“Sento molte falsità in queste ore su sanità e legge di Bilancio. E allora facciamo ancora più chiarezza: +6,4 miliardi per la sanità in 2 anni (+2,37 miliardi nel 2024 e +4,12 miliardi nel 2025). Record della storia d’Italia per il Fondo sanitario nazionale: 136,48 miliardi nel 2025 e 140,6 miliardi nel 2026. Questi i numeri. Il resto sono mistificazioni”. Questo è quanto scrive il presidente del Consiglio Giorgia Meloni su X per fare chiarezza a proposito delle numerose critiche che sono state sollevate sullo stanziamento per la sanità presente in legge di Bilancio. Non so a cosa sia dovuta la confusione di numeri che ha caratterizzato la preparazione (e questo è facilmente comprensibile perché i “tiratori della giacchetta” del ministro dell’Economia sono sempre molti e variegati), ma soprattutto l’approvazione della manovra economica da parte del Consiglio dei ministri (e questo è invece molto meno comprensibile, al punto che ha dovuto intervenire prima una precisazione del Mef e poi la, piccata, dichiarazione del presidente del Consiglio): vero è che confusione c’è stata (trascurando gli ovvi e opposti commenti di maggioranza e opposizione, basta guardare le notizie apparse sui diversi media) e non se ne capisce il motivo considerato che non si tratta di un documento che deve rimanere segreto. Ma tant’è: questo è il Paese in cui viviamo.
Giorgia Meloni ha ragione a dire che 138,5 miliardi di Fondo sanitario nazionale (Fsn) è una cifra che, a valori correnti, è la più alta (in valore assoluto) messa in sanità da un Governo. D’altra parte, però, sappiamo che i valori correnti sono anche valori che possono risultare ingannevoli perché non tengono conto dell’inflazione e del reale costo della vita, e che i confronti con gli altri Paesi vengono fatti non sui valori assoluti (i miliardi) ma su quelli relativi, rapportando cioè il Fsn al Pil, e in questo caso siamo ancora su percentuali decisamente inferiori a quelle delle nazioni con cui usualmente ci confrontiamo: con questi tre argomenti ho già prefigurato il tono delle possibili reazioni politiche dei prossimi giorni in tema di finanziamento della sanità.
Troppo poco, dice l’opposizione, bisogna metterne di più. Ne abbiamo messi di più di quelli che avete messo voi negli anni passati, risponde la maggioranza. E se il Governo ne avesse messi 10 di miliardi (anziché 2,37) cosa sarebbe successo? Temo ci sarebbe stato lo stesso tipo di commenti (dovevate metterne di più, dicono gli uni; ne abbiamo messi più di voi, risponderebbero gli altri) perché fa parte della normale dinamica che regola i rapporti tra maggioranza e opposizione.
Ma noi cittadini (sostanzialmente spettatori in questa fase, in attesa di diventare attori quando ci sarà da votare) come la vediamo? Non mi risultano sondaggi sulla popolazione nei quali sia stato chiesto qualcosa in merito e quindi posso solo rifarmi all’esperienza personale e ai colloqui con amici, conoscenti, interlocutori occasionali, dove l’età anagrafica dei partecipanti da sé fa capire come la salute, nel senso di stato di salute di chi discute, oltre al calcio, sia il tema cui vanno le considerazioni prevalenti. E se a queste considerazioni vogliamo attribuire qualche rilevanza è fuor di dubbio che la sanità debba meritare grande attenzione nell’agenda politica (e su questo nessuno obietta), così come è altrettanto evidente che ciò implichi un aumento delle risorse da dedicare al Fsn (per chi sa cosa è). Ma se si passa al “conquibus” la valutazione diventa più incerta e replica le cifre e le posizioni che si leggono e si sentono attraverso i media: da questo punto di vista un sondaggio sarebbe del tutto inutile per la manifesta incompetenza (e disinteresse: vedi oltre) dei potenziali intervistati.
La situazione cambia del tutto, invece, se dai soldi (per i quali si lascia che la discussione la facciano gli esperti) si passa ai problemi che caratterizzano negativamente la sanità: in questo caso le esperienze individuali, gli aneddoti, i casi concreti e personali, si sprecano e assumono caratteristiche e colorazioni locali sulla cui generalizzabilità è almeno lecito dubitare e che nel merito suscitano spesso l’ilarità (e a volte l’incazzatura) dei presenti.
Le chiacchierate da bar sport, però, al di là delle esagerazioni e delle immaginifiche descrizioni che alcuni amano fare, permettono di leggere le preoccupazioni e le esigenze dei cittadini (o almeno di alcuni di essi), perché è noto che “la lingua batte dove il dente duole” e allora ecco che emergono i problemi più sentiti: la lunghezza delle liste di attesa (in particolare delle prestazioni ambulatoriali), la mancanza di personale (soprattutto di infermieri/e), il caotico funzionamento dei pronto soccorso, il difficile rapporto con il medico di base, il costo dei farmaci e di altri prodotti disponibili in farmacia, le difficoltà di accesso ai servizi socio-sanitari, l’assistenza giornaliera agli anziani e ai disabili, e l’elenco potrebbe procedere per pagine e pagine. L’unico riferimento ai temi economici emerge quando, per via di tempi di attesa giudicati troppo lunghi o comunque per esigenze ritenute urgenti, si decide di adire alle attività in intramoenia (che sono a pagamento) oppure alle prestazioni a totale pagamento erogate dal privato.
Non si vuole con questo sottintendere che il servizio sanitario non ha problemi economici, perché è ovvio che per affrontare le criticità esemplificativamente elencate occorrono adeguate risorse (e su cosa si debba intendere per “adeguate” è ovvio che il dibattito è aperto e si possono avere idee molto differenti), ma le chiacchiere dei cittadini ci avvertono che per mettere mano ai problemi del Ssn non è sufficiente parlare solo di risorse e di quanto deve essere grande il Fsn.
Qualche risorsa (alcuni miliardi) versata in più nel Ssn fa certamente comodo e serve, sempre se spesa adeguatamente e non sprecata in attività non necessarie (medicina difensiva, inappropriatezza, inefficienza, …), ma il Ssn ha bisogno ben di più di qualche miliardo di euro: ha bisogno di rifondarsi, di ridefinire i propri principi e le proprie attività (livelli essenziali di assistenza), di tornare attrattivo e soddisfacente per le maestranze che vi lavorano già o che vi vorranno lavorare in futuro, se non vuole che con l’allungarsi della sua vita (avendo superato i 45 anni di età) si cronicizzino (e poi diventino inguaribili) le magagne che l’età si porta inevitabilmente appresso. La presenza di cronicità multiple e di plurime malattie non è prerogativa degli uomini (e delle donne) che invecchiano ma investe tutti i sistemi, anche se le specifiche età che definiscono la vecchiaia possono risultare diverse: e 45 anni per il Ssn appaiono già una bella età, non c’è bisogno di arrivare a 65, 70, o 75 anni per accorgersi che si è anziani o vecchi.
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