Diciamolo forte e chiaro e fuori dai denti così che non ci siano equivoci: il nostro servizio sanitario oggi non è universalistico, non è equitario, e non garantisce l’eguaglianza. Punto. Detto in altre parole e senza nasconderci dietro un dito, i tre principi fondamentali presi a traduzione ed applicazione del dettato costituzionale (“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”) risultano disattesi. Non so se in passato la situazione sia stata differente, perché soprattutto nei primi anni del SSN mi occupavo d’altro, ma da quando (e sono più di tre decenni) è diventato il mio lavoro, posso dire che universalismo, uguaglianza, ed equità, in pratica non si sono mai realizzati.
Certo sono sempre stati incisi nelle pietre della teoria e dei suoi documenti, sono sempre stati invocati dalle tante e diverse maggioranze (e opposizioni) che ci hanno a turno governato, sono continuamente reclamati come obiettivi non rinunciabili e non negoziabili, e rappresentano l’incipit di ogni pronuncia e presa di posizione (partiti, sindacati, associazioni, esperti, …), ma se non ci lasciamo obnubilare e distrarre dall’ideologia di volta in volta dominante e facciamo quello che si chiama “un bagno di realtà”, soprattutto se per qualche motivo la salute per noi non è stata quello “stato di totale benessere fisico, mentale e sociale” preteso dalla OMS ed abbiamo avuto bisogno dei servizi del SSN, emerge con chiarezza la distanza tra la sanità che sperimentiamo e quella dei principi di universalismo, uguaglianza ed equità.
Mi limito a segnalare quanto segue.
Universalismo. Pensiamo alla mobilità sanitaria di parecchi cittadini, soprattutto in alcune Regioni, che sono costretti a migrare per ricevere prestazioni essenziali. Pensiamo al fatto che ben 8 Regioni sono state giudicate insufficienti quanto all’erogazione di prestazioni e servizi considerati essenziali (LEA). O pensiamo a quei soggetti che per via della loro condizione di fragilità (anche economica o sociale) e di difficoltà (o impossibilità) a raggiungere il servizio devono rinunciare alle cure e all’assistenza.
Uguaglianza. In questo caso si può pensare alla lunghezza dei tempi di attesa per accedere a molte prestazioni essenziali e che danno luogo ad un doppio binario, per cui chi ha risorse può accedere all’intramoenia o uscire dal SSN (a pagamento) mentre gli altri aspettano e/o rinunciano. Oppure si pensi alle differenti politiche delle regioni sui ticket, con la conseguenza che cittadini di regioni diverse compartecipano in maniera diversa per una medesima prestazione. Ma si pensi anche al differente esito delle cure per la stessa patologia in ospedali diversi, come dimostrano i dati del Piano nazionale esiti.
Equità. Sono sempre più frequenti le segnalazioni di difficoltà di accesso ai servizi, di rinuncia alle cure, di presenza di effetti avversi (esempio: maggiore mortalità) causati dalla bassa condizione sociale, o si veda il già ricordato effetto perverso ed iniquo delle lunghe liste di attesa o la mancanza di risorse che porta alla rinuncia alle cure.
Sono solo pochi esempi della distanza tra i principi sollecitati dal dettato costituzionale e la loro realizzazione pratica e che giustificano la valutazione negativa del SSN che si è anticipata.
Ma l’art. 32 della Costituzione contiene un ulteriore elemento molto qualificante, elemento che però non viene mai discusso e non diventa quindi oggetto di attenzione: “e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Almeno questa seconda parte del dettato costituzionale è garantita? Vediamo i dettagli, senza però dimenticare di osservare, preliminarmente, che nella Costituzione non è definito il concetto di “indigenza”, e lo stesso succede per i testi fondanti sanitari (Legge 833/1978, Dlgs 502/1992, Dlgs 229/1999, Dpcm 29.11.2001, …): ne consegue che innanzitutto non si sa chi è l’indigente cui lo Stato deve garantire cure gratuite (solo chi è in ristrettezze economiche o anche chi per diversi motivi è impossibilitato a procurarsi quanto necessario?). Vediamo allora la soluzione pratica che è stata data, partendo dai singoli servizi erogati, soluzione che con un approccio sicuramente riduttivo per gli indigenti si è limitata a considerare il reddito.
I trattamenti erogati nel corso di un ricovero ospedaliero di qualunque tipo (e gli esami strettamente collegati ad un ricovero programmato) sono gratuiti per tutti, e quindi anche per gli indigenti; e così le prestazioni del medico di medicina generale e del pediatra di libera scelta.
Le prestazioni dei programmi organizzati di diagnosi precoce (screening), la prevenzione collettiva (malattie infettive e contagiose), gli alimenti per speciali categorie (celiaci), i dispositivi medici per diabetici (aghi, strisce, …), le protesi per disabili, sono gratuite (e quindi anche per gli indigenti che rientrano nelle elencate categorie).
Sono gratuite per tutti (e quindi per gli indigenti) le prestazioni erogate per particolari categorie di persone: tutela della maternità (solo alcune prestazioni), prevenzione della diffusione dell’infezione da Hiv (solo alcune prestazioni e alcune categorie di soggetti), le attività connesse alla donazione di sangue, organi e tessuti, i soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie e trasfusioni (solo alcune prestazioni), le vaccinazioni incluse nel Piano nazionale della prevenzione vaccinale, alcune specifiche categorie di persone (invalidi di guerra e civili, ciechi e sordomuti, detenuti, …).
In questo lungo elenco avrò sicuramente dimenticato qualcosa, soprattutto qualche dettaglio, ma credo che il messaggio sia chiaro: non occorre invocare la seconda parte dell’art. 32 per queste attività, perché non vi è nulla di specifico che riguarda gli indigenti.
Per le prestazioni che non sono gratuite per tutti, e cioè le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale, le prestazioni di pronto soccorso classificate come “codice bianco” e non seguite da ricovero, e le cure termali, è prevista la logica della esenzione dal pagamento, logica che (al di là delle esenzioni che riguardano tutti: esempio, quelle per patologia) interessano gli indigenti per quella specifica classe che va sotto il nome di “esenzioni per reddito” prevista per “alcune condizioni personali e sociali associate a determinate situazioni reddituali”.
Cittadini minori di 6 anni o maggiori di 65 il cui nucleo familiare ha reddito annuo complessivo non superiore a 36.181,98 euro; disoccupati e familiari a carico (reddito inferiore a 8.263,31 euro); titolari di pensioni sociali (e loro familiari); pensioni al minimo con età superiore ai 60 anni (reddito inferiore a 8.263,31 euro); con i valori di reddito minimo che aumentano in funzione della dimensione del nucleo familiare: queste le esenzioni legate al reddito che sono previste.
C’è poi il caso dei farmaci, che seguono regole e norme regionali per l’esenzione per reddito (esenzione non prevista in molte Regioni), e ci sono infine le varianti introdotte dalle singole Regioni che vanno in genere nella direzione di allargare la platea dei soggetti esenti.
Già questo quadro fa capire come da una parte le cure gratuite agli indigenti dipendono da cosa si definisce come stato di indigenza, ed i valori economici indicati dalle leggi sanitarie come soglie da non superare per avere l’esenzione per reddito sono decisamente più basse, ad esempio, dei valori che l’Istat utilizza come linea che definisce la povertà (si veda: Report Istat: le statistiche dell’Istat sulla povertà, 25 ottobre 2023): a titolo di esempio, una famiglia di due persone è considerata povera se ha un reddito annuo inferiore a 13.800 euro, una di tre persone se ha meno di 18.534 euro, e così via. D’altra parte, in questo quadro generale le singole Regioni hanno introdotto significative varianti, con la conseguenza che lo stesso indigente in una Regione avrebbe diritto ad alcune cure gratuite, mentre in un’altra le stesse cure vanno pagate.
Il problema è che il soggetto che si ammala o che è disabile non ha bisogno solo di ricoveri, prestazioni ambulatoriali, farmaci, MMG/PLS, prevenzione, alcuni ausili e protesi, e così via, ma nel suo percorso di cura (e di assistenza nella cura) necessita di una lunga serie di altri supporti (di tipo sanitario e non sanitario), molti dei quali da acquistare in farmacia o parafarmacia e non soggetti ad alcun tipo di esenzione (che cubano diverse centinaia di euro ogni mese nelle esperienze di chi scrive), può necessitare di accoglienza in residenze sanitarie per anziani (RSA) dove una parte della retta è a carico del cittadino, può necessitare di assistenza continua (o almeno prolungata) a casa per via delle condizioni logistiche che ostacolano le sue fragilità (scale, …): tutte esigenze di cura e di assistenza che male si sposano con la condizione di indigenza.
E si può andare avanti a lungo in questo elenco, soprattutto se si vanno ad esaminare situazioni e casi particolari. Certo esiste anche l’assistenza sociale a cui rivolgersi, ma se il campo sanitario e sociosanitario lamenta carenza di risorse il campo sociale da questo punto di vista è una cascata di lacrime.
Volendo far sintesi di quanto si è detto, almeno due sono le conclusioni di rilievo attorno all’art. 32 della Costituzione.
La prima ha a che fare con la parte più citata del testo (“la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”) e ribadisce, come più volte documentato da queste colonne, l’incapacità pratica del SSN di garantire in modo soddisfacente i tre obiettivi (universalismo, uguaglianza, equità) che le leggi sanitarie hanno individuato per l’applicazione del dettato costituzionale.
La seconda si riferisce invece alla parte conclusiva del primo comma (“e garantisce cure gratuite agli indigenti”), parte solitamente trascurata e poco discussa come se fosse un obiettivo che per principio viene raggiunto. In quanto precede, invece, si è innanzitutto mostrato che manca una definizione di indigenza e che i criteri operativi adottati dalle leggi sanitarie per interpretarla sono insoddisfacenti e contrastano con le modalità oggi in uso per parlare di povertà. Inoltre, si è argomentato sul fatto che non è vero che sono garantite cure gratuite agli indigenti (a prescindere da come li si voglia definire), perché a molti aspetti delle cure (e della assistenza associata) si accede solo con risorse proprie, e per di più con regole diverse da Regione a Regione.
Povero art. 32! Non sei sbagliato, in teoria, ma forse gli obiettivi che ci poni (o che abbiamo preteso di porci con il SSN che abbiamo costruito: universalismo, uguaglianza, equità) sono troppo alti per la limitatezza delle nostre possibilità e capacità (non solo economiche) e questi obiettivi, per quanto ci piacciano, non ce li possiamo permettere. Teoria e pratica non riescono ad andare insieme e quindi qualcosa per forza deve essere rivisto: o aumenta la nostra capacità di raggiungere quegli obiettivi (ma non la vedo bene), o si deve per forza abbassare l’asticella, anche se è dura da digerire. Quanto invece agli indigenti: l’obiettivo della gratuità delle cure (definizione di indigenza a parte) non è un’arbitraria interpretazione del SSN, ma è fissato direttamente in Costituzione, e non perseguirlo compiutamente (come purtroppo risulta oggi) è davvero un peccato mortale.
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