Terminato il periodo pandemico era naturale aspettarsi un po’ di segnali positivi dalle indagini che misurano la temperatura sanitaria e quella della salute del nostro Paese, ma, a quanto sembra, non è proprio così, almeno secondo i dati contenuti nell’ultimo Rapporto BES (Benessere Equo e Sostenibile) di ISTAT riferito al 2023. È una Italia in chiaroscuro quella che emerge dalle pagine del rapporto che trattano i temi della sanità e della salute, perché la pandemia ci ha lasciato uno strascico di ferite aperte (e che in qualche caso si sono allargate) ed un carico di cicatrici che fanno fatica a rimarginarsi, ma in questo “scuro” c’è anche qualche segnale che il tempo volge al bello.
La nota negativa più preoccupante riguarda l’aumento di cittadini che nell’ultimo anno hanno rinunciato alle cure (intese come visite mediche o accertamenti diagnostici considerati necessari) o per problemi economici o per le lunghe liste di attesa o per difficoltà a raggiungere i luoghi dove le prestazioni venivano erogate. Si tratta di oltre 370mila persone in più che aggiungendosi alle altre formano un contingente di circa 4,5 milioni di cittadini che hanno dichiarato di aver rinunciato alle cure: 7,6% sul totale della popolazione del 2023 (era il 7% l’anno precedente). La quota di soggetti che rinuncia alle prestazioni cresce col crescere dell’età, vede un picco nella classe di età 55-59 anni (11,1%) e rimane molto alta tra gli ultra 75enni (9,8%), ed è più alta tra le donne (9%) rispetto ai maschi (6,2%). L’incremento è più elevato al centro del Paese (dal 7% al 8,8%) ed al Sud (dal 6,2% al 7,3%), mentre al Nord (7,1%) la quota è analoga a quella del 2022.
L’analisi delle singole Regioni evidenzia variabilità ancora più ampie ma anche comportamenti di segno opposto (aumenti e diminuzioni). Per quanto riguarda le ragioni della rinuncia alle cure i dati del BES segnalano che non si è modificata (rispetto al 2019) la quota di soggetti che rinuncia per motivi economici, mentre è raddoppiata la quota di coloro che rinunciano per via della lunghezza dei tempi di attesa. Le disuguaglianze sociali come causa della rinuncia non si sono invece modificate rispetto al periodo pre-pandemico.
All’aumento della rinuncia alle cure come segnale negativo per la sanità si contrappone in positivo l’aumento della speranza di vita alla nascita, risultata nel 2023 di 83,1 anni ed in aumento rispetto all’anno precedente (82,3), e tornata praticamente ai valori pre-pandemia (83,2). Si conferma la differenza tra maschi (81,1) e femmine (85,2) con queste ultime che non hanno ancora del tutto recuperato quanto perso nel periodo del Covid.
Positivo è anche il segnale che viene dalla vita media attesa senza limitazioni a 65 anni, che passa dai 10 anni del 2019 ai 10,6 del 2023, mentre in peggioramento rispetto all’anno precedente troviamo la speranza di vita in buona salute alla nascita, che nel 2023 scende a 59,2 anni contro i 60,1 del 2022 (ma bisogna ricordare che l’indicatore nel 2019 registrava un valore di 58,6 anni).
Un secondo elemento negativo riguarda la salute mentale che presenta sì, globalmente, valori che non si discostano dalle rilevazioni precedenti, ma registra un peggioramento, che desta preoccupazione, del benessere psicologico tra i giovani ed in particolare nelle ragazze. Altrettanto negativo è il messaggio che viene dalla multi-cronicità, in aumento tra gli anziani, dove ha raggiunto il 49% nei soggetti con più di 75 anni.
Positivo, anche se disturbato statisticamente dagli effetti del virus Sars-CoV-2, è il dato sulla mortalità evitabile (19,2 ogni 10.000 residenti di età 0-74 anni nel 2021) che risulta in diminuzione nel confronto con il 2020 (19,7 x 10.000), ma presenta una grande eterogeneità rispetto al titolo di studio: si passa infatti da 20,3 decessi (x 10.000 residenti 30-74 anni) in chi ha una laurea o un titolo superiore a 39,6 decessi (x 10.000) nella popolazione con licenza elementare o meno (la media è 29,8 x 10.000 residenti 30-74 anni). Analogo risultato per titolo di studio si osserva per la mortalità per tumori e per quella per malattie del sistema nervoso e demenze.
Anche la mortalità per incidenti stradali nei giovani (15-34 anni) manda segnali negativi: infatti, dopo essere diminuita nel 2020-2021 (senza dubbio a causa della ridotta mobilità sul territorio per contrastare la diffusione del virus Sars-CoV-2) è tornata a crescere nel 2022.
Un contributo importante che il BES fornisce è nella analisi delle abitudini di vita dei cittadini, ed in particolare di quelle che hanno un maggiore impatto sulla salute: anche per questo capitolo si evidenziano i chiaroscuri che caratterizzano il nostro Paese. La sedentarietà (34,2%) è in miglioramento sia rispetto al 2020 (36,3%) che rispetto al 2019 (35,5%), ma l’obesità continua la sua crescita sia nel medio che nel lungo periodo; la percentuale di persone che consuma giornalmente frutta e verdura in misura significativa (16,5%) è diminuita sia rispetto al 2022 che, soprattutto, al 2019; la quota di fumatori (19,9%) è in lieve diminuzione rispetto al 2022 ma superiore al 2019 (18,7%); si mantiene costante, ma elevata (15,6%), la quota di popolazione che presenta comportamenti a rischio nel consumo di bevande alcoliche.
In sintesi. Il recente rapporto BES conferma la preoccupante tendenza che si è stabilita nel nostro Paese e che vede il continuo aumento di soggetti che per diversi motivi rinunciano alle cure. È un fenomeno che va approfondito, sia per capire meglio le ragioni che lo provocano sia, soprattutto, per individuare politiche ed iniziative indirizzate verso il suo contrasto.
Passato l’effetto pandemico, e scontando il fatto che alcuni risultati del BES sono sicuramente stati condizionati dalle turbolenze che la pandemia ha provocato negli indicatori valutati, torna ad aumentare la lunghezza media della vita, allungamento che si accompagna però, in particolare nella popolazione più anziana (sopra i 75 anni), con la presenza di multi-cronicità e con una diminuzione della speranza di vita alla nascita in buona salute.
Un argomento che da qualche tempo ha trovato dati sulla salute anche nel nostro Paese riguarda le differenze sociali, lette nel rapporto BES attraverso il titolo di studio: tutti gli esiti sanitari sono più sfavorevoli nella popolazione con titolo di studio più basso. Ma non sono solo le differenze sociali a creare eterogeneità in campo di sanità e salute: altrettanto evidenti sono le eterogeneità legate al territorio, con le Regioni del Sud che nella maggioranza degli indicatori misurati si trovano svantaggiate.
Da ultimo merita un commento il tema delle abitudini di vita, in particolare perché fanno molta fatica ad indirizzarsi verso comportamenti più virtuosi dal punto di vista della salute. Anche in questo caso il fenomeno va approfondito al fine di individuare quelle iniziative di prevenzione che più possono risultare efficaci.
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