In occasione del Meeting per l’amicizia tra i popoli (Rimini, 20-25 agosto 2024) le associazioni Medicina e Persona e Banco Farmaceutico lanciano un appello (“Per una nuova sanità”) e lo fanno con un volantino composto da tre sezioni.
Nella prima (“La vera crisi del servizio sanitario nazionale”) le due associazioni dicono in breve la loro su cosa non va nel SSN e lo dicono con tre secche osservazioni.
La prima: c’è carenza di risorse, ma soprattutto manca “quel desiderio di infinito che proprio la malattia e la morte rilanciano, nell’istante in cui lo sembrano contraddire”;
La seconda chiama in causa addirittura l’art. 32 della Costituzione laddove si dice che “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto”, ma l’appello osserva che avere messo l’accento sul “diritto alla salute” anziché sul “diritto alla tutela della salute” ha “alimentato aspettative ingannevoli e introdotto un paradigma di efficienza che prelude, quale estrema conseguenza, al rifiuto di chi, perché vecchio o disabile, è ritenuto privo di valore sociale”. E aggiunge che “la cura è una alleanza terapeutica a difesa del valore infinito della persona”, alleanza che mal si sposa con i servizi erogati “da un gestore vincolato a logiche di rendimento”;
Con la terza si critica la visione prestazionistica che ha assunto il SSN che vede da una parte il personale “assimilato a erogatore di prestazioni sanitarie” e dall’altra l’ammalato che “ha smarrito il senso del suo desiderio di cura sostituendolo con la pretesa recriminatoria della propria guarigione”.
La seconda sezione dell’appello (“Una proposta culturale. Rifondare il sistema si può. Ma per essere originali, bisogna partire dall’origine”) è il cuore concettuale del documento: è qui che vengono formulate le linee essenziali della proposta delle due associazioni per la rifondazione del SSN, a partire da quello che viene definito come un ritorno all’origine, e cioè che “la cura è una relazione con chi è infermo, è una compagnia mossa dall’amore al destino della persona” e “si è introdotta nel mondo nella forma della carità”. E quali sono gli elementi qualificanti di questo approccio?
“Porsi l’obiettivo primario di riaffermare la relazione di cura con il paziente nella gratuità della dedizione a chi ci è affidato”; “passare dalla logica della prestazione a quella della presa in carico”; “prendersi cura anche di chi cura”, ripensando alla sua formazione e ai contratti di lavoro al fine di restituirgli dignità professionale.
Tutto ciò deve poi portare a ridefinire i luoghi di cura, così che la relazione di cura sia favorita, ed a rendere il sistema resiliente affinché possa affrontare bisogni che cambiano.
Nella terza sezione (“Qualche spunto operativo. Le risorse sono poche? Servono responsabilità di governo e partecipazione solidale”) si fanno in termini generali alcune proposte operative.
“Destinare più risorse” e “ridurre gli sprechi” (in particolare per prestazioni discontinue, di per sé inappropriate ed inefficaci).
“Rivedere l’accesso alle prestazioni essenziali”, definendo ambiti di partecipazione selettiva delle fasce più abbienti (per mantenere la gratuità a quelle più svantaggiate).
“Rivedere il rapporto pubblico/privato”, in un’ottica di sussidiarietà orizzontale e secondo dinamiche di co-progettazione.
“Riconoscere come parte integrante del sistema sanitario il Terzo settore”.
L’appello è volutamente breve e sintetico (una pagina), ed anche in questo si distingue da altri formulati in precedenza (vedi, ad esempio, quello dei 14 scienziati), e proprio per questa struttura non si presenta come una articolata proposta di riforma (o, meglio, di rifondazione) del SSN ma è un invito a ripensare all’origine della cura più che all’origine del servizio sanitario nazionale, al fine di recuperare quegli atteggiamenti fondativi che avevano cercato di dare risposta a “quel bisogno espresso nel duplice volto del pauper infirmus che, malato, si impoveriva e, povero, si ammalava”.
Si tratta quindi di una proposta per la discussione rifondativa del SSN, ben sapendo che “il bisogno di salute è antico e immutato, ma i bisogni sanitari evolvono e i modelli di risposta sono inadeguati e rigidi”.
Da segnalare è anche lo slogan che chiude l’appello, secondo il quale “Tutti abbiamo da guadagnarci: far del bene fa bene anche a chi lo fa”.
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