La legge istitutiva del Sistema sanitario nazionale (SSN) risale a 45 anni fa e necessita ormai di una revisione strutturale, che mantenga però le sue principali caratteristiche: la gratuità e l’universalità. Un binomio che affonda le sue radici nella nostra Carta costituzionale e che ne ha decretato il successo fin dagli inizi, secondo una formula che potremmo parafrasare in questo modo: nessuno escluso e tutto incluso. Il nostro sistema sanitario negli ultimi decenni si è andato sviluppando secondo un doppio binario, da un lato gli ospedali, con competenze sempre più evolute e con una dotazione tecnologica sempre più sofisticata, e dall’altro la medicina extra-ospedaliera, affidata ai medici di medicina generale (MMG). Questi ultimi sono attualmente sotto stretta osservazione, per capire in che modo possano contribuire a risolvere alcune delle criticità più vistose del sistema, per esempio le lunghe file di attesa e il sovraffollamento dei Pronto soccorso, a cui afferiscono richieste che potrebbero essere adeguatamente soddisfatte anche in altri modi.
A tutto ciò si aggiunga il cambiamento di molte patologie che, pur non risolvendosi del tutto, evolvono verso la cronicità e richiedono trattamenti diversamente modulati per venire incontro alle esigenze dei pazienti e delle loro famiglie. Esigenze che hanno sempre più spesso una matrice sociosanitaria, di cui il SSN stenta a prendere atto. In questo ambito vanno compresi i milioni di anziani che rappresentano il tetto della piramide rovesciata con cui i demografi disegnano il nostro Paese. Davanti al bivio che vede da un lato la medicina ospedaliera sempre efficiente e dall’altro la medicina territoriale sempre più incerta, non possiamo stupirci che ogni anno ci siano oltre 20 milioni di accessi al Pronto soccorso, il 90% dei quali non richiede alcun ricovero. Sarebbe bastato andare dal medico di base; investire nella medicina territoriale significa anche intervenire su queste problematiche, alleggerendo il carico di lavoro inappropriato che grava sul Pronto soccorso.
Potrebbe essere molto interessante, quindi, capire il ruolo dei MMG in questa fase di transizione del nostro sistema sanitario. È indispensabile, infatti, risolvere alcune criticità che fanno registrare un forte livello di insoddisfazione nella popolazione. Dobbiamo prendere atto che il nostro SSN oggi non è né gratuito né universale, dal momento che c’è uno spostamento continuo dei pazienti verso un sistema privatistico, per ottenere prestazioni che il sistema pubblico non sembra in grado di soddisfare in tempi ragionevoli; tanto da apparire intollerabile nella percezione di chi sta male o teme di stare male. E poiché non tutti possono permettersi di affrontare i costi della assistenza privata, resa necessaria dalle lunghe file di attesa, a conti fatti non possiamo più parlare neppure di sistema universale, perché solo chi dispone di adeguate risorse economiche riesce a curarsi. Gli altri debbono forzatamente rinunciare ad ottenere le cure necessarie nei tempi corretti e debbono lasciare che la malattia faccia il suo corso, con le conseguenze che ne derivano.
Secondo il ministero della Salute ogni cittadino iscritto al SSN ha diritto a un medico di medicina generale (MMG), il cosiddetto medico di famiglia, attraverso cui può accedere a tutti i servizi e prestazioni inclusi nei Livelli essenziali di assistenza (LEA). Il MMG non è un medico dipendente del SSN, ma lavora in convenzione con l’Azienda sanitaria locale (ASL): il suo rapporto di lavoro è regolamentato dall’Accordo collettivo nazionale, dagli Accordi integrativi regionali e dagli Accordi attuativi aziendali a livello delle singole ASL. In linea di massima dovrebbe esserci un MMG ogni 1000 persone e ogni MMG dovrebbe avere non più di 1.500 pazienti. Attualmente però il 42,1% dei medici supera il tetto massimo consentito, riducendo molto probabilmente la qualità dell’assistenza. In questo modo la carenza di MMG diventa un ulteriore problema nel SSN, perché il paziente finisce col rivolgersi al Pronto soccorso per le questioni urgenti e agli ambulatori ospedalieri per le questioni specialistiche. La carenza dei MMG oggi riguarda tutte le Regioni, sia pure per ragioni diverse: mancata programmazione, pensionamenti anticipati, medici con numeri esorbitanti di assistiti, impossibilità di trovare un MMG nelle vicinanze del domicilio, con conseguenti disagi, soprattutto nelle aree disagiate.
Secondo le stime dell’ENPAM, l’Ente di previdenza dei medici, entro il 2031 dovrebbero andare in pensione circa 20mila MMG. Ma poiché il numero di borse di studio ministeriali destinate al corso di formazione specifica in medicina generale è stato di 1.000 borse annue fino al triennio 2014-2017, e di 3.500 nel triennio successivo, è facile prevedere che il numero dei giovani formati o avviati alla formazione in medicina generale può coprire solo il 50% dei posti di MMG lasciati scoperti dai pensionamenti. Ci troviamo quindi davanti alla ragionevole proiezione di un numero insufficiente di MMG, in gran parte già sovraccaricati da un numero eccessivo di assistiti, e loro stesi con un’età anagrafica decisamente avanzata. In alcune Regioni meridionali la fascia dei MMG più anziani arriva a superare l’80%: Calabria (88,3%), Molise (83,2%), Campania (82,7%), Sicilia (82,6%), Basilicata (82,1%). Secondo i dati Agenas nel 2025 il numero dei MMG diminuirà di 3.452 unità rispetto al 2021, con nette differenze regionali. In particolare, saranno alcune Regioni del Centro-Sud nel 2025 a scontare la maggior riduzione di MMG: Lazio (-584), Sicilia (-542), Campania (-398), Puglia (-383).
È urgente mettere in atto una strategia multidimensionale, che non si limiti solo al fattore quantitativo: calcolare meglio quanti sono i MMG necessari nei prossimi anni, ma che metta in atto la riforma strutturale prevista dal PNRR in fatto di assistenza territoriale: Case di comunità, Ospedali di Comunità, assistenza domiciliare, telemedicina. Occorre creare una Rete di prossimità in cui ogni persona attraverso il MMG possa avere accesso alle cure specialistiche, anche attraverso il fascicolo sanitario elettronico e il rafforzamento delle attività di teleconsulto. Bisogna rilanciare le reti degli studi professionali, con un livello appropriato di tecnologia, interconnessione e personale di supporto per permettere forme di integrazione multiprofessionali di assistenza sul territorio. In questo modo si potrebbe realizzare una vera e propria sburocratizzazione, che permetta di evitare perdite di tempo, inutili doppioni nelle richieste, facilitando la massima appropriatezza del servizio.
Ogni persona ha diritto ad avere un MMG con cui stabilire uno stretto rapporto di fiducia. Serve una Rete One Health di medicina territoriale in cui il MMG è il garante della salute del paziente e riesce a dargli la certezza della continuità e prossimità nel servizio in tutte le fasi di prevenzione, cura e assistenza di molti di quei bisogni che, se correttamente programmati e organizzati, non richiedono ospedalizzazione. Per ottenere questi obiettivi o per lo meno per avvicinarsi alla loro realizzazione, occorrerebbe incidere almeno su tre dimensioni:
1) La formazione del MMG, con un coraggioso cambio di prospettiva. La sua specializzazione, al pari di tutte le altre specializzazioni, compreso l’aspetto remunerativo, dovrebbe prevedere un tirocinio più ampio e approfondito, anche a livello ospedaliero, nelle aree di maggior rilevanza sul piano epidemiologico: dalle patologie cardio-vascolari alle malattie infettive; dalla gestione del paziente oncologico alle varie patologie legate alla sindrome metabolica, con particolare attenzione a tutti i complessi fenomeni dell’invecchiamento. È chiaro che la sua possibilità di gestire situazioni più complesse è strettamente legata alla sua maggiore competenza clinica. Come è prevista la figura del Pediatra di base, si potrebbe prevedere anche la figura del geriatra di base, per i pazienti da 65-70 in su.
2) L’orario di lavoro degli studi di MG dovrebbe passare dalle attuali 15 ore almeno alle 25 ore settimanali, aumentando il tempo a disposizione nello studio e il tempo dedicato alle visite domiciliari, fino a coprire, per chi lo desidera, e vuole e può farlo, il tetto delle 38 ore lavorative. Molti pazienti, i cosiddetti fragili, assorbono maggiore attenzione, anche in termini temporali, ed essendo molto complessa bisogna coordinarla con gli altri professionisti del SSN. È un ruolo che dovrebbe toccare al MMG che dovrebbe mantenerne la regia. Ovviamente occorre una diversa remunerazione, da negoziare nei tempi e nei modi opportuni.
3) Il modello di lavoro: i medici di base più consapevoli del loro ruolo debbono creare studi associati in cui le tecnologie disponibili per un approfondimento diagnostico siano facilmente accessibili al personale che lavora nel centro, facilitando tempi e spazi per la discussione nel caso di pazienti più complessi; condividendo le scelte strategiche per la qualità di vita del paziente, soprattutto quando è necessario assumere una prospettiva sociosanitaria, rendendo disponibili le competenze avanzate dei diversi MMG, molti dei quali sono in possesso anche di ulteriori specializzazioni.
Nello stesso tempo va rivista la dinamica della relazione tra il MMG, il paziente e la sua famiglia. Occorre ripensare ad un modello di Medical education in cui ci sia maggiore consapevolezza dei reciproci diritti e doveri. Il medico di famiglia è, senza dubbio, una grande risorsa che il SSN mette a disposizione dei cittadini. Scegliere un medico di base non è cosa semplice; in genere c’è sempre qualche amico che consiglia il proprio perché si è trovato bene, perché viene ascoltato e seguito. Questa dimensione amicale, sottesa alla relazione professionale, aiuta ad affrontare con il proprio medico problemi e difficoltà che difficilmente si condividerebbero con qualcun altro. È una relazione asimmetrica che si fonda sulla fiducia e sulla stima e implica una particolare gratitudine, anche perché quel servizio non viene pagato direttamente, ma da un sistema che in un certo senso appare invisibile.
Eppure, questo rapporto non ha nulla di quell’anonimato che a volte il paziente può sperimentare quando va in ospedale e trova un medico esperto, ma non il “suo” medico. Il rapporto con il medico può avere molte implicazioni emotive e il vissuto del paziente non si può mai sottovalutare. Correttezza, chiarezza, rispetto profondo, sono caratteristiche fondamentali di un buon rapporto, che implica interventi anche sullo stile di vita, sulla promozione di comportamenti sani, inclusi gli interventi e le azioni di promozione e di tutela globale della salute, lo sviluppo e la diffusione della cultura sanitaria e la sensibilizzazione; il counselling per la gestione della malattia o della disabilità e la prevenzione delle complicanze. Di fatto finora nulla è stato fatto per organizzare una rete di servizi integrata tra la medicina territoriale e i servizi di urgenza ed emergenza; tra ospedale e territorio, tra sanitario e sociale. La sfida del prossimo modello organizzativo non può che essere l’interconnessione dei sistemi e delle reti. Le risorse economico-finanziarie sono necessarie ma insufficienti. Serve un modello nuovo!
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