“C’è una crepa in ogni cosa, e da lì entra la luce”. È questa iconica e famosa frase, che il cantante Leonardo Cohen ha inserito nel suo pezzo intitolato “Anthem”, il primo pensiero che mi è venuto leggendo il titolo del recente volume che L. Pesenti e G. Rovati hanno curato per la Casa Editrice Il Mulino (“Tra le crepe dell’universalismo”, 2024).
Già, piace vincere facile, dirà il solito criticone. Vero, rispondo io, ma siccome vincere facile non è un peccato, e se lo è non è di certo uno di quelli che mi spingerebbero ad andare a confessarmi (c’è ben altro di cui chiedere ammenda), proseguo sull’abbrivio del vincere facile e mi chiedo, nel caso specifico, in cosa consistono la crepa e la luce nel volume di Pesenti e Rovati.
Il libro, che oltre a quelli dei due curatori contiene contributi di altri sei autori ed una prefazione di Stefano Zamagni, parla di sanità e partendo dal presupposto che il nostro servizio sanitario nazionale (SSN) si pretende universalistico prende le mosse da una esperienza negativa che si sta allargando: l’osservazione, documentabile empiricamente ed interpretabile sociologicamente, di un fenomeno sociale “che ha a che fare con la difficoltà/incapacità del SSN di mantenere le promesse insite nell’ideale universalistico”, scrivono i curatori nella introduzione. Si tratta di un bisogno che alla luce dei principi su cui è stato costruito il SSN non ci si aspetterebbe di riscontrare ma che si ritrova quotidianamente nella esperienza di migliaia di realtà assistenziali che agiscono con logica di “non profit” nel campo del contrasto alla povertà, bisogno che si manifesta sotto forma di una domanda di cure sanitarie che non trova soddisfazione all’interno del SSN perché le cure necessitano dell’utilizzo di risorse che non sono nella disponibilità dei richiedenti essendo che si trovano in condizione di povertà assoluta o relativa.
Che ci sia bisogno di cure sanitarie non intercettate dal SSN è opinione difficile da far assimilare: non si sta facendo riferimento ai malfunzionamenti del servizio sanitario (esempio: lunghe liste di attesa) che portano i soggetti che hanno risorse a cercare a pagamento all’interno (intramoenia) o all’esterno del servizio sanitario le prestazioni ed i servizi che non si riesce a ricevere a carico del SSN, ma si parla di qualcosa che il volume chiama “povertà sanitaria”, cioè “quel particolare aspetto della povertà assoluta ed estrema che si manifesta come impossibilità di accedere, per scarsità di reddito a quella parte delle cure sanitarie che restano a carico degli indigenti a causa del mancato intervento del SSN”. A titolo di esempio il volume accenna al mancato acquisto di farmaci da banco e non solo (e quindi al ricorso a strutture del terzo settore come la Fondazione Banco Farmaceutico che raccolgono e distribuiscono gratuitamente questi farmaci), alla compartecipazione alla spesa sanitaria per quelle prestazioni e servizi per i/le quali è previsto il pagamento di un ticket o comunque un contributo economico (vedi molte delle prestazioni socio-sanitarie comprese nei LEA), oppure l’accesso a servizi che non sono ricompresi nei LEA ma che non sono superflui per quanto riguarda la tutela della salute.
Dal punto di vista del contenuto specifico il volume si articola in sei capitoli: il primo è dedicato all’universalismo in sanità, il secondo ricostruisce alcuni aspetti della storia del sistema sanitario del nostro paese a partire dall’epoca medievale, il terzo approfondisce il tema della povertà sanitaria, il quarto analizza la salute della popolazione migrante (in particolare quella irregolare), il quinto mette a fuoco il ruolo degli enti del terzo settore nell’erogazione di servizi sanitari, l’ultimo è un dialogo a più voci sui grandi nodi del sistema sanitario italiano. Dal punto di vista tecnico il terzo capitolo è il più innovativo anche per le informazioni quantitative che mette a disposizione, perché la povertà sanitaria viene analizzata con elaborazioni originali a partire dai microdati di spesa delle famiglie raccolti annualmente e resi disponibili da ISTAT (un assaggio di questi dati è già stato proposto anche da queste colonne).
La crepa (le crepe) che il volume porta alla nostra attenzione è l’incapacità di un sistema universalistico come il nostro (ma lo stesso succede per tutti i sistemi a vocazione universalistica) di mantenere “la promessa di uguaglianza e giustizia sociale” propria di questi sistemi. E’ una crepa che si manifesta nella forma di povertà sanitaria, di incapacità del SSN di farsi realmente carico della tutela della salute della parte di popolazione che si trova in condizione di povertà assoluta o relativa, di copertura imperfetta (crepe, appunto) da parte del servizio sanitario nei confronti di cittadini che per via di mancanza di reddito non riescono ad accedere a servizi e prestazioni di cui hanno bisogno.
Se queste sono le crepe su cui il libro richiama la nostra attenzione cosa è invece la luce? Premesso che è già luce avere documentato in modo chiaro la natura specifica di queste crepe, volendo utilizzare i suggerimenti che Zamagni propone nella prefazione al volume potremmo dire “che abbiamo bisogno che il principio del dono come gratuità venga restituito alla sfera pubblica, la quale non coincide con la sfera statale”, oppure, riprendendo il pensiero conclusivo riportato nella introduzione di Pesenti e Rovati, è utile che aumenti la consapevolezza sociale affinchè si accenda “un faro sulla necessità ineludibile di allargare lo spazio pubblico al contributo di realtà del terzo settore, capaci di erogare servizi a tutti gli effetti complementari ed integrativi rispetto a quelli garantiti dal SSN”.
La luce è prendere atto che è attivo un numero enorme di entità che agiscono gratuitamente per erogare attività che il SSN non riesce a (o non vuole) erogare lasciando una rilevante quota di cittadini impossibilitati ad accedere a servizi e prestazioni sanitarie e socio-sanitarie rendendo così incompleta e parziale la tutela universalistica della salute alla base del nostro SSN. Si tratta di prendere atto della presenza di questo sforzo di gratuità, di questo mondo complementare al SSN, togliendolo dall’angolo in cui oggi è relegato formalmente e riconoscendogli il contributo che dà alla tutela della salute (in particolare, ma non solo) della popolazione economicamente fragile. Occorre rendersi conto che, accanto ad un servizio sanitario nazionale che non riesce a garantire a tutti quello che la sua impostazione universalistica promette di garantire, agisce un servizio sanitario solidale che fa della carità e della gratuità (del dono, con le parole di Zamagni) il “primum movens” della propria azione: è il messaggio più importante che mi ha regalato la lettura del libro.
Concludo permettendomi un piccolo consiglio agli autori per una eventuale seconda edizione del volume, oppure per un suo seguito. Nel testo viene spesso usata l’espressione “diritto alla salute”, una espressione che suggerirei di evitare o almeno di precisare, come fa Zamagni nella prefazione. Nessuno (individuo, società, stato, …) è in grado di garantire la salute: il massimo che si può fare è quello di occuparci della sua tutela, cioè di costruire un servizio sanitario capace di lavorare al meglio nella direzione di tutelare la salute. Da questo punto di vista mi sentirei di accettare l’espressione “diritto alla salute” come forma abbreviata e gergale della più corretta “diritto alla tutela della salute”, ma visto che il risparmio linguistico è solo di due brevi parole che possono però indurre ad atteggiamenti di pretesa non giustificata e fuori luogo (la pretesa di essere guariti) tanto vale usare la forma estesa e corretta.
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