“Negli ultimi trent’anni (oggi possiamo dire settanta) – scrivevano il prof. Pellegrino e il prof. Thomasma negli anni novanta – nell’etica medica sono avvenuti cambiamenti più che nella storia dai 25 secoli precedenti”.

Dal noto giuramento di Ippocrate, che sanciva la sacralità dell’arte medica e, da una certa lettura tardiva, del cosiddetto paternalismo medico (Percival), si è passati ad una visione laica della medicina e ad una forte accentuazione dell’autonomia del paziente (uno dei tre principi della bioetica anglosassone), con conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti.



Le cause di questa trasformazione erano e sono riconducibili a tre fattori: la gestione democratica del potere; l’educazione pubblica; il pluralismo morale (cfr. E.D. Pellegrino, D.C. Thomasma, Medicina per vocazione, Dehoniane, 1994)

A questi occorrere aggiungere, a questo punto, un quarto fattore, che è la trasformazione degli ospedali e delle case di cura in aziende da condurre managerialmente. In Italia questo cambiamento lo si può fare risalire sempre agli anni 90.



Tenendo presenti questi fattori, l’etica medica non la si può più intendere come fino agli anni 60. Al di là del fatto che molti problemi che erano di pertinenza dell’etica medica oggi sono rivendicati dalla bioetica, lo stesso rapporto medico-paziente, centrale nella concezione dell’etica medica, non è più da intendersi nel modo tradizionale.

A causa dei cambiamenti sopra citati, il rapporto non è più ristretto tra il medico e il paziente. La famiglia, le altre figure professionali della salute, il sistema gestionale dell’azienda sanitaria locale, la politica sanitaria sono fattori che sono entrati in gioco, per cui, semplificando, si può dire che l’etica medica nel recente passato riguardava almeno tre componenti: il paziente, il medico e le altre figure professionali, e la società, in ordine di importanza invertito rispetto al passato.



Oggi possiamo dire che l’etica medica è totalmente negletta. Venuta meno la fiducia del paziente nel medico, e l’autorevolezza del medico stesso nei confronti del paziente, si assiste a una vera e propria aggressione contro i medici e il personale sanitario in genere, appena l’ammalato o i familiari si sentono trascurati. I casi si sono moltiplicati negli ultimi anni e oggi ci si trova in una situazione davvero insostenibile. Tant’è che i sanitari fuggono dai Pronto soccorso e dai reparti a rischio e minacciano di chiudere gli ospedali. Perfino i concorsi per il personale sanitario vengono disertati. Si è passati dal Welfare al Far West!

Che fare? Analizzare le cause sembra poco. Allora si invoca la forza pubblica a presidio di ospedali e case di cura. A nostro avviso ciò non basta. Può coprire qualche falla, ma non risolvere. Il conflitto autonomia del paziente-dovere del medico è risolvibile solo in un rapporto di fiducia reciproca. Seguendo ancora i nostri autori, occorre stabilire una nuova alleanza tra medico/personale sanitario e paziente. La “beneficialità nella fiducia” è la formula adoperata da Pellegrino e Thomasma per esprimere questo rapporto. Ma anche ciò non basta, a nostro avviso. Occorre che il medico e gli operatori sanitari ritrovino quella che una volta veniva chiamata “vocazione”, come si riscontra ancora nel testo citato, e il malato e la sua famiglia sappiano comprendere che gli operatori non sono onnipotenti. Aggiungiamo che le risorse sanitarie meritano di essere aumentate e i presidi“umanizzati”. L’ospedale deve ritrovare la sua fisionomia originale: luogo di accoglienza e di cura.

Per i cristiani l’ammalato è la figura di Cristo sofferente, e quindi degno di essere assistito con amorevolezza e rispetto, che si accompagna ad una sana professionalità. I santi della carità non sono comparsi invano lungo la storia. San Camillo, san Giuseppe Moscati, santa Madre Teresa, per citarne alcuni più noti, non si sono risparmiati in una sola stagione. Così la dedizione dei professionisti della salute durante il Covid non può essere dimenticata, al punto di essere considerati oggi nemici da colpire e da offendere.

Questo contributo si basa sull’esperienza e il servizio negli ospedali pubblici per 36 anni e ora a domicilio, dove si incontrano altre ferite fisiche e morali. Oso sperare che questo breve scritto porti il dibattito in corso sui binari giusti.

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