Alberto Zangrillo, primario dell’Unità Operativa di Anestesia e Rianimazione Generale dell’ospedale San Raffaele di Milano, lancia l’allarme sulla sanità italiana. “Credo che il bene primario, il vero bene di lusso oggi in Italia sia la salute. Il regalo più bello che io potrei fare ai miei figli è garantire loro che un domani possano essere curati. Ma credo che questo tipo di garanzia stia a poco a poco scemando” tuona tra le pagine del quotidiano la Stampa.



Ci sono sempre meno risorse per la sanità. Poi, c’è anche un problema di disfunzionalità organizzativa” prosegue Zangrillo, spiegando che “le pubbliche assistenze, sempre più di frequente, vanno a prelevare a domicilio pazienti che hanno la febbre, la nausea, il mal di pancia. Tutte cose che una volta non erano di pertinenza delle pubbliche assistenze e degli ospedali. Adesso non c’è più un filtro”. Tuttavia, sottolinea che “non è colpa dei medici di base. È che il territorio non funziona a dovere per cui i cittadini si rivolgono principalmente agli ospedali. E quindi il pronto soccorso non fa il lavoro del pronto soccorso”. Tra i gravi problemi della sanità italiana, Zangrillo indica “quello delle risorse che mancano e che vanno utilizzate in maniera sapiente. La prima regola è non sprecarle”. Risorse che “nel rispetto dell’autonomia regionale, arrivano dallo Stato centrale. Ma bisogna distruggere il paradigma della distribuzione a pioggia a prescindere dal controllo della qualità. Dobbiamo avere il coraggio di controllare il risultato”.

Zangrillo, allarme sulla sanità italiana: “bisogna avere coraggio di verificare i risultati”

Sanità italiana come un bene di lusso. Alberto Zangrillo del San Raffele di Milano, interpellato da La Stampa su questo argomento incandescente, afferma che “deve essere riconosciuta la capacità di coloro che sanno lavorare con qualità e in base a questo distribuire le risorse. La qualità è l’elemento, la garanzia per poter essere riconosciuti, per avere un rapporto di fiducia con i pazienti”.

In tema sanità italiana, Zangrillo invoca il “coraggio di verificare i risultati, la numerosità trattata” in quanto “una patologia, quanto più è grave, tanto più può essere curata efficacemente in ospedali che registrano un’alta densità (di casi, ndr)”. Perciò, argomenta, “se un ospedale vede quella determinata patologia due volte all’anno, è inutile portargliela. Va indirizzata nei cosiddetti centri hub. Che non si definiscono tali perché simpatici a qualcuno, o perché a parità di valore sono migliori a prescindere di quelli pubblici. Si stabiliscono in base alla qualità espressa. Se non riusciamo a prendere questi provvedimenti, andremo sempre peggio e non cureremo più i nostri cittadini”.