Il manifesto sottoscritto da 14 scienziati e ricercatori per il rilancio del Servizio sanitario nazionale pubblico ha riscosso una grande attenzione dei mass media. L’appello stigmatizza la decrescita della spesa pubblica dedicata allo scopo a fronte dell’aumento dei fabbisogni di prestazioni sanitarie dall’invecchiamento della popolazione. Una tendenza che comporta in parallelo un incremento delle disuguaglianze nell’accesso alle prestazioni in relazione al reddito delle persone e dei territori di appartenenza con riflessi negativi anche sulle aspettative di vita delle persone.



Il manifesto ha fornito solidi argomenti alle Regioni, che svolgono la competenza primaria per l’organizzazione dei servizi sanitari, che hanno minacciato un ricorso alla Consulta per la violazione del principio del diritto di accesso di tutti cittadini alle prestazioni essenziali. Un dato di fatto riscontrato in tutto il territorio nazionale nell’allungamento delle liste di attesa per accedere alle prestazioni di varia natura e nell’aumento della spesa privata (circa 41 miliardi di euro sul complesso dei 171 miliardi) per ottenere un riscontro in tempi ragionevoli.



I raffronti con i grandi Paesi aderenti all’Ue che hanno sistemi sanitari similari a quello italiano sono impietosi. I 134 miliardi destinati dallo Stato italiano alla spesa sanitaria, anche se rappresentano nominalmente il record storico della spesa nominale, equivalgono a una quota del Pil italiano (6,8%) di gran lunga inferiore a quella della Germania (10,9%), della Francia ( 0,3%), della Gran Bretagna (9,3%) e della Spagna (7,3%). In termini di spesa pro capite il divario è impressionante:. Circa 3.800 euro per ogni residente in Italia a fronte dei: 7.200 della Germania; 5.900 della Francia; 4.900 della Gran Bretagna. Nonostante l’incremento delle risorse finanziarie previsto dalla Legge di bilancio 2024, destinato essenzialmente all’adeguamento degli stipendi del personale, l’importo della spesa pubblica italiana sul Pil è destinato a diminuire fino al 6,2% nel 2026 in controtendenza con quanto avviene negli altri Paesi dell’Ue.



Le statistiche relative all’invecchiamento della popolazione e al prevedibile aumento del numero delle persone con malattie croniche o non autosufficienti mettono in evidenza l’insostenibilità del modello italiano anche per la componente della spesa privata per via del progressivo aumento delle persone sole e prive di un adeguato sostegno da parte dei familiari.

Il mancato sviluppo del Servizio sanitario nazionale sta comportando seri problemi anche per la disponibilità di personale adeguato per le conseguenze del pluriennale blocco del turnover del personale della Pubblica amministrazione. Anche da questo punto di vista la comparazione con gli altri Paesi europei deve far riflettere.

Circa il 30% del divario del tasso di occupazione rispetto alla media dei Paesi europei (-9,7% equivalente a 3,5 milioni di posti di lavoro) è attribuibile al mancato sviluppo dei comparti sanitari e socio assistenziali. Numeri che comportano riflessi negativi anche per il tasso di occupazione delle donne, dei giovani laureati, degli occupati con le qualifiche medie e elevate, che in questi comparti dei servizi registrano un’incidenza superiore alla media delle altre attività economiche. Attualmente sono poco più di 700 mila i lavoratori occupati, per il 69% donne, nei servizi pubblici o in quelli accreditati del Sistema sanitario nazionale (tra i quali 240 mila medici, 350 mila infermieri). Numeri che consentono di avere un’idea del potenziale di espansione dell’occupazione nei servizi fondamentali per la cura delle persone. Nel frattempo risulta sovradimensionato, per un importo di circa 400 mila occupati rispetto alla media europea, l’utilizzo delle badanti e delle colf da parte delle famiglie per far fronte ai fabbisogni di assistenza delle persone anziane.

I livelli di coesione sociale e di garanzia di accesso alle prestazioni pubbliche essenziali del nostro Paese dipenderanno in buona parte dalle risposte che saremo in grado di offrire alla sostenibilità del sistema sanitario sul versante dell’accesso ai servizi e dell’incremento delle risorse umane dedicate.

Le carenze del sistema sanitario erano emerse con nitidezza nel corso della pandemia Covid, ma le speranze di una ripresa degli investimenti nel settore sono andate rapidamente deluse per una serie di motivi che vengono trascurati anche dalle forze politiche e sociali che rivendicano la destinazione di nuove risorse per tale finalità. L’esigenza di tamponare la crescita spontanea della spesa pubblica corrente per le prestazioni pensionistiche e assistenziali, che viaggia a un ritmo superiore a quello alle entrate fiscali e contributive, ipoteca in via di fatto la quota destinata alle prestazioni sociali. La necessità di far fronte alle conseguenze della demenziale decisione di mettere a carico dello Stato, con l’introduzione del Superbonus per le ristrutturazioni abitative, una spesa superiore a quella sostenuta dai privati per tale finalità, comporterà per i prossimi 5 anni l’esigenza di rinunciare a decine di miliardi di euro di potenziale spesa pubblica per ammortizzare l’impatto sul debito pubblico.

Sulla deriva della spesa assistenziale pesano le mancate riforme del welfare e del mercato del lavoro con il concorso della gran parte degli attori politici e sociali che organizzano le manifestazioni pubbliche per denunciare il declino del Sistema sanitario.

Date queste premesse, la possibilità di rimontare la china dipende dalla volontà politica di rimettere al centro la riforma delle prestazioni sociosanitarie per la duplice finalità di offrire risposte sul versante dell’innovazione, della produttività dei servizi e dell’aumento dell’occupazione del comparto.

Le tecnologie disponibili consentono di ripensare il rapporto tra le prestazioni ospedaliere e il territorio con la domiciliarizzazione di una parte dei servizi di cura e di prevenzione potenziando i territoriali dedicati con il concorso degli enti locali e delle imprese del terzo settore.

La sostenibilità della spesa sanitaria dedicata allo scopo impone una razionalizzazione delle prestazioni sanitarie e assistenziali attualmente erogate e un aumento delle agevolazioni fiscali a favore delle forme mutualistiche integrative promosse dalla contrattazione collettiva e della spesa per i servizi di cura acquistati dalle famiglie.

La terza leva da utilizzare è quella di aumentare i percorsi formativi per dotare di personale qualificato i servizi sociosanitari e di valorizzare lo status e le retribuzioni dei lavoratori che si dedicano alla cura dei loro concittadini. L’aumento del tasso di occupazione e la riduzione della quota rilevantissima di lavoro sommerso nei servizi alle persone (il 48%) possono offrire un contributo fondamentale per la sostenibilità dei costi delle prestazioni sociali.

Sono riforme che, per un Paese che registra un elevato invecchiamento della popolazione, possono valere un intero programma di governo, ma che non lasciano spazio alle fantasiose promesse che continuano ad animare le campagne elettorali.

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