L’incontro del Meeting intitolato “L’abisso fra l’essere soli e avere un alleato. La Passione per la cura” prende spunto da una frase di Chesterton, che continua così: “Si può concedere ai matematici che 4 è due volte due, ma 2 non è due volte uno, è 2000 volte uno”.
L’uomo ha certamente la facoltà ultima di decidere “come” stare di fronte a ciò in cui la realtà lo inserisce, che sguardo acquisire, che cammino sviluppare. E nessuno si può sostituire alla persona né nella sofferenza che si trova a vivere, né nel percorso di docilità che, se vuole, può fare.
Ma la natura dell’uomo è relazionale, e l’itinerario personale di confronto con la realtà è sviluppato, nella vita “normale”, e ancor più quando “alle corde” nelle condizioni di malattia o di disabilità, dentro il rapporto tra coscienza personale e relazioni umane nelle quali ci si trova a vivere. Tali legami costituiscono quella trama di sostegno presente nell’esistenza, con una interconnessione stretta tra l’una (l’autonomia individuale) e le altre (le connessioni), tanto da identificare una cosiddetta “autonomia relazionale”.
Chi “si prende cura”, quindi (familiari, amici, professionisti), non può sostituirsi alla persona sofferente, ma ha la possibilità, e forse il compito, di “essere alleato”, ovvero di non lasciare solo chi sta vivendo la condizione di prova.
La alleanza di cura professionale può esprimersi a tre livelli: quello personale, quello di una società civile che si organizza, e quello istituzionale: nell’incontro in oggetto ne verranno presentate tre esemplificazioni. Obiettivo comune ai tre livelli è che le persone sofferenti e le loro famiglie possano incontrare quella “tribù allargata” dove la persona in situazione di fragilità sia riconosciuta e sostenuta.
Lorenzo Berra, anestesista e intensivista dello staff del Centro di Anestesia del Massachusetts General Hospital di Boston per la ricerca sulla cura critica, racconterà al Meeting di Rimini la propria esperienza nella cura e assistenza dei pazienti e delle loro famiglie in fasi critiche e acute di malattia, anche rispetto alla epidemia Covid recentemente occorsa.
Maurizio Marzegalli, medico cardiologo, è stato co-fondatore a Milano, 30 anni fa, della Fondazione Maddalena Grassi per le cure domiciliari di malati gravi. Attualmente fa parte del consiglio di amministrazione, con delega alla terapia domiciliare dei minori gravi con severe disabilità. Riporterà l’esperienza sua personale e quella della Fondazione nell’affronto del dolore “più innocente”, quello dei bimbi con patologie croniche inguaribili e spesso evolutive.
Raffaele Donini, di professione giornalista, è assessore alla Politiche per la Salute della Regione Emilia-Romagna e coordinatore della Commissione Salute della Conferenza delle Regioni. Gli abbiamo chiesto di portare esemplificazioni di come le istituzioni possano favorire le reti di protezione e salvaguardia dei propri cittadini nelle condizioni di maggiore fragilità.
Tre notazioni conclusive.
La prima. Il fatto di sottolineare ciò che in fondo l’esperienza quotidiana dice, cioè che una persona non sola, benvoluta e accudita può vivere meglio le difficoltà rispetto a una persona sola e abbandonata, non equivale a giudicare situazioni o famiglie disperate. La coscienza dei curanti e l’organizzazione che ne consegue devono offrire un’opzione di cura e di condivisione della ricerca del senso della vita, che siano affascinanti, belle e corrispondenti al bisogno di significato e di compagnia, sia di chi viene curato, ma anche di chi si prende cura. È necessario che questa possibilità sia incontrabile da tutti.
La seconda. Certamente nessuna organizzazione sarà talmente perfetta da poter sostituire l’intrapresa personale (“la carità”), ma tale intrapresa personale si concretizza per alcuni nel rapporto personale di cura, e per altri nel migliorare le condizioni organizzative; cosicché i due aspetti non siano alternativi (clinici da una parte, e organizzatori sanitari dall’altra, spesso in polemica gli uni con gli altri), ma vi sia piuttosto una alleanza virtuosa tra i due.
Infine, quanto esemplificato vale per tutti gli ambiti di cura. Nelle cure palliative trova, forse, il paradigma di ripresa dell’assistenza “originale”, come punto vivo che può “ricontaminare” tutta la medicina. La fondatrice del movimento hospice, Cicely Saunders, scrisse (Vegliate con me, Nursing Times 1965): “…dobbiamo imparare che cos’è questo dolore. Ancora di più, dobbiamo imparare che cosa significa sentirsi così malati… Dobbiamo imparare cosa significa sentirsi vicino ai pazienti senza sentirci come i pazienti, se vogliamo dar loro il genere di ascolto e di sostegno stabile di cui hanno bisogno per trovare la propria strada”.
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