La conferma delle intenzioni del Governo di promuovere una sanatoria per i lavoratori stranieri irregolarmente presenti nel territorio nazionale non sorprende affatto. Come avevamo avuto modo di evidenziare in un recente articolo dedicato al tema, da tempo era in corso un lavoro preparatorio prudenzialmente tenuto sotto traccia per via delle imminenti elezioni regionali.



Le prime indiscrezioni propendono per l’adozione di un decreto che ricalchi l’impianto della sanatoria adottata nel 2012, finalizzato a consentire il rilascio di un permesso di soggiorno per i lavoratori sulla base delle richieste dei datori di lavoro (imprese e famiglie), della dimostrazione della presenza nel territorio nazionale nel periodo precedente al varo della sanatoria, e di un rapporto di lavoro in corso con il datore richiedente. I sostenitori della proposta motivano l’iniziativa con l’esigenza di regolarizzare i rapporti di lavoro con cittadini stranieri per l’oggettiva impossibilità dei datori di lavoro di reperire manodopera disponibile nel territorio nazionale (infatti in parallelo si sta cercando di promuovere anche un ampiamento delle nuove quote di ingresso per motivi di lavoro riservate ai lavoratori stranieri) e di evitare a queste persone di essere ricattabili nel mercato del lavoro. Obiettivi ragionevoli, ammesso che il presupposto, e cioè la consistente formazione di un mercato del lavoro sommerso degli stranieri derivante dall’insufficienza di manodopera disponibile nel territorio nazionale, sia corretto.



Su questo aspetto la qualità delle analisi prodotte è alquanto blanda. Le stime circolanti a supporto della decisione sono quelle effettuate da centri di ricerca privati (Ismu e Fondazione Moressa) che evidenziano una potenziale presenza di immigrati irregolari che si è incrementata negli anni recenti per effetto delle restrizioni operate dai decreti sicurezza sul rilascio dei permessi di soggiorno per motivi umanitari, sino a raggiungere le 600 mila unità. Analisi sul mercato del lavoro? Completamente assenti. Eppure di questo si sta parlando, non della regolarizzazione della semplice condizione di residenza, in relazione al mancato rinnovo del permesso di soggiorno, alla scadenza dei visti, ovvero delle infinite condizioni che motivano la formazione del bacino degli stranieri irregolari.



Eppure i dati sulla materia, soprattutto quelli elaborati dall’Istat, sono abbondanti e disponibili. Cosa ci dicono questi dati? Sostanzialmente che non è affatto vero che la formazione del lavoro sommerso sia dovuta alla carenza di manodopera disponibile, ma, all’opposto, è da collegare all’abbondanza di manodopera disponibile soprattutto per le mansioni che richiedono competenze limitate. Secondo l’Istat (rapporto annuale 2019 sul mercato del lavoro in Italia), le persone in cerca di lavoro, e quelle inattive che si dichiarano disponibili a cercarlo a determinate condizioni, nell’ultimo decennio sono aumentate di 1,3 milioni sino a raggiugere la quota di 5,8 milioni. A questo incremento hanno concorso per circa 600 mila unità le persone di origine straniera. Il medesimo rapporto evidenzia che nonostante la crescita occupazionale, il tasso di occupazione degli immigrati residenti è diminuito del 7% e che la durata temporale dei rapporti si è ridotta notevolmente (oltre il 50% dei rapporti di lavoro attivati regolarmente ogni anno per i lavoratori stranieri riguarda contratti inferiori ai tre mesi).

Da una lettura attenta di questo rapporto, si evidenzia inoltre come tutto l’incremento degli indicatori della “precarizzazione” del mercato del lavoro (lavoro sommerso, contratti a termine e part-time) coincida con i settori che registrano una grande incidenza di manodopera straniera e coinvolga su vasta scala i lavoratori stranieri regolarmente residenti, non quelli privi di permesso di soggiorno (queste tendenze sono riscontrate anche in altre analisi svolte dell’Istat sull’andamento dei redditi e sui livelli di povertà dei nuclei composti da cittadini stranieri). In queste condizioni, un ulteriore incremento dell’offerta di lavoro straniera, con l’ausilio di nuove quote di ingresso o di sanatorie che producono lo stesso effetto, finirebbe per incentivare la crescita parallela del lavoro sommerso e per peggiorare le condizioni di occupabilità degli stessi immigrati regolarmente residenti.

E veniamo al secondo quesito: le sanatorie rappresentano davvero uno strumento di tutela per i lavoratori irregolari? La tesi corrente viene sostenuta dai proponenti con il conforto di alcune indagini, peraltro prive di adeguata documentazione, pubblicizzate dall’ex Presidente dell’Inps Boeri, che dimostrerebbero come le sanatorie per gli stranieri irregolari producano effetti positivi di lungo periodo sull’occupazione e sugli introiti fiscali e contributivi dello Stato.

Avendo svolto un ruolo diretto nella gestione della sanatoria del 2012, quella che viene presa a modello, posso confermare l’inconsistenza di questi presupposti. Nei tempi previsti dalla normativa vennero presentate 134 mila domande di regolarizzazione, tra le quali l’80% riguardante i rapporti di lavoro domestico per lavoratori maschi provenienti da comunità di origine (pakistana, egiziana, marocchina, indiana..), che non si sono mai caratterizzate nella qualità di colf e badanti (solo l’11% delle domande riguardava donne ucraine, moldave e filippine). Circa il 40% delle richieste di assunzione venne presentato da datori di lavoro stranieri delle medesime comunità di origine dei lavoratori regolarizzati: la conferma che le sanatorie generano un effetto di attrazione di nuovi immigrati assai più della regolarizzazione di quelli esistenti.

Nei dati disponibili presso l’Inps si riscontra nel 2012-2013 un aumento del numero degli iscritti presso il fondo dei lavoratori domestici, di circa 100 mila unità, prevalentemente maschi, puntualmente scomparsi nell’anno successivo. La gestione delle pratiche fu caratterizzata da numerosi interventi del ministero dell’Interno, sollecitati dalle organizzazioni della accoglienza e dai sindacati, rivolti ad annacquare i criteri di verifica dei requisiti, e da numerose indagini delle attività ispettive e giudiziarie volte ad accertare le manipolazioni illegali dei requisiti richiesti effettuate da organizzazioni che gestivano i flussi di persone dai Paesi di origine.

Del tutto superfluo evidenziare come le stime degli introiti per contributi e tasse derivanti dalle sanatorie, e in particolare quella del 2012, si siano rivelate prive di fondamento, data la provvisorietà delle iscrizioni al fondo e all’evidenza che la stragrande dei salari dichiarati per le lavoratrici/tori del settore domestico si mantiene al di sotto della no tax area.

Riflessione finale. I numeri dimostrano che nessuno dei presupposti che orientano all’introduzione di una sanatoria si dimostra fondato. Diversamente un provvedimento di questo tipo produrrebbe l’effetto di aggravare le condizioni delle persone più deboli nel mercato del lavoro, e per buona parte dei lavoratori immigrati regolarmente residenti. Che tali scelte siano pilotate da settori politici e sociali tradizionalmente sostenitori degli immigrati è abbastanza paradossale. Ma trova una spiegazione nell’identificazione delle politiche dell’immigrazione con quelle dell’accoglienza, che rappresenta un aspetto fondamentale per l’integrazione degli immigrati, ma che non può mai prescindere da quello della sostenibilità, a partire dalla realistica valutazione delle condizioni del mercato del lavoro.