Moussa Sangare, il 31enne indagato per l’omicidio di Sharon Verzeni, sarà trasferito in un altro carcere per motivi di sicurezza dopo l’aggressione con il lancio di bombolette incendiarie contro la sua cella a Bergamo. Il giovane non avrebbe fornito un movente e, secondo quanto riportato da RaiNews, agli investigatori avrebbe detto di essere stato mosso da “un istinto” che sostiene di non saper spiegare. Lo stesso che lo avrebbe spinto ad “allenarsi” a sferrare coltellate in casa usando una sagoma dalle fattezze umane.
Quella notte tra il 29 e il 30 luglio scorsi in via Castegnate, nel cuore di Terno d’Isola, avrebbe intercettato la traiettoria di Sharon Verzeni, 33 anni e un compagno con cui si sarebbe dovuta sposare il prossimo anno, e in quel momento avrebbe deciso di ucciderla. Un “bersaglio” facile dopo il tentativo di aggredire due 15enni minacciandoli con il coltello. Sangare, secondo il gip di Bergamo, avrebbe dimostrato uno “stato mentale pienamente integro” sia nelle fasi precedenti che in quelle successive al delitto quando, nel cercare di mettere in atto un depistaggio, avrebbe percorso in bicicletta strade secondarie per evitare di essere scoperto e tornare a casa come se nulla fosse successo. Avrebbe fatto lo stesso pochi giorni dopo l’uccisione della 33enne, partecipando a una grigliata con alcuni amici e sfoggiando quella che, secondo uno di loro, sarebbe stata la sua solita tranquillità.
Sangare “tranquillo” dopo l’omicidio di Sharon Verzeni: il racconto di un amico
Il gip ha disposto la custodia cautelare in carcere per Moussa Sangare, accusato di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi. Pomeriggio Cinque ha intervistato un amico del 31enne che con lui avrebbe partecipato alla grigliata con altri amici qualche giorno dopo l’omicidio di Sharon Verzeni. Dalla sua testimonianza emerge il ritratto del comportamento del giovane indagato subito dopo il delitto: “Era tranquillo come le altre volte. Niente di diverso. Ha parlato del più e del meno“.
Lo stesso ragazzo ha affermato inoltre che in alcune occasioni, Sangare avrebbe manifestato una sorta di inclinazione per il macabro parlando di “uomini invisibili, streghe che cambiavano la faccia delle persone in forme di cani“.
Sangare “a caccia di emozioni forti” e il macabro souvenir dopo l’omicidio di Sharon Verzeni
Stando a quanto trapelato sull’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip di Bergamo a carico di Sangare, di cui Ansa riporta alcuni stralci, l’omicidio di Sharon Verzeni “sembra commesso da un soggetto (…) spesso in preda alla noia”. Secondo il giudice per le indagini preliminari, all’esito della prima fase investigativa successiva all’indentificazione del 31enne quale presunto omicida, Sangare “aveva architettato come passatempo quello di lanciare coltelli a una rudimentale sagoma di cartone, con apposto alla cima un cuscino su cui era disegnato un volto umano“, assalito dalla sete di “provare realmente emozioni forti, in grado di scatenare nel suo animo quella scarica di adrenalina (…) seguita da uno stato di benessere e relax“. In sede di confessione, il giovane si sarebbe detto “pentito di aver fatto quella cosa lì” e avrebbe aggiunto una riflessione che getta un ulteriore riflesso inquietante sulla tragica fine di Sharon Verzeni: “Purtroppo è capitato. È passato un mese, piangere non posso piangere, non ti puoi buttare giù altrimenti non ti rialzi più“.
Dopo aver partecipato alla grigliata con gli amici, Moussa Sangare si sarebbe sbarazzato dell’arma del delitto, un grosso coltello da cucina, senza però gettarlo nel fiume Adda come invece avrebbe fatto con gli indumenti: lo avrebbe sepolto vicino all’argine come ricordo, una sorta di macabro souvenir per “avere memoria – queste le sue parole davanti agli inquirenti – di quello che ho fatto“. Sarebbe stata proprio la sua indicazione a farlo ritrovare durante un sopralluogo a margine del fermo.