Obiettivo principale del PNRR avrebbe dovuto essere quello di attivare delle riforme strategiche e non degli interventi isolati, con una precarietà che li rende poco efficaci nel medio e lungo periodo. La riforma dell’assistenza territoriale avrebbe dovuto definire un nuovo modello organizzativo del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) per creare una sanità più vicina alle persone, con un evidente superamento delle disuguaglianze. In realtà attualmente questo aspetto del PNRR è ancora ben lungi dall’essere realizzato e mancano spesso gli standard qualitativi di cura in linea con le migliori prassi europee.



Le critiche più evidenti

Secondo la stragrande maggioranza dei cittadini attualmente il SSN non sembra rispondere più in modo soddisfacente alle loro esigenze, soprattutto in due aree concrete. In tutti gli ospedali in cui c’è un Pronto soccorso (PS) si creano quotidianamente inevitabili tensioni nel rapporto con i pazienti. E se questi sono oggettivamente sempre meno pazienti è anche perché il soccorso che sperano di ricevere sembra sempre meno “pronto”, per ragioni che stentano a comprendere, anche perché nessuno le spiega loro. È difficile aspettare serenamente quando si pensa che sia in gioco la propria salute e ci si chiede se una migliore organizzazione non potrebbe rendere il servizio più efficiente ed efficace.



Le liste d’attesa costituiscono di fatto il secondo atto di accusa che i cittadini rivolgono alla nostra sanità: passano settimane, a volte mesi interi, in attesa di poter fare un accertamento diagnostico ritenuto importante, perfino urgente dal medico che lo prescrive. E questo spinge molte persone a rivolgersi alla sanità privata, caricandosi un onere economico che mette in seria difficoltà molte famiglie. Eppure, sappiamo bene che in entrambi i casi gli accessi al PS e le lunghe attese per indagini diagnostiche e per controlli specialistici non sarebbero necessari e tanto meno urgenti se fosse stata attivata una sanità territoriale all’altezza delle esigenze dei cittadini e delle famose promesse auspicate dal PNRR con il piano delle riforme.



Eppure le regole di base erano chiarissime: esiste un Piano/Missione (PNRR/M6 – Piano nazionale di ripresa e resilienza / Missione 6 Salute) di cui è parte integrante la Componente (M6C1 – Reti di prossimità, strutture e telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale) con un Investimento ad hoc (M6C1 I1.1 – per le Case della Comunità e la presa in carico della persona). La finalità di questo investimento è chiara: finanziare la realizzazione di luoghi fisici di prossimità e facile individuazione, dove la comunità può accedere per poter entrare in contatto con il sistema di assistenza sanitaria, sociosanitaria e sociale.

Cosa manca

Si trattava di creare un nuovo modello di assistenza territoriale di prossimità per portare le risposte ai bisogni di salute il più vicino possibile ai cittadini. Per questo negli impegni presi a suo tempo si intendeva adottare una riforma del modello organizzativo della rete di assistenza territoriale basata sul potenziamento dell’assistenza domiciliare, anche grazie all’impiego della telemedicina; sulla realizzazione di nuove strutture e presidi sanitari sul territorio per migliorare l’accessibilità e ampliare la disponibilità di servizi di prossimità ai cittadini; sulla definizione di un nuovo assetto istituzionale per la prevenzione sul territorio in ambito sanitario, ambientale e climatico, in linea con un approccio integrato (One Health) e con una visione capace di includere anche i grandi temi e problemi della povertà, in chiave socioeconomica (Planetary Health). Al raggiungimento di questo obiettivo avrebbero dovuto concorrere anche i fondi del Piano Nazionale Equità in Salute, più specificamente orientati alle regioni del Sud Italia per garantire l’accesso ai servizi sanitari e sociosanitari delle fasce della popolazione in condizioni di maggiore vulnerabilità.

Le Case della Comunità (CdC) avrebbero dovuto svolgere un ruolo essenziale nella presa in carico della persona, a tal punto che era prevista la creazione di almeno 1.038 Case della Comunità. Come è noto le CdC dovrebbero essere dei presidi che assicurano la presa in carico della comunità di riferimento attraverso l’istituzione di un’équipe multiprofessionale costituita da medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, medici specialisti, infermieri di famiglia e di comunità e tutti gli altri professionisti sanitari coinvolti nel processo di cura. Attraverso di loro si sarebbe potuta e dovuta attivare anche una assistenza domiciliare in grado di arrivare ad almeno 842.000 persone totali over 65 in assistenza domiciliare. Per raggiungere questo obiettivo, previsto dal PNRR, serve una nuova strategia per la riforma del SSN.

Punti chiave di una Riforma

La Riforma dell’organizzazione dell’assistenza sanitaria territoriale è regolata dal decreto interministeriale di natura regolamentare del 23 maggio 2022. Pur essendo chiari i suoi contenuti principali, a due anni dalla pubblicazione del decreto resta ancora quasi tutto da fare… E i propositi restano solo buoni propositi, come è facile verificare anche ad una prima veloce lettura: definire un nuovo modello organizzativo per la rete di assistenza primaria in grado di individuare standard strutturali, tecnologici e organizzativi uniformi su tutto il territorio nazionale, per garantire a cittadini e operatori del SSN il rispetto dei Livelli Essenziali di Assistenza – LEA; facilitare l’individuazione delle priorità di intervento in un’ottica di prossimità e di integrazione tra le reti assistenziali territoriali, ospedaliere e specialistiche; favorire la continuità delle cure per coloro che vivono in condizioni di cronicità, fragilità o disabilità, che comportano il rischio di non autosufficienza anche attraverso l’integrazione tra il servizio sociale e quello sanitario; disegnare un nuovo assetto istituzionale per la prevenzione in ambito sanitario ambientale e climatico; allinearsi agli standard qualitativi di cura dei migliori Paesi europei.

Ma è soprattutto nella carenza dell’assistenza domiciliare che si registrano le maggiori delusioni a cui vanno incontro i pazienti e le loro famiglie. Affermare che la casa è il primo luogo di cura è giusto, a condizione che le cure domiciliari costituiscano un servizio efficace messo in opera dal Distretto per l’erogazione al domicilio di interventi caratterizzati da un livello di intensità e complessità assistenziale variabile nell’ambito di specifici percorsi di cura e di un piano personalizzato di assistenza. Trattamenti medici, infermieristici, riabilitativi, diagnostici, ecc. devono essere prestati da personale sanitario e sociosanitario qualificato per la cura e l’assistenza alle persone non autosufficienti e in condizioni di fragilità, per stabilizzare il quadro clinico, limitare il declino funzionale e migliorare la qualità della vita quotidiana.

Analogamente ciò deve accadere con la Rete delle cure palliative, che deve essere in grado di garantire la presa in carico globale del paziente e del suo nucleo familiare. E per questo occorre ricordare che le cure palliative sono rivolte a malati di qualunque età e non sono prerogativa della fase terminale della malattia. Possono infatti affiancare le altre cure anche nelle fasi precoci delle malattie cronico-degenerative, per prevenire ed attenuare gli effetti del declino funzionale. Nelle difficoltà dei mesi di pandemia è apparso in tutta evidenza quanto fosse importante l’investimento sulla prevenzione e in particolare su una rete di assistenza e sanità capillare sul territorio. Ma ora quella lezione sembra dimenticata, mentre invece emergono ogni giorno nuove ragioni per rilanciare una efficace sanità territoriale.

Assistenza territoriale

Cosa dire a quanti sostengono che non ci sono abbastanza risorse per realizzare la riforma del nostro SSN e renderlo più efficace, superando alcune delle criticità più vistose come gli accessi impropri al Pronto soccorso e almeno in parte le lunghe liste d’attesa? Basta ricordare che l’8,2% delle risorse del PNRR sono destinate al potenziamento del sistema sanitario. Si tratta di 15,63 miliardi di euro divisi in due componenti. La prima: 7 miliardi di euro destinati al rafforzamento dell’assistenza sanitaria territoriale, in particolare alle reti di prossimità (CDC), alla assistenza domiciliare e alla telemedicina. La seconda, 8,63 miliardi, prevede progetti di digitalizzazione e innovazione del sistema sanitario, insieme ad investimenti sulla ricerca.

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