PNRR Salute: ci siamo o non ci siamo? È il solito dilemma del bicchiere: mezzo pieno o mezzo vuoto? In questo caso, però, non si tratta della irrisolvibile diatriba tra ottimisti e pessimisti, ma è in gioco la valutazione di come sta andando la realizzazione della missione 6, Salute, del Piano nazionale di ripresa e resilienza, che come noto per la sanità del nostro Paese ha messo in gioco circa 20 miliardi di euro in 5 anni per molte attività: assistenza territoriale (case e ospedali di comunità, centrali operative territoriali, reti di prossimità, telemedicina); innovazione, ricerca e digitalizzazione del servizio sanitario nazionale (riorganizzazione della rete degli Irccs, ammodernamento tecnologico e digitale, acquisto e collaudo di alcune migliaia di grandi apparecchiature come tomografi, risonanze, acceleratori lineari, etc., digitalizzazione di tutte le strutture sanitarie, sede di Dipartimento emergenza e accettazione di primo livello, miglioramento strutturale in materia di sicurezza degli ospedali, diffusione del Fascicolo sanitario elettronico e della cartella clinica automatizzata e potenziamento del Sistema informativo sanitario nazionale).
Come sta procedendo questa attività? Ce ne informano il ministero della Salute e quello per gli Affari europei, il PNRR e le politiche di coesione in un incontro con le Regioni e le Province Autonome che si è tenuto a Palazzo Chigi durante la Cabina di regia PNRR convocata per fare una verifica puntuale dello stato dell’arte degli interventi in sede territoriale.
Nello specifico, e con dati di monitoraggio aggiornati a febbraio 2025, è stato presentato lo stato di avanzamento procedurale e finanziario degli interventi della Missione 6 sulla attivazione di case e ospedali di comunità, sugli interventi di riqualificazione e di messa in sicurezza degli edifici per ospedali sicuri, sugli interventi di digitalizzazione dei DEA di I e II livello e sulla sostituzione delle grandi apparecchiature più obsolete. E cosa risulta?
Case della Comunità: sono 1.416 quelle previste dal PNRR ma ne bastano 1.038 per raggiungere il target minimo di rilevanza comunitaria: a livello nazionale 943 cantieri (91% del target minimo) risultavano o attivati o conclusi al 20 febbraio 2025. Rispetto ai 1.416 previsti i cantieri attivati sono il 67%, però in Liguria e Valle d’Aosta ne sono stati attivati il 100%, in Veneto il 96%, in Emilia-Romagna il 95%, in Toscana il 91%, e così via, ma in Molise 0, in Sardegna il 18%, in Calabria il 30%, in Campania il 33%: in generale al Sud solo la Basilicata supera la media nazionale mentre al Nord tutte le regioni ad esclusione del Piemonte superano largamente il valore nazionale.
Se però si guarda lo stato finanziario degli interventi riferiti alle case di comunità si scopre che solo il 14,59% del budget messo a disposizione dall’Europa per la costruzione di queste strutture risultava impiegato, ancora con le stesse enormi differenze tra regioni appena segnalato. Questo, se da una parte dice della necessità di accelerare sull’impiego di tutte le risorse disponibili, dall’altra (siccome “non si fanno le nozze con i fichi secchi”) pone un serio interrogativo sulla reale attivazione delle case di comunità: è infatti diffusa la convinzione che per il momento si tratta prevalentemente di ristrutturazioni murarie che sono ben lontane dall’essere lo strumento principale che dovrebbe risolvere il tema della carenza di assistenza territoriale (e non solo per la difficoltà ad imbarcare nell’impresa i medici di medicina generale e i pediatri).
Passiamo agli ospedali della comunità. Anche per queste strutture il 91% dei cantieri a livello nazionale risultava attivato o concluso: 278 sui 307 previsti come target minimo (65% dei 428 programmati), ma ancora con forti differenze tra regioni (100% in Valle d’Aosta, Liguria, P.A. Bolzano e Marche, 97% Veneto; tutte le regioni del Sud, Abruzzo escluso, sotto la media nazionale). È però ancora il livello di spesa rispetto al budget a disposizione a darci un conto più realistico della situazione territoriale: infatti per gli ospedali di comunità il dato di spesa a livello nazionale non raggiunge un misero 12% (11,51%), ed è superfluo elencare le regioni che hanno speso di più e quelle che hanno speso di meno (le lasciamo indovinare al lettore).
Considerazioni analoghe si possono ripetere per gli interventi per la messa in sicurezza degli ospedali (66% degli interventi programmati con una spesa inferiore all’11% del budget stanziato dal PNRR), anche se in questo caso sono più numerose le regioni che avrebbero attivato la totalità dei cantieri; per i lavori per la digitalizzazione dei Dipartimenti di Emergenza e Accettazione (avviato o concluso 82% dei cantieri previsti, spesa 17,63%); per l’ammodernamento del parco delle grandi apparecchiature (80% del target), anche se per queste ultime l’impegno sembra sia stato maggiore visto che il livello di spesa ha quasi raggiunto il 50% del budget.
E quindi? Bene che ci sia un monitoraggio (anche se ci si deve ovviamente chiedere quanto sia adeguato) degli interventi di attuazione per la parte salute del PNRR; bene che gli enti preposti siano in grado di mostrare con le carte all’Europa che il Paese sta formalmente raggiungendo gli obiettivi previsti (e pertanto possono essere acquisiti i fondi stabiliti): ma è questo ciò di cui i cittadini hanno bisogno?
A questa domanda qualche risposta arriva da AGENAS con il Report nazionale di sintesi dei risultati del monitoraggio dm 77/2022, II semestre 2024, che ci informa che solo il 28% delle case di comunità ha almeno un servizio attivo, mentre quelle dove tutti i servizi obbligatori sono attivi e dotate di personale medico e infermieristico sono appena 46 (meno del 3% del totale) e diventano 118 se contiamo quelle dotate di tutti i servizi obbligatori però senza la presenza di medici e infermieri.
Allo stesso modo sono 124 (22%) gli ospedali di comunità con almeno un servizio attivo e 480 le centrali operative territoriali che hanno raggiunto il target di rilevanza comunitaria rendicontato dal ministero della Salute alla Commissione europea.
E allora, chi ha ragione? È vero che il detto popolare dice che “carta canta”, ma in questo caso si deve purtroppo concludere che la carta canta una canzone stonata e che più che avere messo le basi per una riforma della sanità territoriale, probabilmente c’è il rischio che si sono investite risorse (insufficienti per altro) per costruire delle vere e proprie cattedrali nel deserto.
Tornando alla domanda su quello che serve ai cittadini, ed in particolare a quelli che necessitano di servizi sanitari, si deve amaramente concludere che non servono le carte e le rassicurazioni formali, ma c’è bisogno di interventi concreti, di case e ospedali di comunità pieni di attività sanitarie (e non solo di nuovi muri), di strutture ospedaliere che garantiscano la sicurezza di chi le frequenta, di grandi apparecchiature che funzionino e non siano obsolete, di interventi tecnologici e digitali che migliorino l’accesso ai servizi e la presa in carico del cittadino bisognoso, e così via, e soprattutto vi è la necessità che l’accesso ai – e l’erogazione dei – servizi sanitari non sia negativamente condizionato dal luogo dove si risiede.
C’è bisogno soprattutto, e quello che più stupisce è che con il PNRR le risorse ci sono ma non vengono adeguatamente utilizzate, di passare dalla teoria (dalle carte, dalle dichiarazioni formali) alla pratica.
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