Demografia, cronicità, sostenibilità, nuovi modelli di business: all’interno di questo scenario si muoverà il futuro assistenziale e sanitario degli over 65, che vedrà coinvolti non solo il Servizio sanitario nazionale, ma anche gruppi finanziari, assicurativi e start up, che potrebbero anche giovarsi dell’expertise messe a disposizione dalla sanità militare. Ne è convinto il professor Luigi Pastorelli, direttore tecnico del gruppo Schult’z, che ha sviluppato uno specifico modello denominato Index health finance risk-Indice di rischio finanziario per la salute.
Di che si tratta e qual è il suo obiettivo?
E’ un indice che va a correlare gli aspetti di carattere sanitario di un determinato scenario rappresentato dalle criticità sanitarie ed assistenziali degli over 65 con le sue specifiche tipologie di rischio al fine di ottenere una elevata performance finanziaria, che permetterà alle imprese di usufruire delle opportunità derivanti dall’aumento della fascia d’età degli over 65, entrando in un mercato interessante caratterizzato da trend di crescita elevati, nell’ordine del 10% annuo. Al tempo stesso tale indice è finalizzato a incentivare la nascita di start-up.
In che modo?
Attraverso uno specifico passaggio di know-how dalla sanità militare alla sanità civile.
A cosa si riferisce?
Penso, per esempio, alle elevate competenze di carattere logistico/organizzativo nella gestione e trasporto del paziente da parte della sanità dell’Aeronautica militare, oppure all’elevata expertise della sanità della Marina militare nel trattare specifiche patologie a carico del sistema cardio-respiratorio, o ancora alle competenze maturate nel trattare un paziente traumatizzato in possesso della sanità militare dell’Esercito.
Perché, secondo lei, gli operatori finanziari dovrebbero essere interessati a investire nelle società capaci di intercettare i bisogni della cosiddetta “onda grigia”?
La White economy è destinata a diventare nei prossimi 10 anni il settore di business più proficuo e redditizio. In base a dati raccolti ed elaborati da Schult’z, il trend di crescita atteso è del 5% all’anno, perdurante per almeno 15 anni. Gli operatori assicurativi saranno incentivati a proporre prodotti, farmaci o dispositivi medici, focalizzati sul ramo assistenza, in quanto il prolungamento della vita incrementerà tale domanda di servizi, infermieristici e sanitari, soprattutto a domicilio. E ciò produrrà interessanti effetti anche sull’occupazione, in particolar modo giovanile e caratterizzata da elevata formazione.
Quanto le dinamiche demografiche giocano e giocheranno sempre più un ruolo cruciale?
Sono tre le variabili maggiori: un veloce e inarrestabile invecchiamento della popolazione tanto che gli ultra 80enni aumenteranno sia in numero assoluto che in proporzione alla totalità degli ultra 60enni; una prevalenza di donne tra la popolazione anziana, perché le donne vivono in media 7,5 anni in più degli uomini; lo sviluppo di patologie croniche e la comorbilità: 4 anziani su 5 sono affetti da almeno una malattia cronica. Più in dettaglio, al di sopra dei 60 anni il 69,7% degli individui è affetto da almeno una patologia cronica e nel 46% dei casi si tratta di polipatologie, presenti nell’80,2% degli over 80.
Un fenomeno solo italiano?
No. A livello mondiale agli inizi del 1900 gli over 65 anni erano circa l’1% della popolazione, nel 2050 saranno il 20% della popolazione. In Italia nel 2000 gli over 65 erano il 18,7% della popolazione ad oggi la popolazione di età uguale o superiore ai 75 anni rappresenta circa il 20% della popolazione. E questa evoluzione demografica si accompagnerà inevitabilmente a una trasformazione della domanda assistenziale, la quale sarà sempre più correlata alle patologie croniche. Basti pensare che alcune stime demografiche prevedono un raddoppio nel 2030 della fascia di popolazione dai 65-85 anni.
Quindi cambieranno allocazione e dinamiche della spesa sanitaria?
In Italia la fascia over 65 assorbe circa il 50% della spesa sanitaria pubblica. In tale fascia di età si concentrano i maggiori problemi di salute a carattere di cronicità, che danno luogo a problemi assistenziali complessi riconducibili a condizioni di disabilità multiple e di non autosufficienza.
Può citare un esempio?
A livello globale circa il 30% degli anziani cade almeno una volta all’anno e il 15% due o più volte all’anno. Il numero di anziani ricoverati in ospedale o presso Rsa che ha il rischio cadute è elevato, la metà degli anziani che riporta una frattura al femore non è più in grado di deambulare e il 20% di essi muore per complicanze entro 6 mesi. Le conseguenze delle fratture femorali sono drammatiche: circa l’8-10% muore entro 30 giorni e un altro 25%-30% muore entro un anno dalla frattura. La mortalità nei tre mesi successivi alla frattura femorale è 5,75 volte maggiore nelle femmine e 7,95 volte maggiore negli uomini rispetto a una popolazione della stessa età, sesso, senza la frattura al femore. La prevalenza di invalidità permanente è del 30%, la perdita di autonomia nella deambulazione è del 40% a 6 mesi dalla caduta, mentre il rischio di una nuova frattura al femore è 2,1 volte maggiore a distanza di 12 mesi.
Si consideri, poi, che l’incidenza annuale di tali fratture aumenta con l’età.
Con quale impatto economico?
Circa il 5-10% degli anziani riporta fratture, soprattutto all’anca o al polso, che richiedono un trattamento in regime di ricovero. Ogni frattura al femore in Italia comporta un costo complessivo, tra ospedalizzazione e riabilitazione, che oscilla tra i 13.500 e i 15.000 euro, per un importo annuale di circa un miliardo di euro. I costi diretti ospedalieri riferiti alle fratture sono al secondo posto dopo l’ictus e vengono prima della cardiopatia ischemica.
Lei che cosa si immagina?
Da un lato, il nostro Servizio sanitario nazionale dovrà iniziare a prevedere l’introduzione di nuovi innovativi modelli di rimborso delle spese sanitarie e farmaceutiche, si dovranno cioè considerare non solo la qualità e l’efficacia delle cure offerte e dei servizi resi, ma nei loro confronti si dovrà considerare anche l’impatto in termini di analisi costi/benefici. E poi il Ssn dovrà fattivamente considerare l’ipotesi assai concreta che possibili gestori del nostro welfare diventino a breve gruppi finanziari e assicurativi, i quali peraltro sono sempre più interessati alle opportunità offerte dal settore.
(Marco Biscella)