Tanti (per la maggioranza) o pochi (per l’opposizione) che siano i soldi che lo Stato mette in sanità ha senso chiedersi se questi soldi/risorse sono ben spesi o se invece possano essere spesi meglio. Non mi riferisco qui né agli episodi di malasanità, che ci sono e fanno cronaca quando succedono ma che non mi sembrano incidere numericamente in maniera significativa sull’utilizzo inadeguato delle risorse, né ai reati veri e propri, anch’essi presenti ma forse non in volume tale da ridurre in maniera importante le risorse disponibili (lascio il conteggio e la valutazione di queste attività agli enti preposti).



Penso invece ai soldi/risorse che sono destinati al raggiungimento degli obiettivi che il servizio sanitario si è dato (livelli essenziali di assistenza, universalismo, uguaglianza, equità, qualità, …) e che per vari motivi non vengono utilizzati nel modo migliore e risultano pertanto sprecati. Visto che si continua a chiedere al governo (qualunque governo) di mettere più soldi in sanità, è bene essere sicuri che le risorse messe siano innanzitutto spese al meglio, ma si deve subito dire che per questo argomento l’interesse (soprattutto della politica, ma non solo) è piuttosto scarso ed è molto più facile chiedere più risorse. Se gli sprechi ci sono e non si mettono in atto delle attività per limitarli (se non per eliminarli) l’aggiunta di finanziamento ha come conseguenza che queste risorse finiscono in parte per finanziare proprio gli sprechi presenti.



Associando alla parola sanità la parola spreco viene immediatamente alla memoria il famoso caso delle siringhe, acquistate dalle strutture sanitarie delle diverse regioni a prezzi straordinariamente diversi, ma anche rimanendo più vicini a noi pensiamo ai vaccini per la recente pandemia, anch’essi acquistati a prezzi diversi nelle diverse nazioni (e non solo i vaccini: ricordiamo il problema delle mascherine, dei banchi a rotelle, …), oppure anche i farmaci acquistati a prezzi differenti nei diversi Paesi, e ancora i tanti esempi che le cronache giornalistiche periodicamente ci propongono: ma gli esempi che i media evidenziano sono spesso casi aneddotici, utili come spia perché comunque ci sono e come tali rendono l’idea che il problema degli sprechi sia presente nel servizio sanitario; ma il problema è ben più ampio e complesso rispetto agli esempi citati, e soprattutto è difficile da stimare e misurare (e poi da risolvere). Vediamone i dettagli.



Per parlare adeguatamente di sprechi nel contesto sanitario, che è ovviamente diverso da altri contesti (ad esempio, quello alimentare, agricolo, …), occorre innanzitutto definirne in termini specifici il significato, in particolare se poi se ne vuole misurare la rilevanza quantitativa. Da questo punto di vista la letteratura ha proposto diverse tassonomie, diverse categorizzazioni degli sprechi sanitari, tutte classificazioni che ruotano attorno all’idea che con spreco si debbano intendere tutte le risorse dedicate a quelle attività ed interventi che non risultano sanitariamente efficaci, che non portano ad alcun benessere, che non aggiungono valore, o persino che risultano inappropriate o addirittura danno luogo a ulteriori eventi avversi che producono altro consumo di risorse (come è il caso, ad esempio, delle infezioni contratte durante un ricovero ospedaliero).

Giusto per passare dalla teoria alla pratica prendo due esempi: la valutazione effettuata da GIMBE e quella di Cittadinanzattiva, perché hanno il pregio di provare a quantificare la misura dello spreco.

Secondo GIMBE gli sprechi si possono classificare in sei gruppi.

1) Sovrautilizzo (sovratrattamento e sovradiagnosi) di interventi sanitari inefficaci e/o inappropriati (che totalizzerebbero il 26% dello spreco), attività che è alla base della medicina cosiddetta “difensiva”. Qui gli esempi sono numerosi perché è la tipologia di spreco più diffusa: si va dalle procedure diagnostiche invasive per rassicurare i pazienti ai ricoveri per malattie lievi o per malattie croniche senza esacerbazioni acute, da costosissimi regimi di chemioterapia in pazienti neoplastici terminali all’uso indiscriminato di farmaci, dalla messa in atto di screening di efficacia non documentata alla ripetizione degli stessi esami in strutture diverse, all’uso di tecnologie complesse quando il problema non lo richiede, etc.. In generale si osserva un eccesso di medicalizzazione.

2) Sottoutilizzo di interventi sanitari efficaci e appropriati (12%), come ad esempio ritardare o impedire la guarigione, aumentare le complicanze, richiedere ricoveri ospedalieri e interventi sanitari più costosi, causare assenze dal lavoro.

3) Inadeguato coordinamento dell’assistenza (10%), quegli sprechi conseguenti ad esempio al rimbalzo del paziente tra diversi setting assistenziali (ricoveri inappropriati perché la patologia può essere curata sul territorio, ritardate dimissioni per impreparazione del territorio a ricevere il paziente), particolarmente critico nei pazienti con malattie croniche. Oppure gli accessi inappropriati al pronto soccorso.

4) Tecnologie sanitarie acquistate a costi eccessivi (19%), per mancata definizione di costi standard o per l’assenza di regole ben definite, ma anche tecnologie acquistate che non migliorano il valore di altre già presenti.

5) Complessità amministrative (12%), come il sovraccarico di obblighi burocratici che sottrae tempo prezioso al personale; scarsa informatizzazione, ipertrofia del comparto amministrativo.

6) Frodi e abusi (21%) di vario tipo.

A questi gruppi Cittadinanzattiva aggiunge la mancata innovazione, cioè l’utilizzo di modi di produzione antichi e più inefficienti di altri disponibili; il mancato completamento di opere iniziate o l’allungamento dei tempi della loro realizzazione; gli errori medici; il mancato rispetto di standard di qualità. Dal punto di vista numerico Cittadinanzattiva attribuisce agli sprechi delle quote, come le seguenti: sovradimensionamento e/o sottodimensionamento del personale (9,1%), cattiva allocazione delle risorse (8,6%); inefficace organizzazione dei servizi (8,6%), mancato utilizzo di beni e servizi acquistati (8,6%), assenza di programmazione (8,2%), mancato utilizzo di attrezzature costose (7,3%).

Come si vede il tema dello spreco (ma anche della inappropriatezza) va ben oltre le frodi, gli abusi, le truffe, la corruzione, e secondo le stime sempre di GIMBE, ma anche della Corte dei Conti, complessivamente arriverebbe a 25-30 miliardi di euro ogni anno, che sono molti di più dei 4-5 che gli oppositori dei vari governi sempre chiedono (ma anche molti di più dei 10 mld che chiedono i più pretenziosi) e si fa fatica a comprendere perché il problema non trovi almeno adeguata attenzione.

Da quanto detto risulta molto ampio lo spettro che caratterizza lo spreco in sanità, e pertanto si deve ritenere altrettanto ampia l’area delle responsabilità, cui partecipano in diverso modo la politica e i suoi obiettivi, l’organizzazione con i suoi gestori, i professionisti e i loro comportamenti, i pazienti e le loro insistenze o pretese, la resistenza del sistema ai cambiamenti, i diversi conflitti di interesse che si instaurano, l’atteggiamento di chi ci guadagna o di chi teme di rimetterci, la scarsa attenzione verso ciò che è pubblico, una inadeguata cultura del controllo e della valutazione nonché l’inesistenza di un approccio organico verso l’individuazione degli sprechi, ed anche l’influenza di chi da questi sprechi trae legittimo beneficio.

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