La differenza tra i due è stata approfondita in un magistrale saggio di K. Wojtyła del 1960, Amore e responsabilità, scritto sulla base della sua diretta esperienza di pastore. Spesso l’amore inizia con l’innamoramento ma, quando sono in continuità, è assolutamente necessario che il secondo si trasformi presto nel primo: è necessario “guarire dall’epilessia” dell’innamoramento per approdare alla salubre sponda dell’amore.



Fa male sentirselo dire ma, proprio perché l’innamoramento è qualcosa di ineluttabile che ha la forza del destino, non è libero e quindi non è amore: solo la libertà infatti è il guanto capace di contenere la propria intimità e rende possibile donarla. Non bisogna dimenticare che tecnicamente l’innamoramento non è frutto di libertà, e la mancanza di libertà rende incapaci di amare. Amare, donarsi, comunicarsi, ha bisogno della libertà, se intendiamo per essa non solo l’ovvia assenza di vincoli, ma soprattutto la capacità di essere sé stessi, cioè uomini padroni del proprio io e della propria intimità. Innamorarsi invece non dipende per nulla da sé stessi. Non si può scegliere di innamorarsi come non si può scegliere di “dis-innamorarsi”. L’amore chiede eternità e l’innamoramento non la può dare. Nessuno può dire con fondatezza che sarà innamorato per tutta la vita, come amore vorrebbe: invece può con ragione rivendicare l’impegno ad amare per sempre. San Valentino, oggi, dovrà davvero rimboccarsi le maniche.

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