La sanità europea ha sottovalutato il Coronavirus? L’accusa arriva da El Pais, quotidiano spagnolo: si fa riferimento ad una riunione del Centro europeo per il controllo e la prevenzione delle malattie, tenutasi a Solna (in Svezia). Era il 18 febbraio: all’epoca, il Covid-19 era già una realtà tanto da occupare la gran parte dei discorsi anche dei privati cittadini. Come si ricorderà, nemmeno una settimana dopo in Italia sarebbe esploso il caso di Codogno che avrebbe portato alla prima zona rossa nel Paese; poco dopo tutto il Vecchio Continente sarebbe stato colpito da quella che l’Oms avrebbe dichiarato pandemia. Non solo: avremmo saputo dopo che il Coronavirus era entrato nelle case di cura colpendo anche i pazienti ricoverati in terapia intensiva. Tuttavia, nella riunione citata e di cui El Pais ha recuperato il verbale, i 30 esperti della sanità pubblica europea ignoravano quello che si sarebbe poi scatenato.



Si legge di una situazione Coronavirus “sotto controllo”; El Pais riporta come dalle carte del meeting risulta chiaro che nessuno dei presenti avesse capito quello che stava per succedere. Il rischio per la popolazione dell’Europa era considerato basso, nessuno ha considerato necessario avvisare della pericolosità del Covid-19 o anche solo capire se l’epidemia fosse già penetrata sul suolo del Vecchio Continente. Inevitabilmente, non si è nemmeno pensato a quali potessero essere i mezzi per affrontare la malattia, o progettare qualche strategia utile per contenerla. Il quotidiano spagnolo ha riassunto molto bene il quadro dei fatti dicendo che, dei 130 punti discussi nella riunione di Solna, soltanto 20 o giù di lì riguardavano il Coronavirus: oggi, di fronte ai numeri nel mondo, sembra assurdo; è però vero che noi italiani abbiamo sentito, da più parti e a prescindere da colori e bandiere politiche, come ancora alla fine di febbraio fossero in tanti a minimizzare la cosa.



IL CORONAVIRUS VENNE SOTTOVALUTATO

Nel verbale della riunione svedese si legge che le proposte per affrontare il Coronavirus erano state posticipate a due o tre settimane più tardi; a quel tempo, facendo due calcoli, l’Italia era entrata in lockdown totale o stava per farlo, e dunque inevitabilmente era troppo tardi. Non solo: il tema era anche quello della paura tra la popolazione, c’erano dunque Stati (vengono citati Austria e Slovacchia) che tendevano ad evitare annunci allarmistici per non generare il panico da pandemia. “La maggior parte del tempo è dedicato alle discussioni tecniche e preparatorie, come la definizione dei criteri che i pazienti da sottoporre a test devono soddisfare”, ha riportato El Pais. Che ricorda anche che al 18 febbraio scorso erano 45 i casi di Coronavirus diagnosticati in Europa; il Centro aveva sostenuto che le infezioni locali fossero lievi e scarse a livello di numero. La chiave di lettura riguarda la parola “rintracciabili”: l’idea era che i malati di Coronavirus potessero venire facilmente identificati.



Da qui, ovviamente, la diffusione del virus è stata classificata a basso rischio per la popolazione e il sistema sanitario; tuttavia sul verbale si legge di come Mike Catchpole, il capo scientifico del Centro, avesse parlato di una malattia “che si trasmette molto bene” andando ad analizzare i due focolai di un’azienda tedesca e un resort delle Alpi francesi, i primi a manifestarsi in Europa. Aveva espresso dubbi sulle strategie mantenute fino ad allora, ed era stato lui che per primo aveva sottolineato come il Coronavirus (o meglio le malattie in generale) non rispettasse i confini nazionali. Evidentemente però il sentore generale era quello di una situazione ancora sotto controllo, e a vincere in quel meeting svedese era stata la necessità di non mettere eccessivamente in allarme la popolazione dei vari Paesi europei; i risultati sono quelli che abbiamo visto nei mesi seguenti.