È innanzitutto opportuno premettere che le considerazioni esposte si basano unicamente sul contenuto di sintesi del Piano Socio-Sanitario Lombardo recentemente presentato e quindi vengono effettuate senza aver visionato il documento integrale non ancora disponibile. Fatta questa doverosa premessa però colpisce non trovare nel piano una trattazione specifica del tema della sostenibilità nell’ottica di definizione degli obiettivi di salute e dei relativi finanziamenti da assicurare per raggiungere tali risultati. Spesso assistiamo ad inutili polemiche sul livello assoluto delle risorse dedicate al sistema sanitario. Polemiche inutili per due motivi: il primo perché evidentemente esistono dei vincoli di spesa nazionali e regionali entro i quali va gestito il sistema sanitario per chi opera al suo interno; il secondo perché, indipendentemente dal livello di spesa, è necessario e fondamentale che le risorse immesse nel sistema siano correttamente ed efficacemente allocate e utilizzate.
Le proposte
Le proposte che intendo formulare, così come anticipato in altri articoli, sono finalizzate a un’allocazione efficiente ed efficace delle risorse esistenti e contemplano ipotesi di modifica dell’attuale modalità di remunerazione delle prestazioni. L’allocazione efficiente delle risorse in ottica di valore comporta la necessità di passare da logiche di mera erogazione, disancorate dagli effetti che producono, a logiche di misurazione degli esiti dell’azione sanitaria sui pazienti. Il cosiddetto outcome.
Allocare in maniera efficiente le risorse in sanità comporta pertanto la individuazione di risultati di salute che si intende raggiungere nell’azione sanitaria e la determinazione delle risorse necessarie per raggiungere questi risultati. Si tratta dunque di definire dei budget di salute composti da obiettivi di salute da definire per i pazienti e correlare le risorse economiche e strumentali necessarie per raggiungere questo obiettivo. Regione Lombardia, può, per le esperienze maturate negli anni precedenti, in particolare nelle riforme 2016-2018 e in quella successiva varata a fine 2021, proporre una sperimentazione nella quale applicare tali logiche a tre differenti ambiti di erogazione: quella ospedaliera, quella territoriale, quella della gestione delle liste di attesa.
Gli ospedali
Relativamente alla gestione ospedaliera il DM 70 già individuava degli standard di erogazione che classificavano gli ospedali in base ai livelli di complessità delle prestazioni previste nei vari presìdi. Esistono inoltre KPI (Key performance indicators) specifici di carattere chirurgico e clinico che da anni nel Piano Nazionale Esiti monitorato da Agenas vengono osservati ma non utilizzati per prendere poi decisioni in termini di allocazione delle risorse. È infatti sotto gli occhi di tutti che non è più sostenibile avere reparti ospedalieri che non rispettano determinati indicatori di salute per i pazienti e prevedere che l’azione sanitaria sia indifferenziata e, spesso, sovrapposta.
Si propone di definire una serie di KPI fondamentali nei due ambiti clinico/medico e chirurgico e prevedere, in sostituzione all’erogazione sanitaria in termini di DRG (Diagnosis related groups) clinici e chirurgici, l’individuazione e la definizione di un costo standard, una sorta di costo industriale, da associare al raggiungimento di questi risultati di salute in termini di costi del personale, costi di dispositivi medici e costi di dotazione tecnologiche necessarie per l’erogazione.
Va pertanto sostituita l’attuale impostazione di remunerazione a prestazione, caratterizzata da silos separati tra i budget di ricavi e quelli dei costi, con una impostazione per esito clinico che combina risultati e risorse necessarie. L’osservazione dei risultati della sperimentazione consentirà di ripartire il budget tra le strutture che offrono maggiore qualità. Prevedere delle targhette che distinguono strutture ospedaliere a livello di Dea di primo o secondo livello, o prevedere la distinzione tra strutture ospedaliere ed ASST senza una logica di misurazione e remunerazione della qualità offerta ai pazienti risulta una mera operazione teorica e poco significativa.
La risultante del processo di misurazione deve poi favorire percorsi di razionalizzazione e l’aggregazione multidisciplinare tra strutture ospedaliere nell’ottica del raggiungimento dell’esito del paziente. In questo senso esistono già degli esempi rilevanti di accordi multidisciplinari e interaziendali in Regione Lombardia come la breast unit tra ASST Melegnano e Martesana e Gruppo San Donato, creata nel 2018, e disciplinata da un protocollo validato dalla ATS di Milano, nata proprio per raggiungere gli obiettivi di volume e tempestività delle cure imposti dai parametri del Piano Nazionale Esiti con un team misto di operatori delle due strutture sanitarie che agisce secondo processi codificati.
Sul territorio
Per quanto riguarda invece l’applicazione territoriale si propone di valorizzare le esperienze già percorse nella prima e nella seconda riforma del sistema sanitario lombardo, quando sono stati investiti molti sforzi nella definizione dei cosiddetti PAI (Piani assistenza individuale), in ottica di applicazione del nuovo modello dettato dal DM 77. Per abbandonare la sterile polemica sulle case della salute che rappresentano solo operazioni immobiliari o al meglio di restyling di strutture esistenti, vanno valorizzati e misurati i processi interni multidisciplinari che si sviluppano all’interno delle strutture territoriali fra operatori della salute e sociosanitari. Ad oggi, come evidenziato nel documento del Piano socio-sanitario 2023-2027, meno del 10% dei pazienti cronici della Regione Lombardia risultano assistiti attraverso un percorso di presa in carico.
Una così bassa percentuale deve indurre a ripensare il processo oggi presente. L’ingaggio con i medici di medicina generale (MMG) deve essere rivisto per una aderenza ai percorsi che passi da una dimensione sperimentale a una dimensione industriale e massiva. Come noto, per gestire in maniera efficace le patologie croniche vanno definiti i percorsi di presa in carico e riadattati alla logica della dimensione del DM 77 che prevede l’interazione con gli infermieri di famiglia e di comunità e con gli assistenti sociali. Inoltre delle 64 patologie croniche definite all’interno dalla Banca Dati Assistiti della Regione Lombardia oltre il 70% della numerosità per soggetto e per spesa è concentrata all’interno di 5-6 patologie croniche maggiormente ricorrenti.
Quindi si tratta di pochi PDTA (Percorsi diagnostici terapeutici assistenziali) che vanno riverificati in queste direzioni: vanno valutate le interazioni tra professionisti nelle varie fasi della malattia, il chi fa cosa quando; vanno definite le prestazioni ripetitive da effettuare durante la diagnosi ed il follow up; va definito il piano terapeutico farmacologico senza bisogno di ripetere le ricette; vanno prenotate le prestazioni di visita e prestazioni ambulatoriali senza bisogno del passaggio ai CUP da parte delle COT (centrali operative territoriali).
Patologie croniche
Necessario poi andare a misurare quale sia il ritorno in termini di riduzione dei fenomeni di accesso inappropriato nei Pronto soccorso e di riduzione dei fenomeni di riacutizzazione delle patologie croniche. Questi approcci di presa in carico sulle patologie croniche poi vanno applicati per remunerare i MMG in ottica diversa da quella capitaria. La remunerazione dei MMG può infatti in parte essere agganciata agli esiti di salute sui percorsi di presa in carico dei pazienti cronici. Anche in tal senso esistono modelli e sperimentazioni già applicati. Si tratta di applicarli. È infatti dimostrabile che l’aderenza ai PDTA crea per il sistema nel complesso una minore spesa complessiva che in parte può essere restituita ai MMG che la applicano nei propri pazienti con un doppio vantaggio, per il paziente e per il sistema. Anche l’utilizzo della telemedicina va incentivato al fine di utilizzare lo strumento tecnico per verificare l’aderenza terapeutica ed evitare scompensi connessi alla scorretta assunzione farmacologica.
Liste d’attesa
Infine relativamente al tema della riduzione delle liste di attesa la soluzione non può essere ricercata unicamente nella realizzazione del CUP unico o nella eliminazione delle doppie prenotazioni, ma deve invece affrontare con coraggio e metodo di lavoro il tema della inappropriatezza prescrittiva, tema unicamente accennato nel Piano Socio-Sanitario ma non affrontato in termini di soluzioni. I tentativi, inoltre, di riduzione delle liste di attesa effettuati solo con un aumento dell’offerta, peraltro finanziata con ore aggiuntive incentivate che vanno ad agire sugli stessi professionisti che sono già impegnati oltre gli orari ordinari da diversi anni, risulta una strategia criticabile perché inefficace e perché genera ulteriore domanda inappropriata.
Le prestazioni
Circa il 70% delle prestazioni ambulatoriali erogate dalle strutture sanitarie sono di classe P (programmabile a 120 giorni). Lì si annida una grande fetta della inappropriatezza che riguarda valori che ben superano quelli che oggi anche il ministero della Salute ammette e denuncia. In questo ambito bisogna agire su due fronti.
1) Evitare l’errore di chiedere a tutte le strutture un incremento indiscriminato dei livelli di produzione scorrelati dalla domanda e dalla misurazione dei tempi di attesa, come è invece avvenuto negli ultimi anni post Covid sulle prestazioni ambulatoriali e di ricovero con il cosiddetto obiettivo del 10% aggiuntivo rispetto al 2019. Identificare i gap sui tempi di attesa a livello di singolo territorio e in maniera sinergica e complementare tra le strutture e richiedere incrementi a chi li può sostenere. I budget di spesa assegnati alle Aziende Ospedaliere spesso sono bloccati da valori storici e disancorati dai dati relativi alla qualità o al rispetto dei tempi. Anzi spesso si assiste a tagli dei livelli dei budget assegnati solo dovuti alla riduzione dei volumi anche se quei volumi rispettano i tempi di attesa.
2) Agire in parallelo per valutare l’appropriatezza delle prestazioni non urgenti ovvero quelle di classe D (a 30 e 60 giorni seconda che siano visite o prestazioni diagnostiche) e di classe P. Trasformare quelle di classe P da Programmabili a Presa in carico. Vanno disincentivate le prescrizioni di prestazioni non assistite da PAI che derivano da precisi PDTA prescritti nei percorsi delle case della comunità. Tale ri-orientamento di risorse ridurrebbe drasticamente l’inappropriatezza e libererebbe risorse umane e tecnologiche per le prestazioni veramente necessarie. Le P diverse da quelle non previste da piani di presa in carico e che derivano unicamente da accertamenti di prime visite per diagnosi di malattie presunte e da verificare, devono essere verificate da una interazione tra MMG e specialista ospedaliero. Con questa proposta si stima una riallocazione di risorse utili pari ad almeno il 30% delle risorse ambulatoriali.
L’insieme di queste iniziative deve quindi favorire una logica attiva nell’assegnazione delle risorse economiche strumentali da parte di regione che sia orientata al raggiungimento di definiti esiti di salute. Chi non è in grado di sostenere queste logiche deve essere oggetto di specifici piani di valutazione e riorganizzazione. Le stesse logiche dovranno poi essere applicate nelle assegnazioni di riparto tra Stato e Regioni al fine di superare le logiche di gestione della spesa oggi basate su silos non comunicanti. Solo la misurazione dei risultati può portare al miglioramento.
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