L’articolo 32 della Costituzione dice che la Repubblica deve fornire cure gratuite agli indigenti. Ora, al di là della modalità con cui, attraverso la definizione dei LEA e di altre norme, è stata data realizzazione a questa indicazione dei padri costituenti, vero è che da qualche tempo, seppure con diversa terminologia e caratterizzazione, il tema è tornato ad essere presente con continuità quando si parla di salute e servizio sanitario.
Si sta prendendo sempre più coscienza che esiste un bisogno di cure sanitarie che non è intercettato da un Servizio sanitario nazionale che pur dichiara di essere universalistico, ugualitario ed equo. Si potrebbe chiamare questo bisogno (vedi oltre) “povertà sanitaria”, intendendo con ciò “quel particolare aspetto della povertà che si manifesta come impossibilità di accedere, per scarsità di reddito, a quella parte delle cure sanitarie che restano a carico dei cittadini a causa del mancato intervento del SSN”.
Forse qualcuno si sorprenderà che in un SSN come il nostro, spesso dipinto come un servizio sanitario molto inclusivo, che dà “tutto a tutti, gratis” (salvo il contributo del ticket), esistano aree di mancato intervento del SSN, ma l’esperienza quotidiana di chi ha bisogno dice chiaramente che i farmaci da banco sono a carico di chi li acquista, che la compartecipazione alla spesa sanitaria (ticket per prestazioni ambulatoriali e farmaci) può diventare anche molto onerosa, che ci sono attività sanitarie non comprese nei LEA (vedi l’esempio dell’odontoiatria) che non sono superflue ed incidono sulla salute ma il cui accesso è a totale carico del cittadino, per non parlare poi di molte attività socio-sanitarie dove è previsto un contributo almeno parziale al paziente che ha bisogno di usufruirne.
Non si sta parlando della ormai acclarata e non più in discussione relazione tra disuguaglianze sociali e salute, sulla quale si è intervenuti più volte anche da queste colonne riportando i dati ISTAT in proposito, relazione che dice che i soggetti socialmente svantaggiati mostrano uno stato di salute (ma anche un accesso ai servizi) peggiore rispetto ai pari età non svantaggiati, bensì si vuole fare riferimento al fatto che ci sono molte persone in condizione di povertà (assoluta o relativa) o con risorse economiche ridotte che, per la scarsità di reddito che le caratterizza, hanno difficoltà ad accedere alle cure a pagamento: si genera così anche una povertà sanitaria, che si traduce o nella rinuncia alle cure oppure nella ricerca di cure gratuite (o meno onerose) attraverso il ricorso alle “migliaia di organizzazioni non profit disseminate sull’intero territorio nazionale”.
Secondo i dati ISTAT, nel 2022 l’8,3% delle famiglie sarebbe in condizioni di povertà assoluta ed il 10,1% in condizioni di povertà relativa, con notevoli differenze territoriali (38% delle famiglie in povertà assoluta sono al nord, 15% al centro, 46% nel Mezzogiorno): non si tratta quindi di un fenomeno marginale, di nicchia, bensì di numeri significativi che devono imporre una riflessione. Si parla spesso della povertà sanitaria che esita nella rinuncia alle cure per problemi economici, e che secondo alcune stime dell’ISTAT riferite all’anno 2023 ammonterebbe al 4,2% della popolazione (cioè circa 2,5 milioni di cittadini), mentre si parla poco, ad esempio, di coloro che rinunciano ai farmaci per ragioni economiche.
Da queste colonne (4 dicembre 2024) si è dato conto delle caratteristiche dei consumi farmaceutici così come risultano dai dati AIFA, ma si tratta solo di una parte dei consumi, perché le informazioni fornite da AIFA riguardano solo i farmaci sottoposti a ricetta medica e non considerano né i farmaci da banco e neppure i tanti altri prodotti utili per la salute e l’assistenza ai soggetti fragili ma non sottoposti a prescrizione medica (e che pertanto risultano a totale carico economico dei cittadini).
Tra i farmaci da banco ci sono “analgesici e antipiretici, antinfiammatori orali, preparati per tosse, raffreddore, dolori articolari muscolari, cavo oro-faringeo, antidiarroici, antimicrobici intestinali, antisettici e disinfettanti”. Si tratta di prodotti di uso comune soprattutto in alcune stagioni essendo farmaci destinati alla cura di patologie acute molto diffuse, e sono dispensati solo a pagamento: per questo vengono a gravare particolarmente sugli indigenti, che sono costretti a rinunciare al loro uso oppure ad andare alla ricerca gratuita degli stessi prodotti. Quantificare questa realtà risulta molto difficile, sia per la mancanza di un sistema consolidato ed esaustivo di raccolta delle informazioni, sia per la difficoltà ad individuare i soggetti (terzo settore, non profit) che se ne occupano, ma la presenza di questa spesa conferma “l’incapacità del SSN di supportare tutte le necessità farmaceutiche dei cittadini poveri, che dunque debbono provvedere con mezzi propri”.
Qualche informazione esemplificativa si può avere attraverso le attività della Fondazione Banco Farmaceutico (FBF), realtà del terzo settore attiva dall’anno 2000, che ha costruito un network solidale (con 2011 enti assistenziali nel 2024) che agisce nella raccolta di farmaci da distribuire gratuitamente alla popolazione indigente (nell’anno 2023 sono state donate 2.127.016 confezioni di farmaci ad oltre 460mila poveri). Si trattava, all’inizio, dei farmaci che non richiedono prescrizione medica e che venivano resi disponibili attraverso giornate di raccolta straordinaria, ma col passare del tempo l’attività si è notevolmente allargata grazie all’apertura di “un secondo pilastro basato sulle donazioni aziendali”, che ha permesso di raccogliere anche farmaci con obbligo di prescrizione “distribuiti alle strutture assistenziali di maggiori dimensioni, dotate di personale medico in grado di garantire la dispensazione di farmaci con obbligo di prescrizione”.
Attraverso le giornate straordinarie di raccolta “nel 2024, in 107 province italiane e in 5.684 farmacie convenzionate sono state raccolte, grazie a 19.894 farmacisti e 25.578 volontari, 588.013 confezioni di farmaci (per un valore pari a 5.182.369 euro). Ne hanno beneficiato 463.176 persone povere assistite da 2.011 enti assistenziali non profit convenzionati con Banco Farmaceutico”. Rispetto al totale degli assistiti dalla rete FBF il 58% è costituito da adulti, il 22% da minori (fino a 17 anni) ed il 19% da anziani (65 anni e più); gran parte degli assistiti è costituita da stranieri.
L’esempio del Banco Farmaceutico ha il solo scopo di indicare una delle tante attività svolte dalla enorme quantità di enti del terzo settore che agiscono gratuitamente per coprire esigenze sanitarie reali che non trovano soddisfazione all’interno del SSN e che hanno portato gli autori del volume da cui sono state tratte tutte le frasi virgolettate e le informazioni quantitative riportate in questo contributo (L. Pesenti, G. Rovati: Tra le crepe dell’universalismo, Il Mulino, 2024) a sostenere la tesi che accanto al SSN vi sia un “servizio sanitario solidale, generato dai soggetti del privato sociale, orientato principalmente al disagio”, che si occupa soprattutto (ma non solo) di dare soluzione al tema della povertà sanitaria, servizio “al quale partecipano realtà private di terzo settore mosse da intenti di tipo solidaristico-caritativo” e che è “capace di integrare il SSN”.
La presenza di questo servizio sanitario solidale, fortemente caratterizzato dalla logica sussidiaria, dalla vicinanza al bisogno non solo economico e non solo sanitario, è anche indice della necessità di “interventi correttivi sul versante del welfare sanitario, con coperture più ampie a favore di chi ha redditi familiari molto bassi”.
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