Lo stato di salute della nostra industria farmaceutica pare restare  buono, siamo ancora leader, insieme alla Germania, per valore della produzione con 34 miliardi di euro. Ma in questo momento, come già segnalato addirittura l’estate scorsa e in novembre, scontiamo le difficoltà legate all’aumento del prezzo dell’energia e delle materie prime, trasversali a tutti i settori industriali. Gli aumenti dell’energia elettrica e del gas sono del 600% su base annua, sull’inflazione pesa anche la debolezza del cambio col dollaro, poi ci sono le materie prime, tutti fattori che concorrono alla produzione per circa il 50%. Soprattutto c’è la difficoltà nel reperire i fattori della produzione: neurolettici, antidepressivi, antipertensivi, antibiotici, antinfiammatori. Carenze che dipendono anche dall’incremento della domanda legata al Covid e all’influenza stagionale.



E il problema principale resta che per l’Italia e l’Europa per circa il 70% l’importazione di ingredienti attivi dipende da Cina e India. Poi la difficoltà di reperimento di carta, vetro, alluminio, tutti elementi del packaging. Per i farmaci la carenza riguarda  quelli di cui è cessata la produzione e che sono stati sostituiti da nuove formulazioni, i cd “generici”. C’è poi la questione  che i farmaci critici hanno prezzi negoziati che sono bloccati. Quindi, non si possono scaricare minimamente questi effetti  verso il consumatore. Oggi per diversi produttori di farmaci di ampia diffusione, che hanno un costo di pochi euro, come quelli che abbiamo citato, il rischio che vi siano chiusure aziendali è molto reale.



Alcune aziende hanno cominciato a costruirsi i composti di farmaci in autonomia, ma bisogna che il Governo si renda conto che ora serve una visione di sistema, di filiera, che coniughi le politiche sanitarie a quelle industriali. Bisogna considerare che i tempi per fare tutto questo sono lunghi, per questo bisogna darsi adesso una visione strategica che ponga la salute e la filiera farmaceutica come infrastrutture critiche per la sicurezza del Paese, per lo sviluppo dell’economia e della tenuta sociale e che consenta progressivamente di intensificare non solo più autonomia nella produzione dei farmaci, e noi siamo il primo Paese produttore europeo, ma soprattutto nella produzione dei principi attivi.



Dunque, bisogna  innanzitutto non  più parlare di tagli dei prezzi dei prontuari farmaceutici, perché se vengono tagliati i prezzi, il sistema non regge. Poi va dato nuovo impulso agli incentivi all’innovazione e a tutti quegli strumenti che possano rendere attrattivi gli investimenti per fare stabilimenti e per fare produzione. E vanno stabilite nuove regole per governare la farmaceutica, ovvero il superamento del payback (il meccanismo che obbliga le imprese a rimborsare la metà del costo dei farmaci se la sanità pubblica sfora il budget) e l’adeguamento della spesa al livello di innovazione.

Oggi la spesa è sbilanciata sui farmaci ospedalieri non innovativi. Le aziende saranno chiamate a versare 1,3 miliardi. È una tassa reale, aggiuntiva che penalizza gli investimenti e l’attrazione di nuovi capitali  e dei due miliardi che la manovra stanzia per il Servizio sanitario nazionale 1,4 sono destinati al caro-energia per le Regioni, poi 650 milioni per acquistare vaccini e farmaci Covid,  separati dalla spesa farmaceutica. Ma bisogna fare un passo in avanti, non solo adeguando il tetto di spesa farmaceutica ospedaliera aumentandolo ulteriormente, ma soprattutto slegandolo definitivamente dalla revisione dei prontuari, cioè dal taglio dei prezzi dei farmaci. Altrimenti saremo sempre in un meccanismo perverso che concorrerà ad aumentare le carenze anziché ridurle.

Poi sappiamo che, se le spendiamo in questa direzione, le risorse non coprono il problema del personale sanitario che manca soprattutto nei Pronto soccorso e nei reparti di degenza con un aumento della mortalità in ascesa. D’altronde ci si chiede di non andare al Pronto Soccorso perché intasati, ma se si hanno delle temperature altissime e mancano i farmaci per controllarle e curare i sintomi, la popolazione per forza si rifugia negli ospedali.

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