L’urgenza di garantire piena, effettiva e aggiornata tutela del diritto alla salute è più che mai attuale, atteso lo stato di assoluta emergenza in cui versa il Servizio sanitario nazionale pubblico in cui emergono evidenti criticità nell’accesso soprattutto tra le fasce socio-economiche più deboli e tra le popolazioni del Mezzogiorno.
In particolare, infatti, secondo l’indagine Istat sul cambiamento delle abitudini di spesa, nel 2022 oltre 4,2 milioni di famiglie soprattutto al Sud hanno limitato la spesa per visite mediche e accertamenti, mentre 1,9 milioni hanno dovuto rinunciare alle cure mediche per indisponibilità economica. Nel periodo 2000-2023 la spesa in sanità è quasi raddoppiata in termini nominali, passando da 68 a 131 miliardi di euro. Tuttavia, se si valuta la spesa al netto dell’inflazione, l’aumento si riduce al 19%. Dopo la crisi finanziaria del 2008 si può constatare una riduzione seguita da un lungo periodo di stabilità, che si è concluso solo nel 2020 con l’avvento della pandemia da Covid-19. L’aumento descritto in termini reali rispetto al 2000 probabilmente non è sufficiente a tenere il passo con la crescente domanda di servizi sanitari. Infatti, negli ultimi vent’anni si è registrata una crescita dell’inverno demografico con la popolazione over 65 anni in aumento di 2,5 milioni.
La tendenza che si può rinvenire negli ultimi vent’anni da un lato ha visto aumentare quasi sempre la spesa sanitaria in termini assoluti rispetto all’anno precedente, mentre al contrario il rapporto spesa sanitaria in rapporto al Pil documenta un lento e inesorabile declino, collocando l’Italia in una posizione sempre più lontana dalla media dei Paesi dell’Ue. Infatti, la spesa sanitaria pubblica italiana è nettamente inferiore a quella dei principali Paesi europei, sia in valore pro capite che in percentuale del Pil.
Tra il 2016-2022, la crescita della spesa sanitaria è inferiore di un punto percentuale rispetto al Pil (6,6% a fronte di 7,7%). In Francia e Germania, nello stesso periodo, è cresciuta a un tasso quasi triplo rispetto a quello del Pil, nel Regno Unito più del doppio (+25,4% a fronte di +10,2%). Purtroppo, la prassi prevede che nella Legge di bilancio ogni anno vengano stanziati fondi addizionali per la sanità rispetto a quanto già previsto l’anno precedente, reiterando un errore cronico che in primo luogo impedisce agli operatori di programmare l’attività per il futuro e che documenta lo stato di assoluta precarietà delle finanze pubbliche indotta dall’elevato livello del debito pubblico e dalla bassa crescita dell’economia.
In questo quadro in cui allo Stato compete la fissazione dei Livelli essenziale delle prestazioni che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale e la vigilanza sulla loro effettiva erogazione definendo l’ammontare complessivo delle risorse economiche necessarie al loro finanziamento, anche la garanzia da parte delle Regioni dei Livelli essenziali di assistenza (Lea), nel rispetto degli standard costituzionali conformi, diventa sempre più complicata. Ad aggiungere ulteriore complessità al quadro descritto con possibili rischi di compromettere la coesione territoriale, aumentando così le disuguaglianze nella garanzia dei diritti, si inserisce anche l’approvazione di recente della l. 26 giugno 2024, n. 86, c.d. Legge Calderoli, con cui è stata prevista l’autonomia differenziata delle Regioni a Statuto ordinario, prevista dall’art. 116 Cost. L’impianto della legge si fonda sul principio cardine della territorializzazione delle risorse e sui Lep (la cui individuazione è rimessa all’approvazione di successivi decreti legislativi e prevede un passaggio parlamentare, affiancandosi a quella già prevista dalla Legge di bilancio 2023, che si realizza con Dpcm senza coinvolgimento del Parlamento) che costituiscono i parametri minimi che devono essere garantiti a tutti i cittadini, indipendentemente dalla Regione di residenza. Un punto critico, segnalato anche dalla Corte dei conti nella sua relazione, potrebbe derivare dalla difficoltà di garantire i diritti civili e sociali uniformemente in tutte le Regioni, indipendentemente dall’autonomia richiesta. L’Ufficio parlamentare di bilancio a più riprese nel corso delle audizioni presso la Commissione parlamentare per le questioni regionali ha sottolineato, infatti, come non si possa escludere che l’autonomia differenziata evolva verso uno scenario fortemente frammentato.
Come ha osservato puntualmente la Corte dei conti Sezione Autonomie nella relazione sulla gestione finanziaria 2020-2023 di Regioni e Province autonome, lo stato di forte squilibrio in termini di garanzia dei Lea tra le Regioni è facilmente evincibile dai dati relativi alla griglia dei Livelli essenziali di assistenza per il 2022 resi noti dal ministero della Salute, che costituiscono il Nuovo sistema di garanzia (Nsg), un sistema descrittivo, di valutazione, monitoraggio e verifica dell’attività sanitaria erogata nel territorio nazionale. Tale sistema è utilmente integrato con il sistema di Verifica degli adempimenti cui sono tenute le Regioni per accedere alla quota integrativa del Fondo sanitario nazionale. Il Nsg è strutturato attraverso 88 indicatori distribuiti per macroaree di assistenza: prevenzione collettiva e sanità pubblica, assistenza distrettuale, assistenza ospedaliera, stima del bisogno sanitario, equità sociale, monitoraggio e valutazione dei percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali. I Lea, infatti, rappresentano l’essenziale al fine di valutare l’andamento del Servizio sanitario nazionale, nel periodo post-pandemico, in termini di efficienza, efficacia ed effettività nell’erogazione di servizi essenziali garantiti costituzionalmente.
In base ai risultati del monitoraggio del Nsg, 13 Regioni e Province autonome (segnatamente Piemonte, Lombardia, Provincia autonoma di Trento, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Puglia e Basilicata) hanno registrato un punteggio superiore alla soglia di sufficienza (60) in tutte le macroaree. Dai dati forniti dal ministero della Salute per il 2022 – come ha rilevato la Corte – si osservano notevoli differenze regionali. Ad esempio, nell’area della prevenzione, l’Emilia-Romagna ha ottenuto il punteggio più alto con il 96,13%, mentre la Calabria ha registrato il punteggio più basso con il 36,59%. Per la macroarea distrettuale, la Toscana ha raggiunto il 96,42%, mentre la Calabria ha ottenuto il 34,88%. Infine, nella macroarea ospedaliera, la Provincia autonoma di Trento ha raggiunto il 98,35%, contro il 63,78% della Calabria.
Questi dati mostrano una significativa variabilità nella qualità dei servizi sanitari tra le diverse Regioni italiane. La Provincia autonoma di Bolzano e le Regioni Abruzzo e Molise ottengono un punteggio insufficiente nell’area della prevenzione, mentre per la Regione Campania l’insufficienza è riferita all’area distrettuale. Le Regioni Calabria e Sardegna e la Regione siciliana ottengono punteggi inferiori a sufficienza nelle due macroaree della prevenzione e della distrettuale, mentre la Regione Valle d’Aosta registra un punteggio inferiore alla soglia in tutte le macroaree. Nel 2022, sempre ad avviso della Corte, permangono ancora situazioni di criticità riconducibili alle Regioni che non ottengono la sufficienza.
È ormai improcrastinabile di fronte alla vera e propria emergenza del Sistema sanitario nazionale addivenire a un’organica riforma che non può prescindere dall’attuazione compiuta entro il 2026, senza ritardi dovuti a carenze amministrative o a rinegoziazioni degli obiettivi al ribasso, della Missione 6 (Salute) del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) con investimenti quantificati in 15,63 miliardi di euro, pari all’8,16% dell’importo totale. Gli investimenti concernenti la Missione 6 sono funzionali a sostenere importanti riforme e investimenti a beneficio del Servizio sanitario nazionale con due aree di intervento principali: ridisegnare la rete di assistenza sanitaria territoriale con professionisti e prestazioni disponibili in modo capillare su tutto il territorio nazionale, per una sanità che sia vicina e prossima alle persone; innovare il parco tecnologico ospedaliero, digitalizzare il servizio sanitario nazionale, investire in ricerca e formazione del personale sanitario per una sanità più sicura, equa e sostenibile.
Accanto all’attuazione solerte del Pnrr, occorre in ogni caso invertire la rotta e operare scelte politiche lungimiranti investendo sulla ristrutturazione e ammodernamento della sanità pubblica con programmazione di risorse finanziarie adeguate, aumentando così il rapporto tra spesa sanitaria in rapporto al Pil con l’obiettivo di allinearla entro il 2030 alla media dei Paesi dell’Ue, per assicurare il rilancio delle politiche di qualificazione e assunzione del personale sanitario, l’erogazione uniforme e di qualità dei Lea su tutto il territorio nazionale in ottica di un rafforzamento della coesione sociale e territoriale e, infine, l’accesso equo e diffuso alle innovazioni tecnologiche e alla digitalizzazione.
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