Egregio direttore,
nell’oceano di lamentele che sta investendo il nostro Servizio sanitario nazionale (ma non sembra che all’estero, vedi Gran Bretagna e Germania tanto per citarne due, siano tutte rose e fiori) c’è anche qualche notizia contro corrente. È il caso della Lombardia e la notizia riguarda il tema della apertura delle case di comunità previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR).
Il contesto generale delle notizie disponibili relative all’applicazione complessiva del PNRR nel nostro Paese sembrano indicare da una parte il ridimensionamento numerico degli interventi strutturali da implementare (meno case di comunità e ospedali di comunità) e dall’altra un ritardo realizzativo nei tempi di apertura delle strutture previste, oltre alle difficoltà di acquisizione del personale che deve far funzionare le strutture. È proprio di questi giorni l’analisi dell’Ufficio parlamentare di bilancio secondo il quale la Missione salute del Piano (Missione 6) è quella che ha speso fino ad ora la percentuale minore del budget disponibile. Lasciamo da parte la domanda se le proposte contenute nel PNRR rappresentino una adeguata risposta alle esigenze della sanità territoriale, cioè se case e ospedali di comunità siano la modalità necessaria con cui affrontare il tanto reclamato tema della cronicità e della presa in carico del paziente fragile, oltre che l’alternativa al ricorso eccessivo al ricovero ospedaliero (soprattutto per alcune condizioni patologiche che possono essere trattate nel contesto territoriale) e il contributo fondamentale per la soluzione delle criticità che riguardano l’affollamento dei pronto soccorso (in particolare per ciò che concerne i cosiddetti “codici bianchi” ed anche alcuni di quelli “verdi”).
In questo contesto il fatto che la notizia positiva venga dalla Lombardia per certi versi può anche stupire, perché la regione è da molti criticata (e su questa valutazione ci sarebbe molto da dire) proprio per un approccio ritenuto non adeguato nella assistenza territoriale. Quale è la notizia? Con delibera di giunta regionale (DGR 1435 del 27 novembre 2023: “Ulteriori determinazioni in ordine all’attività dell’ospedale di comunità”) il governo lombardo ha deciso di realizzare ulteriori 11 ospedali di comunità per un totale di 220 posti letto che si andranno ad aggiungere ai 63 ospedali di comunità già previsti dal PNRR: 2 nella ATS Città Metropolitana di Milano, 3 nell’ATS Insubria (Como-Varese), 2 nell’ATS della Brianza (Monza-Lecco), 3 nell’ATS di Brescia e 1 nell’ATS di Bergamo.
Ma la buona notizia non è solo nel numero di ospedali di comunità aggiuntivi a quelli già previsti, segnale comunque positivo in ottica PNRR, bensì è nel contenuto complessivo dell’atto regionale, che oltre a prevedere le nuove strutture definisce i requisiti organizzativi, gestionali, strutturali e tecnologici specifici di esercizio e di accreditamento di queste strutture, identifica i criteri per l’accesso, la dimissione e la gestione dei pazienti negli ospedali di comunità, stabilisce le tariffe e istituisce il flusso informativo che deve rilevare le attività, e da ultimo mette a disposizione uno schema tipo per la manifestazione di interesse da parte di enti pubblici dell’area “non intercompany” (cioè enti pubblici diversi da ATS, ASST, IRCCS, come i comuni, le aziende per i servizi alla persona, …) e privati interessati alla gestione e contrattualizzazione di posti letto di ospedali di comunità.
Sono atti amministrativi, si dirà: certo, e non si vuole qui entrare nel merito data la loro specificità, ma sono atti necessari se si ritiene di mettere gambe al PNRR, e nel progettare questi atti si può indicare l’impostazione generale che si vuole dare alla implementazione del Piano. Da questo punto di vista merita una segnalazione particolare un aspetto del PNRR normalmente passato sotto silenzio ma che qui vale la pena di riprendere. Nel PNRR non è previsto il coinvolgimento dei soggetti privati, ma con questa delibera (e con altre precedenti su analogo argomento) la Regione Lombardia prende una strada diversa ed integrativa rispetto al PNRR, strada in linea con l’approccio sussidiario che ha caratterizzato in particolare le giunte Formigoni. Si apre la gestione delle strutture previste dal piano anche a soggetti sanitari e socio-sanitari, oltre ai pubblici dell’area “non intercompany”, previa manifestazione di interesse da parte di questi: il tutto, però, sotto l’ombrello della programmazione territoriale (da parte delle ATS) e ad esito del processo di accreditamento istituzionale. Quindi: non libero mercato e neppure competizione regolata, bensì collaborazione responsabile. Vedremo nei prossimi mesi/anni chi vorrà approfittare di questa opportunità.
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