Quasi due milioni di persone colpite da tumore in Italia sono sottoposte a trattamento attivo, devono cioè sottostare a chemioterapia, radioterapia, immunoterapia e altro. Quasi 300mila pazienti invece vengono operati ogni anno per l’asportazione di un tumore. Senza dimenticare, poi, molte altre patologie, come quelle legate al cuore. Durante il picco dell’emergenza da Covid-19 praticamente tutti gli ospedali lombardi sono stati convertiti in terapie intensive, come successo all’Humanitas Gavazzeni di Milano, dove è stato creato un unico reparto Covid, che ha occupato tutti i piani della struttura. O all’ospedale Niguarda, il miglior centro operativo e di cura per problemi di cuore in Italia, che risulta ancora oggi chiuso per paura di contagio. “La situazione sta lentamente cambiando, si torna a riaprire a piccoli passi” spiega il professor Raffaele Pugliese, direttore emerito del Dipartimento chirurgico polispecialistico del Niguarda di Milano, nonché presidente e fondatore dell’Aims Academy (Advanced International Mini-invasive Surgery) per l’insegnamento della chirurgia mini-invasiva. “Purtroppo tutte le strutture sanitarie lombarde sono state prese d’assalto dall’esplosione del Covid-19 e hanno dovuto convertire immediatamente il loro utilizzo, lasciando senza assistenza decine di migliaia di persone affette da altre patologie. E i morti non sono mancati”.



Come e quanto le risorse sanitarie mobilitate sul fronte Covid-19 hanno indebolito l’attenzione e il presidio della nostra sanità su altre patologie?

A livello generale c’è stata quasi un’occupazione degli ospedali a causa del coronavirus. Questo sta a indicare sia uno tsumani epidemiologico sia una carenza organizzativa che non è stata capace di provvedere in modo adeguato a tutti quei soggetti che soffrivano di patologie anche serie.



I malati di tumore sono stati lasciati a casa?

E’ stato fatto qualcosa, individuando due centri in Lombardia dove trasferire i pazienti oncologici. Ma ovviamente questi da soli non potevano avere la forza per rispondere a tutte le necessità oncologiche che normalmente si presentano.

Ad esempio?

C’è stato un allungamento dei tempi nei controlli successivi agli interventi o una dilazione degli interventi stessi: si selezionavano i pazienti da operare in base all’emergenza.

Ci può descrivere meglio la situazione? Alcune strutture, come il Monzino, hanno ripreso l’attività oncologica…



Tutte le persone, a prescindere dal tipo di patologia, avvertivano il pericolo di andare in ospedale, perché gli ospedali erano fortemente impegnati sul fronte Covid e quindi portatori di virus. Tanto è vero che i medici a lungo non sono stati testati e quando è successo, anche se non tutti lo sono ancora oggi,  ne sono stati trovati numerosissimi che erano portatori sani potenzialmente infettivi. Un altro grave errore: se si voleva tenere una parte dell’ospedale funzionante, era necessario tenere il personale sanitario testato in modo frequente.

C’è una riconversione in atto?

Si sta cominciando adesso. Il Niguarda ad esempio, non è ancora riattivato, non hanno aperto i letti per gli assicurati, ha ripreso solo l’oncologia. Tutto questo perché non è stato previsto anticipatamente quello che poteva accadere, ci si è limitati a inseguire il virus, ma non c’era alcuna organizzazione nei confronti dell’emergenza. Quando il virus è dilagato, hanno utilizzato tutti gli ospedali, di fatto chiusi agli altri pazienti, tanto che la mortalità per infarto è aumentata. La gente non si fidava ad andare in ospedale e sono arrivati troppo tardi per essere curati. Un disastro. I ricoverati per infarto sono diminuiti e la mortalità è aumentata.

Ci conferma che si sta ricominciando a invertire la situazione, che si torna a riaprire ad altre patologie?

Adesso stanno cominciando a rendere alcuni ospedali “puliti” dal virus o a distanziare alcuni reparti. In realtà, lo stanno solo ipotizzando, muovendosi con i tempi lunghi della burocrazia.

Cosa è necessario fare adesso per convivere con il Covid-19 nelle strutture sanitarie?

Tutto quello che non è stato fatto. E’ stato usato solo l’isolamento. Andava e va fatta ancor più ora un’azione attiva: associare la diagnostica con i tamponi e con i test sierologici. Ciò avrebbe accorciato i tempi dell’infezione e adesso è un’attività necessaria anche in vista della ripresa economica. Non si possono riaprire le fabbriche senza un’azione attiva sui lavoratori.

(Paolo Vites)

Leggi anche

VACCINI COVID/ Dalla Corte alle Corti: la neutralità che manca e le partite aperteINCHIESTA COVID/ E piano pandemico: come evitare l’errore di Speranza & co.INCHIESTA COVID BERGAMO/ Quella strana "giustizia" che ha bisogno degli untori