“L’amor che move il sole e l’altre stelle” (Paradiso, XXXIII, v. 145) è il verso con cui Dante conclude la Commedia e ci consegna la sua “totale immedesimazione con la verità e la bellezza” (Franco Nembrini). Tradotto in italiano (“Amor che muovi il sole”) il versetto è ripreso da Zucchero “Sugar” Fornaciari nel suo ultimo pezzo, anche se non esattamente con lo stesso significato con cui era stato proposto dal Sommo Poeta, e mi ha invitato a pensare se quello stesso “Amor”, pur nel ridotto significato che gli ha attribuito il cantante, muova anche la sanità. E più in generale mi ha fatto riflettere su cosa muove (o potrebbe muovere) la sanità.
Non è necessario essere sommi poeti o affermati cantanti, e nemmeno geni di altre materie: è sufficiente essere cittadini qualsiasi del nostro Paese (anche senza essere malati o pazienti) per rendersi conto che l’amor (che sia di Dante o di Zucchero) non è ciò che muove la sanità. E allora cosa la muove o la dovrebbe muovere?
Giusto per cominciare partiamo dalla risposta più semplice ed ovvia (oltre che più discussa): i soldi, le risorse. I soldi e le risorse sicuramente contano perché senza di essi non si può fare niente, ma se guardiamo a quanto è vecchio, stantio e poco producente il dibattito tra chi governa (ne ho messi tanti) e chi si oppone (non bastano, sono troppo pochi), dibattito che è identico quando si invertono le maggioranze e cambia il ruolo dei cantanti, se ne deve dedurre che la sanità non può trovare nei soldi e nelle risorse il suo vero motore (l’amor che…).
Tra l’altro, le risorse da sole non sono in grado di garantire il significato per cui sono impiegate. Semmai, e visto che al di là di quante se ne vogliono/possono mettere di sicuro ce ne sarebbero bisogno di più, i soldi e le risorse per via della loro insufficienza più che come un motore agiscono come un freno. I problemi della sanità sono solo in parte di natura economica, come da tempo e con diverse voci si sostiene da queste colonne, e quindi limitarsi a ragionare esclusivamente attorno a soldi e risorse vuol dire scegliere di non mettere la testa sul resto e decidere di trascurare esplicitamente gli altri aspetti fondamentali della malattia che affligge il SSN, con la conseguenza che non ci si cura della malattia nel suo complesso ma è come se ci si limitasse ad erogare qualche singola, per quanto necessaria, prestazione.
Seconda risposta: l’organizzazione, personale compreso. Anche in questo caso si deve dire che sia il personale (in termini di quantità, di soddisfazione, di formazione, …) che l’organizzazione, sebbene ovviamente necessari e fondamentali altrimenti è difficile che la costruzione intera (il SSN) stia in piedi, non possono essere considerati il cuore, il motore del SSN, perché sono solo una necessaria e utile componente di servizio. Sono funzioni che possono permettere al SSN di raggiungere i suoi obiettivi ma non sono l’obiettivo. È bene che si discuta dei problemi del personale, ed è bene anche che si discuta della qualità dell’organizzazione (si vedano ad esempio le recenti valutazioni di AGENAS sul funzionamento delle ASL e degli ospedali) ma non siamo ancora all’“Amor che move”.
Facciamo allora un altro gradino alzando il livello della risposta, e pensiamo al diritto alla tutela della salute tramite l’erogazione dei Livelli essenziali di assistenza (LEA) in un contesto di universalismo, uguaglianza ed equità. Obiettivi e principi interessanti ma chi ci segue su queste colonne non farà fatica a ricordare quante volte ci siamo espressi per mostrare che si tratta di obiettivi e principi teorici, che non trovano corrispondenza nella pratica quotidiana e che vengono smentiti non solo dalle esperienze personali dei cittadini (che non smettono mai di lamentarsi) ma soprattutto dalle tante valutazioni che molti organismi (ed anche il ministero della Salute, la Corte dei Conti, …) ripetutamente ci propongono ma che, a quanto pare, non riescono a stimolare quei cambiamenti che sarebbero necessari per un vero rinnovamento del SSN.
E si potrebbe continuare ad elencare potenziali proposte ma non mi sembra di intravvedere un percorso che porti a identificare “l’amor che move”.
Eppure, che sia nella versione alta di Dante, in quella edulcorata di Zucchero, o in qualsiasi altra versione ancora più neutra ed asettica, vero è che la sanità ha bisogno di un “amor che move”. E se questo “amor” non sta nelle proposte che ho provato ad elencare dove lo dobbiamo cercare? Uno spunto molto interessante viene da un documento di Medicina & Persona e Banco Farmaceutico (M&P, BF) che propongono di tornare alle origini perché la cura “si è introdotta nel mondo nella forma della carità, e ha accolto un’esigenza di salvezza nel bisogno di salute”. Non si tratta ovviamente di tornare indietro nel tempo reclamando gli attributi positivi di un passato che ha fatto la sua storia, ma di riprendere e di “riaffermare quel principio benevolo e originario, vero e giusto allora come oggi”.
E cosa vuol dire tradotto in parole di sanità? Vuol dire, sempre ricorrendo alle espressioni usate da M&P e BF, che bisogna tornare all’idea che “la cura è una relazione con chi è infermo; è una compagnia, mossa dall’amore al destino della persona di cui tutto – anima e corpo – ha valore infinito”, e dove il termine cura va esteso alla promozione della salute (la cura dei sani) ed alla cura del creato (Laudato si’, Papa Francesco).
Attorno a questo obiettivo primario è possibile ragionare per rifondare il sistema sanitario, passando dalla logica della prestazione a quella della presa in carico, ridefinendo i luoghi di lavoro per favorire la relazione di cura, riducendo gli sprechi e le inefficienze ed usando meglio le risorse, rivedendo l’accesso alle prestazioni essenziali, ridisegnando il rapporto pubblico-privato in un’ottica di sussidiarietà orizzontale e secondo dinamiche di co-progettazione, abbandonando la visione strettamente sanitaria del problema salute per aprirsi al socio-sanitario e riconoscendo pienamente integrato nel sistema sanitario il Terzo settore, prendendosi cura anche di chi cura e restituendogli dignità professionale.
Sono solo esempi, necessariamente incompleti, di spunti che vengono subito alla mente non appena si focalizza che la cura (in senso ampio) è una relazione e che questo approccio è in grado di progettare soluzioni tecniche praticabili e proposte operative di rinnovamento del SSN.
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