Approfittando dell’emergenza coronavirus, i fautori dello statalismo stanno cercando di dare una spallata al modello sanitario lombardo. Dopo aver smontato una per una le “accuse” legate alla gestione del Covid-19, è il momento di affrontare uno snodo decisivo del contendere: il rapporto con le strutture private, che secondo Repubblica è “il peccato originale”. Il sistema lombardo ha lasciato troppo spazio al privato convenzionato a scapito del pubblico? Nell’emergenza coronavirus i privati si sono dimostrati troppo poco collaborativi? E soprattutto: il privato pensa troppo alle attività e prestazioni più redditizie? “Il sistema privato – risponde Luca Merlino, direttore generale del centro cardiologico Monzino – non svolge attività marginali o solo di tipo redditizio, ma è coinvolto su tutti i livelli, compresa l’emergenza urgenza. Proprio un’alleanza autentica tra strutture sanitarie private accreditate e ospedali pubblici ha permesso di non far deflagrare ancora di più l’emergenza che così violentemente ha colpito la Lombardia, mettendo in campo le migliori competenze cliniche e scientifiche. Basta guardare i numeri, veri, sulle disponibilità delle strutture private per affrontare l’epidemia Covid-19”.
Proviamo a ricordarli.
Prima dell’emergenza, su un totale di posti letto nelle terapie intensive ben il 30%, cioè 270, erano offerti dai privati e la stessa percentuale si registrava sui posti letto acuti accreditati: 8.620 su un totale di 29.308. In piena emergenza Covid, in poco più di due settimane, dal 13 al 30 marzo, i posti letto in terapia intensiva messi a disposizione del privato sono passati da 270 a 484, mantenendo una percentuale del 28% sul totale, e i posti letto in degenza sono quasi raddoppiati: da 2.621 a 4.975, pari al 40% del totale.
Un contributo non certo residuale…
Sì. Gli erogatori privati contribuiscono in modo essenziale e non accessorio alla qualità complessiva del sistema sanitario regionale e raggiungono anche livelli elevati di eccellenza e di attrattività.
Che ruolo gioca il privato?
Il privato gioca la sua parte anche su ambiti di “base”, ma essenziali e vitali per il sistema, quali le attività di emergenza urgenza e quelle ambulatoriali. Per esempio, il 44% delle attività ambulatoriali, pari a circa 62 milioni di ricette annuali, sono garantite da strutture di diritto privato e il 22% degli accessi di pronto soccorso avvengono presso strutture di diritto privato.
E sul fronte dell’emergenza urgenza?
La partecipazione del privato alla rete dell’emergenza urgenza è molto simile, in termini percentuali, a quella che registra nelle attività di ricovero in genere. Il 25% dei pazienti che vengono ricoverati lo sono infatti presso strutture di diritto privato.
Cosa ci dicono questi numeri?
Questi dati confermano un coinvolgimento di pari intensità del privato sia nelle attività programmabili sia in quelle di emergenza urgenza. Il coinvolgimento del privato nella rete dell’emergenza urgenza e delle attività ambulatoriali con una logica paritaria e non suppletiva è esclusivo di Regione Lombardia e non ha pari sul territorio nazionale.
I servizi offerti dai soggetti privati sono di qualità?
Il privato gioca un ruolo importante anche nel mantenere elevato il livello di eccellenza qualitativa del Servizio sanitario regionale e contribuisce in modo essenziale, con i propri investimenti tecnologici, alle dotazioni strumentali a disposizione dei cittadini regionali e non. In Lombardia vi sono 18 Irccs – Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (19 se si include l’Inrca di Ancona che ha sedi anche in Lombardia), il 40% del totale nazionale, di cui 4 pubblici, istituiti in Fondazione, e 14 privati.
Grazie a queste eccellenze, il privato in Lombardia attira anche pazienti da altre Regioni?
Certo. L’11% dei pazienti mediamente ricoverati proviene da altre Regioni e questa percentuale nelle strutture private arriva al 20%. L’attrattività delle strutture private verso cittadini provenienti da altre Regioni rappresenta l’indicatore principale di qualità di un servizio sanitario e raggiunge percentuali superiori al 30% con picchi prossimi al 50% in radioterapia, oncologia, oncoematologia, urologia, chirurgia, ortopedia, cardiologia, chirurgia vascolare, neurochirurgia e cardiochirurgia.
(Marco Biscella)
(2-continua)