“C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d’antico” (Giovanni Pascoli, L’aquilone, 1897). Avesse composto oggi Pascoli la poesia avremmo potuto pensare che scrivendo il primo rigo il poeta stesse ragionando attorno al tema dei tempi di attesa per l’accesso alle prestazioni sanitarie, problema di sicuro molto antico ma che viene continuamente rinfrescato e proposto di nuovo, vuoi per lamentarsi dei lunghi (o lunghissimi) tempi necessari per accedere a molte prestazioni attraverso il SSN, vuoi per segnalare qualche novità, qualche atto amministrativo (centrale o regionale), o qualche tentativo per cercare di riportare tali tempi entro valori più ragionevoli.



Il Decreto-legge 7 giugno 2024, n. 73, convertito con modificazioni dalla Legge 29 giugno 2024, n. 107 (“Misure urgenti per la riduzione dei tempi delle liste di attesa delle prestazioni sanitarie”), ha previsto una serie di attività per affrontare il problema delle liste di attesa. In particolare il comma 1 dell’art. 1 ha previsto che “al fine di governare le liste di attesa delle prestazioni sanitarie, in coerenza con l’obiettivo “Potenziamento del portale della trasparenza” previsto dal sub-investimento 1.2.2.5 della Missione 6 – Salute, componente 1, del Pnrr, presso Agenas è istituita la Piattaforma nazionale delle liste di attesa, (…) finalizzata a realizzare l’interoperabilità con le piattaforme per le liste di attesa delle prestazioni sanitarie relative a ciascuna regione e provincia autonoma”.



La buona notizia (il “C’è qualcosa di nuovo”) è che il ministro della Salute ha fatto circolare la bozza del decreto attuativo che contiene le linee guida per la definizione dei criteri di realizzazione e di funzionamento della piattaforma nazionale delle liste di attesa, linee guida predisposte da Agenas, bozza che dovrà passare ora dalla Conferenza Stato-Regioni. Nello specifico, la proposta di linee guida illustra l’architettura della piattaforma nazionale liste di attesa (PNLA), presenta le modalità di interoperabilità con le attuali piattaforme regionali, identifica i principali attori coinvolti, e delinea i flussi dei processi e dei dati che caratterizzano la piattaforma.



La PNLA si propone di garantire a livello nazionale il monitoraggio relativo alla misurazione delle prestazioni in lista di attesa, alla disponibilità di agende sia in regime di SSN che di ALPI (Attività Libero Professionale Intramuraria), ai tempi di attesa in relazione alle classi di priorità, alla verifica dei percorsi di tutela previsti dal Piano nazionale di governo delle liste di attesa, alla attuazione del regolamento di cui al DM 23 maggio 2022 n. 77 (modelli e standard per lo sviluppo della assistenza territoriale), alla appropriatezza ed al rispetto dei criteri RAO (Raggruppamenti di Attesa Omogenei); ed individua in due macrogruppi gli utenti che possono usufruire dei servizi erogati dalla PNLA, e cioè i cittadini (e le loro associazioni) ed il personale coinvolto nella gestione delle liste di attesa. La piattaforma si contraddistingue per la condivisione dei dati in tempo reale, la possibilità di un interscambio bidirezionale delle informazioni, e la adozione di standard e protocolli di interoperabilità internazionali, e permetterà di operare lungo quattro direttrici di azioni: il monitoraggio e la gestione delle liste di attesa, il supporto strategico alle decisioni, l’attivazione di servizi innovativi, e la sicurezza e protezione dei dati.

La piattaforma è sicuramente uno strumento utile e necessario, ma è uno strumento che agisce principalmente sugli aspetti di trasparenza e su quelli di informazione (con le ovvie ricadute che questi temi hanno su tutto il problema dei tempi di attesa), oltre che procurare benefici legati all’integrazione delle differenti piattaforme regionali: occorre però che a monte ci sia la giusta organizzazione che permetta di erogare le prestazioni in tempi adeguati, altrimenti avremmo creato l’ennesima sovrastruttura tecnologica utile soltanto a chi intravvederà in essa una occasione di business.

Al di là del contenuto tecnico delle linee guida, che lasciamo valutare a quelli del mestiere, la piattaforma ha le gambe per camminare e per dare un contributo utile alla riduzione dei tempi di attesa? Non si vuole mettere le mani avanti o fare la figura dei soliti incalliti pessimisti, però due elementi meritano attenzione.

Il primo si trova già espresso nella bozza di decreto, quando all’art. 2 (“Disposizioni finanziarie”) si dice: “Le attività previste dal presente decreto sono realizzate con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente”. Cioè soldi (più in generale: risorse) per queste attività non ce ne sono. Ora, che la situazione economica del nostro Paese non sia florida e non permetta di scialare non lo scopriamo certo con questo decreto, ma è ipotizzabile fare cose nuove, fare cose che fino a ieri non c’erano, senza risorse? Che successo si pensa possa avere una iniziativa nuova per la quale non è previsto alcun investimento? Sembra persino offensivo della intelligenza comune provare a formulare una risposta.

Il secondo elemento è invece più tecnico e viene suggerito dai risultati di uno studio recente effettuato dalla Fondazione GIMBE sulle informazioni presenti nei siti web di regioni e province autonome e nei siti dei CUP regionali in tema di tempi di attesa, dove sono state valutate la completezza e trasparenza delle informazioni nonché la semplicità e accessibilità delle modalità di prenotazione nei siti CUP. Obiettivo dello studio era quello di identificare le aree dove i portali web potevano essere migliorati per renderli davvero trasparenti e fruibili dai cittadini.

Ne è emerso un quadro molto eterogeneo dove solo alcune province/regioni (Bolzano, Puglia, Toscana, Umbria, Valle d’Aosta, Veneto) hanno superato positivamente la valutazione in tutte le dimensioni analizzate. Basilicata, Campania e Lombardia non hanno un portale unico regionale ma rimandano alle singole aziende sanitarie; Abruzzo, Friuli, Trento e Sicilia hanno un portale unico ma i dati sono aggiornati con ritardo; alcune regioni presentano i risultati solo per l’aggregato regionale mentre altre forniscono anche i dati aziendali; le regioni riportano indicatori diversi per il tempo di attesa (TDA): media, mediana, percentuale di rispetto del TDA; alcune regioni non riportano i dati suddivisi per classe di priorità. Molto eterogenea risulta anche la modalità di accesso alle prestazioni, con diversi sistemi di autenticazione (SPID, carta d’identità elettronica, tessera sanitaria, codice fiscale): si distinguono il Friuli e la Basilicata che permettono di consultare i tempi di attesa senza necessità di autenticazione.

In poche parole: la diversità e l’eterogeneità caratterizzano la situazione odierna dei siti CUP e dei siti web regionali che riportano informazioni sui tempi di attesa: ben vengano quindi le linee guida sulla piattaforma nazionale delle liste di attesa e sui criteri di interoperabilità tra la piattaforma centrale e quelle regionali, ma è evidente che il grosso del lavoro va fatto dalle regioni (e dentro le regioni). La piattaforma di per sé non riduce i tempi di attesa, però le informazioni che essa metterà a disposizione rappresentano certamente un utile risultato per indirizzare le attività organizzative necessarie al “governo” (riduzione) dei tempi di attesa.

Il problema però, e spiace tutte le volte di doverlo ripetere e sottolineare tanto è ovvio, è che per questo lavoro occorrono le risorse, in assenza delle quali tutte queste iniziative hanno un unico e comune destino: il fallimento.

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