Contrariamente a come è organizzato il nostro sistema delle fonti del diritto, è talora rischioso partire – per affrontare un argomento – dalla lettera della Costituzione. È così per tutte le norme costituzionali, vigenti da più di settant’anni. Esse hanno compiuto un percorso che ne ha almeno parzialmente mutato i connotati, un percorso in cui la legislazione e la giurisprudenza hanno agito come fanno gli agenti atmosferici nei riguardi nella crosta terrestre, plasmandola con i propri continui interventi. Questo è vero in modo particolare per le norme che sanciscono i diritti sociali. Essi risultano definiti in Costituzione in un modo che, letto oggi, può risultare sottilmente ingenuo: che i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, abbiano “diritto” a raggiungere i più alti gradi di istruzione (quando le borse di studio, oltre ad essere insufficienti, vengono attribuite per lo più sulla base del reddito) è tutto da dimostrare; oppure, che “agli indigenti” la Repubblica garantisca “cure gratuite” è anch’essa espressione che apre ad un dibattito e che non può essere letta senza che si tenga conto del percorso che la norma costituzionale ha compiuto nei decenni precedenti al nostro.
Il cammino legislativo è dunque oggi il punto di partenza per ogni analisi sul tema della salute, a partire dalla legge 833/1978 che ha abolito il sistema delle mutue e creato ex novo un Servizio Sanitario Nazionale articolato sul territorio tramite compiti attribuiti alle Regioni e ai Comuni. Le Regioni, in particolare, tramite i loro diversi sistemi sanitari regionali hanno acquisito un forte potere sia sul piano della legislazione sia su quello amministrativo, avendo la titolarità del potere di organizzare sul proprio territorio le strutture deputate all’erogazione delle prestazioni sanitarie.
Gli anni Novanta hanno poi visto un nuovo step legislativo, quello della cosiddetta “seconda riforma sanitaria” (decreti legislativi 502/1992 e 517/1993) che hanno ridotto a due i livelli di governo competenti a governare il sistema (Stato e Regioni) e che hanno in parte depoliticizzato la governance del sistema rafforzando il potere delle strutture tecniche all’interno dei sistemi sanitari regionali, senza peraltro riuscire del tutto a svincolare i direttori generali delle ASL dai condizionamenti della politica, da cui vengono nominati.
Se questo è stato vero per gli aspetti organizzativi del SSN, diverso è stato il percorso relativo alla definizione degli standard per l’erogazione delle prestazioni, i cosiddetti Livelli essenziali di assistenza (LEA), cioè le prestazioni e i servizi che il SSN è tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di una quota di partecipazione (ticket), con le risorse pubbliche raccolte attraverso la fiscalità generale. Emanati per la prima volta nel 2007, con la Legge di stabilità 2016 (art. 1, co. 556, legge 208/2015 ) è stata prevista l’istituzione della Commissione nazionale per l’aggiornamento dei LEA e la promozione dell’appropriatezza nel SSN, che ha prodotto nel 2017 un nuovo set di LEA, che sono tutt’ora vigenti.
È nell’intreccio delle regole sull’organizzazione (che comprende anche le regole sul personale sanitario) con quelle relative alle prestazioni che va letto lo stato attuale del nostro sistema sanitario, un sistema in continua evoluzione non solo normativa ma anche tramite atti strategici (Piani sanitari nazionale e regionali, Piano nazionale di ripresa e resilienza, solo per citarne alcuni); è un sistema di cui tutti lamentano le carenze, soprattutto sul piano dei finanziamenti, ma che conosce difficoltà di non poco momento, volendo garantire a tutti i cittadini (e non solo agli indigenti) le cure di cui hanno bisogno. Eppure, guardando i dati (ad esempio i dati sull’osservanza dei LEA) si notano carenze e diseguaglianze tra le varie Regioni ma non “disastri”: tutte le Regioni vengono misurate rispetto al livelli di attuazione dei LEA, le più deboli delle quali arrivano – comunque – almeno al 50% (e non a zero).
Esse andrebbero rafforzate con interventi mirati, e non solo, come molto spesso accade, tramite i commissariamenti. Valutare efficacia e appropriatezza: questo è un compito mai esaurientemente concluso ma che serve per segnare i passi di possibili cambiamenti in melius. È in questa direzione che occorre proseguire per offrire davvero a tutti quanto la Costituzione prefigura e rispetto al quale si è andati ben più avanti.
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