Secondo quanto scrive Ilvo Diamanti su Repubblica (“Prima la salute: la sanità italiana crea più ansia di tasse e guerre”, 14 ottobre 2024) “l’attenzione alle cure è cresciuta rispetto a pochi anni fa di tre volte: dal 13% al 40%” e questo sarebbe “un effetto della tensione sociale e della paura per il futuro”. Il dato emerge dall’indagine “Le questioni più importanti per gli italiani”, sondaggio realizzato da Demos & Pi per La Repubblica con una rilevazione che è stata effettuata nei giorni 2-4 settembre 2024 da Demetra, con metodo mixed mode, su un campione nazionale di 1.016 soggetti (risultato di 5.262 tra rifiuti, sostituzioni e inviti, il campione è considerato rappresentativo per i caratteri socio-demografici e la distribuzione territoriale della popolazione italiana di età superiore ai 18 anni).



Ben vengano le valutazioni quantitative come quella di Diamanti, ma non è necessario un sondaggio formale per rendersi conto che la sanità oggi sia oggetto di molta attenzione: basta aprire qualche giornale, quotidiano o periodico, sentire qualche notiziario televisivo di qualsiasi rete, guardare le notizie flash che arrivano gratuitamente su tutti i telefonini, per accorgersi di quanto la salute e la sanità facciano parte del battage informativo di ogni giorno, e non solo per gli eventuali episodi di mala sanità o per i pestaggi al personale sanitario (non appena dentro i pronto soccorso) o per le lamentele sulla lunghezza dei tempi di attesa.



Anche se sui media se ne parla ormai poco nonostante non ne siamo ancora usciti del tutto, abbiamo passato un biennio (2020-2021), e forse più, segnato da una pandemia che ha lasciato per strada quasi 200mila morti, centinaia di migliaia di ricoverati (molti dei quali hanno vissuto settimane drammatiche in terapie intensive, intubati e sul confine tra la vita e la morte), diversi milioni di cittadini infettati (anche più di una volta) e (probabilmente) guariti (salvo gli effetti non ancora noti del cosiddetto “long Covid”), pandemia che da una parte ha richiesto un eccezionale (oltre che imprevisto) sforzo al Servizio sanitario in termini di organizzazione (si vedano tutto il lavoro svolto per mettere in piedi il sistema di vaccinazione, la predisposizione di letti di terapia intensiva, la trasformazione degli ospedali per l’accoglienza separata di soggetti infetti e non infetti, ecc.), di risorse economiche aggiuntive (il Fondo sanitario nazionale (FSN) ha superato il 7% del Pil), di vite umane (centinaia di medici e infermieri deceduti), e dall’altra ha segnato indelebilmente le persone (e soprattutto i giovani) negli affetti, nelle abitudini di vita (isolamento, uso delle tecnologie, ecc.), nelle risorse (perdita di lavoro, chiusura di attività, ecc.), e così via. Pensare che un evento così eccezionale ed imprevisto possa averci colpito lungamente senza lasciare strascichi sulla scala dei valori, sulle priorità, sulle sensibilità e le preoccupazioni di ciascuno appare assai improbabile, e quindi non sorprende che i sondaggi e le indagini campionarie rilevino dei cambiamenti importanti come quelli segnalati da Diamanti.



D’altra parte la sanità, per motivi diversi, riempie quotidianamente le agende della discussione politica. A prescindere dal colore del governo, quella che di volta in volta è la maggioranza non può fare a meno di parlarne perché se ne deve occupare cercando di far quadrare i conti, mentre l’opposizione (che gioca con i soldi del Monopoli) può alzare a piacimento la posta, visto che non paga dazio (si vedano, ad esempio, le recenti proposte di Pd e M5s di portare il FSN al 7,5-8% del Pil). I sindacati, per principio, svolgono il loro compito ed in questo periodo, in cui i problemi del personale sanitario (nuove assunzioni, disaffezione, remunerazione) sono particolarmente presenti, si fanno sentire con diverse iniziative. Non manca poi la voce dei tecnici, sia come gruppo aggregato di scienziati, ad esempio (si pensi alla lettera di qualche mese fa di 14 scienziati sul servizio sanitario), o come rappresentanti di società scientifiche (è di questi giorni la presa di posizione del prof. Cognetti, coordinatore del Forum delle società scientifiche dei clinici ospedalieri ed universitari italiani, con la richiesta di almeno 10 miliardi di euro in più da utilizzare al meglio e senza gli sprechi che ancora purtroppo sono numerosi). E da ultimo, ma solo per essere breve, non mancano le lamentele delle Regioni che reclamano maggiori finanziamenti per la sanità.

Ancora. Secondo l’Istat nel 2023 4,48 milioni di persone avrebbero rinunciato (per uno o più motivi) a visite specialistiche o esami diagnostici pur avendone bisogno, e di esse quasi 2,5 milioni (4,2% della popolazione) vi avrebbero rinunciato per motivi economici, con un aumento di quasi 600mila persone rispetto all’anno precedente. E sempre secondo Istat le famiglie che nel 2023 dicono di aver aumentato, rispetto all’anno precedente, la spesa per visite mediche e accertamenti periodici rappresentano il 4,7% del totale.

Se poi vi aggiungiamo le modificazioni anagrafiche intervenute nella popolazione (allungamento sostanziale della vita, forte aumento della quota di soggetti anziani) ed anche le esperienze e le sensazioni personali (chi scrive ha vissuto tutta la sua vita nel mondo della sanità ed adesso si trova, per ragioni anagrafiche, tra i soggetti considerati fragili e quindi maggiormente esposti a maggiori consumi sanitari) che fanno in modo, come dice un famoso detto secondo il quale “se hai in mano un martello ogni cosa ti sembra un chiodo”, che la salute rappresenti un oggetto del quale occuparsi (o addirittura preoccuparsi) quotidianamente o quasi, non ci si deve allora meravigliare che anche i sondaggi (per quanto su campioni limitati ed in qualche modo selezionati: 1.016 soggetti, di cui il 5% non ha fornito risposte, su 5.262 tra rifiuti, sostituzioni e inviti) registrino un significativo aumento dell’interesse verso i temi della salute a dispetto di altri ritenuti più rilevanti in passate rilevazioni.

Anche alla luce delle considerazioni su esposte, pur non avendo effettuato un mio personale sondaggio, mi sembra di poter condividere nella sostanza i risultati sulla salute dell’indagine Demos. Che poi dietro questi risultati vi siano le ragioni invocate da Diamanti, ed in particolare la tensione sociale e la paura per il futuro, ovvero altre motivazioni è discussione che lascio volentieri a chi di mestiere si occupa di interpretare i comportamenti e le preoccupazioni delle persone e delle famiglie.

Però, come sempre c’è un però (ed in particolare: “in cauda venenum”). L’ultima informazione che Diamanti ci dà è di tipo più politico-partitico, perché dice: “l’attenzione verso la qualità del sistema sanitario appare forte fra gli elettori dell’Avs e del Pd”, e di Azione aggiungo io. Certo, ci può stare che in alcune fette di elettorato orientato, come quello evidenziato da Diamanti, ci sia maggiore sensibilità verso alcune tematiche piuttosto che altre, però l’accento particolare di questo elettorato proprio sulla salute mi ha incuriosito (o forse dovrei dire: mi ha insospettito): si tratta infatti di un elettorato che attraverso i rappresentanti che ha eletto ha governato la sanità del nostro Paese almeno per 10-15 anni (e fino a due anni fa quando è cambiato il governo) portandola quindi, dal punto di vista temporale, alla situazione valutata anche dalla indagine condotta per conto di Repubblica.

È curioso allora (per non dire sospetto) che la salute come problema abbia improvvisamente spiccato il volo (“L’attenzione alle cure è cresciuta rispetto a pochi anni fa di tre volte”) suscitando un interesse che prima era decisamente minoritario. Per natura non sono portato a pensar male, ma una famosa frase ci ricorda che nel farlo si fa peccato ma spesso ci si azzecca.

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