Lo so che parlare oggi di Covid, ed in particolare di mortalità per Covid-19, indurrà qualcuno a prodursi in manovre scaramantiche non nominabili oppure a gesti ed espressioni di fastidio e stizza oltre a impronunciabili improperi nei confronti di chi scrive: me ne scuso in anticipo, ma la lunghezza e (soprattutto) la gravità del periodo pandemico che abbiamo vissuto (e che tecnicamente non è ancora terminato, come ci avvertono puntualmente tutti i venerdì i bollettini dell’Istituto Superiore di Sanità, anche se le notizie non sono più veicolate dai media) non può portare alla dimenticanza ed all’oblio di una stagione che ha segnato in modo molto significativo e drammatico la vita di tutto il nostro Paese ed in particolare di alcuni territori.



Lo spunto per ricordare, ripensare, valutare quello che abbiamo vissuto ce lo offre l’ISTAT, che attraverso un suo rapporto (del giugno 2024) mette a disposizione alcune informazioni sui decessi dell’anno 2021 paragonati a quelli del 2020 e alla media del biennio 2018-2019. La novità del rapporto è nella conoscenza di dettaglio delle patologie che sono attribuite ai singoli decessi, il che permette di integrare in maniera significativa e specifica tutte quelle analisi, pubblicate spesso anche su queste colonne, che appoggiandosi alla sola mortalità generale cercavano di derivarne gli effetti complessivi potenzialmente attribuibili alla presenza del virus Sars-CoV-2.



Dal rapporto apprendiamo innanzitutto che i decessi per Covid-19 (secondo le regole classificatorie delle cause di morte stabilite a livello internazionale) sono stati 78.673 nel 2020 e 63.915 nel 2021. Nel biennio in cui la pandemia ha mostrato di più la sua forza distruttiva sono stati attribuiti all’effetto diretto e specifico del virus (cioè i decessi proprio per Covid-19) 142.588 decessi. Una strage: è come avere cancellato con un colpo di spugna 15 città di 10.000 abitanti.

Se al totale dei morti del 2020 (746.324) e del 2021 (706.969) togliamo i rispettivi decessi per Covid-19 (78.673 e 63.915) si ottengono come valori assoluti 667.651 morti nel 2020 e 643.054 nel 2021, cifre che (con la dovuta prudenza con cui si devono effettuare questi confronti) sono comunque superiori alla media del biennio 2018-2019 (637.198) e che stanno ad indicare che l’azione del virus (e di ciò che si è portato dietro) non si è limitata a provocare decessi per Covid-19, ma ha causato anche decessi per altre patologie. Nel 2020 sono aumentati i decessi per patologie cardiocircolatorie (+6.000), respiratorie (+4.500), Alzheimer e demenze (+2.500), diabete (+4.000), tutte tornate a valori inferiori al 2018-2019 nell’anno 2021 ad eccezione del diabete (+3.000 nel 2021 sul 2018-2019).



Inaspettatamente, almeno rispetto alle segnalazioni che indicavano il ritardato accesso alle prestazioni o, peggio ancora, la rinuncia alle cure soprattutto per l’area oncologica, la mortalità per tumori rispetto al 2018-2019 (179.804 decessi in media) è addirittura diminuita sia nel 2020 (177.858) che nel 2021 (174.511).

In controtendenza sono le cause cosiddette “esterne” (accidenti, avvelenamenti, traumatismi: +1.000) nel 2021 rispetto sia al 2020 (24.534) che alla media del biennio 2018-2019 (24.493).

Da approfondire è il caso delle patologie respiratorie la cui mortalità, fortemente aumentata nel 2020, è scesa bruscamente nel 2021 (raggiungendo valori inferiori a quelli pre-pandemici) a causa soprattutto, dice l’Istat, “della diminuzione della mortalità per polmoniti e malattie respiratorie non specificate”. A commento di questo risultato, Istat scrive: “per queste cause il 2020 ha rappresentato un picco della mortalità legato probabilmente a mancate diagnosi di Covid-19, specialmente durante la prima ondata pandemica del 2020”, il che porterebbe a concludere che nel 2020 i decessi veri per Covid-19 sono stati certamente di più dei 78.673 così classificati secondo le corrette regole di codifica. E sempre in tema di approfondimenti merita una citazione il caso del diabete, patologia che dopo il picco del 2020 è rimasta su valori elevati anche nel 2021, al contrario di tutte le altre patologie che sono invece tornate a valori pre-pandemici o inferiori.

Il virus ha provocato molti più decessi tra i maschi (44.163 nel 2020 e 36.111 nel 2021) che tra le femmine (34.510 nel 2020 e 27.804 nel 2021) sia in valore assoluto che come tassi ogni 10.000 ab (15,20 e 11,96 tra i maschi; 11,80 e 9,16 nelle femmine; rispettivamente nel 2020 e nel 2021), mentre le differenze geografiche sembrano più dovute alla scansione temporale nella diffusione del virus che non alle caratteristiche dei diversi territori o degli approcci adottati per far fronte alla pandemia.

Altro argomento che il rapporto Istat permette di affrontare è il contrasto più volte rilevato tra i decessi “per” Covid-19 e quelli “con” Covid-19. Ai 78.673 decessi del 2020 dove il Covid-19 è la causa cosiddetta “iniziale” (cioè quella che esita dalla applicazione delle regole internazionali di codifica) vanno aggiunti 11.118 decessi dove il Covid-19 è concausa della morte (cioè i casi “con” Covid) portando il totale dei decessi in cui è direttamente riconoscibile la presenza del Covid-19 a 89.791 casi. Nel 2021 lo stesso fenomeno si è presentato con analoghi valori: 11.085 sono le schede di morte dove il Covid-19 è concausa, da aggiungere quindi ai 63.915 decessi codificati (causa iniziale) come Covid-19, portando il totale a 75.000: altre due città da 10.000 abitanti cancellate dalla geografia umana del nostro Paese.

La quota di decessi “con” Covid-19 è risultata inferiore nei maschi (13%) rispetto alle femmine (17%), e più frequente nei giovani (<50 anni: 17%) e nei più anziani (80+: 16%).

Da ultimo il rapporto Istat mette a confronto nei due anni pandemici la mortalità per Covid-19 e per altre patologie che è stata osservata nelle strutture residenziali e conclude che il picco di decessi registrato nel 2020 non si è ripetuto l’anno successivo, “probabile effetto di una diversa strategia adottata nel secondo anno di pandemia, dove non si è ripetuta la scelta di utilizzare i posti letto liberi nelle strutture residenziali per ricoverare i pazienti Covid-19”.

I dati presenti nel rapporto Istat aiutano certamente a fare chiarezza, almeno per quanto riguarda i decessi, su quello che è successo nei primi due anni di pandemia, il periodo dove il virus ha esercitato con più energia la sua forza distruttiva. Certo, i tempi lunghi della registrazione e codifica delle schede di morte ci impongono di dover aspettare ancora prima di chiudere, dal punto di vista dei numeri dei decessi, la partita del virus Sars-CoV-2, ma alcune indicazioni che emergono dai dati pubblicati, seppure da approfondire nel tempo, sono significative.

Da una parte ci confermano che l’effetto del virus non si è palesato solo dando luogo a decessi per Covid-19, ma soprattutto nel primo anno pandemico ha causato la morte per diversi tipi di patologie. In secondo luogo, almeno nei primi due anni di pandemia, i temuti effetti negativi ascrivibili all’osservato ritardo all’accesso o addirittura rinuncia alle cure non si sono evidenziati. In terzo luogo, attestano le conseguenze negative di esserci appoggiati, almeno nei primi periodi della pandemia, ai posti letto liberi nelle strutture residenziali. E da ultimo, entrando nel dettaglio di come sono aumentate e/o diminuite le singole specifiche patologie di decesso, permettono di superare la genericità delle analisi fondate esclusivamente sulla mortalità generale e chiariscono la più volte richiamata diatriba tra la mortalità “per” Covid e la mortalità “con” Covid.

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