La pubblicazione avvenuta pochi giorni fa da parte del Ministero della Salute delle valutazioni sulla erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) riferiti all’anno 2022 (Lispi L., e coll: Monitoraggio dei LEA attraverso il Nuovo Sistema di Garanzia – Relazione 2022. Ministero della Salute, 2024), al di là delle molte reazioni e commenti che ha suscitato e continua a suscitare a proposito dell’elevato numero (8) di regioni che sono state bocciate, dei peggioramenti delle valutazioni rispetto all’anno precedente, e della dislocazione geografica delle regioni che sono insufficienti nella erogazione dei livelli essenziali, dice sostanzialmente una cosa: la macro area dove è massimo il numero di regioni che risultano inadempienti (7 con valore dell’indicatore inferiore a 60) è quella della prevenzione, e questo risultato non è una novità della più recente valutazione, ma si ripete da diversi anni. E non è solo un problema di inadempienze di alcune regioni perchè tra quelle promosse solo 4 superano il punteggio di 90, il che significa che oltre al molto che c’è da fare per diventare almeno sufficienti nell’erogazione dei LEA c’è molto da fare anche per tutte le altre regioni. Diventa inevitabile allora proporre qualche ulteriore informazione ed anche qualche commento.



Sono 16 gli indicatori utilizzati per misurare l’erogazione delle attività di prevenzione collettiva e sanità pubblica, e 7 di questi (riferiti a: coperture vaccinali nei bambini, controlli sugli animali e sugli alimenti, stili di vita, copertura degli screening oncologici) rientrano nel cosiddetto sottoinsieme “CORE” che dà luogo alla valutazione di adempienza (o meno). Per quanto riguarda il 2022 così il rapporto del Ministero sintetizza i loro risultati: “gli indicatori relativi alle coperture vaccinali nei bambini non presentano valori ottimali nella maggior parte delle Regioni (può aver inciso il passaggio alla fonte informativa Anagrafe Vaccinale Nazionale – AVN). L’indicatore relativo ai controlli sugli animali risulta superiore alla soglia di sufficienza in pressoché tutte le Regioni e mediamente in miglioramento rispetto al 2021. L’indicatore relativo alla copertura delle attività di controllo degli alimenti risulta critico in Campania e Valle d’Aosta e in peggioramento rispetto all’anno precedente in diverse Regioni. L’indicatore sintetico sugli stili di vita risulta critico nella parte meridionale dell’Italia e mediamente in lieve peggioramento rispetto all’anno 2021. Gli indicatori di copertura degli screening oncologici sono essenzialmente stabili, sui valori di copertura già registrati nelle annualità precedenti (mediamente inferiori al 50%), con un’alta variabilità interregionale e situazioni di maggiore criticità in tutte e tre le campagne nelle Regioni del Centro-Sud”.



Ma non c’è solo la valutazione LEA a mettere in croce la prevenzione: se lasciamo per un attimo lo sguardo regionale e lo alziamo a livello di nazioni europee grazie ai dati di Eurostat, avevamo già evidenziato come rispetto alle altre nazioni del nostro continente c’è molto da fare, ad esempio, per aumentare la partecipazione agli screening oncologici, per ridurre l’inquinamento atmosferico, per diminuire l’abitudine al fumo, per incrementare l’attività fisica e per dare una aggiustatina alla dieta aumentando il consumo giornaliero di frutta e verdura.

E pensare che proprio nel nostro paese e nel lontano chiudersi del XVII° secolo ha visto la luce, ad opera di un grande medico modenese universalmente riconosciuto come il padre fondatore della medicina del lavoro, la massima che “prevenire è meglio che curare” (Bernardino Ramazzini: De Morbis Artificum Diatriba, 1700), espressione sostanzialmente condivisa da tutti ma che con un commento irriverente ma arguto (se consideriamo le attività individuali che dovrebbero supportare la massima ramazziniana) un amico ha tradotto polemicamente scrivendo “Che scocciatura … la prevenzione?”. Ed è proprio così: a parte quelli (pochi?) che sono ideologicamente contrari ad alcune pratiche preventive (si pensi alle questioni anche recentemente poste dai no-vax sul tema delle vaccinazioni), ci si lamenta quando la prevenzione dovrebbe essere esercita a livello di società (di popolazione) e ciò non viene fatto (o non viene fatto nella misura ritenuta adeguata) dagli enti competenti (centrali, regionali, locali), ma quando le attività di prevenzione toccano a noi singoli individui (smettere di fumare, smettere o ridurre il consumo di alcol, seguire una certa dieta, svolgere attività fisica, aderire a proposte di screening, ridurre l’inquinamento, …), e costano ovviamente sacrificio, la musica cambia e si trasforma in scocciatura (non volendo pensare che anche in questo caso entrino in gioco l’ideologia o quella che appare come una insofferenza verso la supposta limitazione delle libertà individuali).



Mentre i benefici della cura (quando ci sono) appaiono immediatamente visibili e valutabili, sia a livello del singolo (soprattutto) che a livello di popolazione (vedi il caso delle malattie infettive), i benefici della maggior parte delle attività di prevenzione sono difficilmente percepibili nel breve ed emergono generalmente a distanza quando o la prevenzione l’hai fatta oppure è troppo tardi per rimediare. E probabilmente questa lunga latenza tra il momento della azione preventiva ed il momento della sua riscossione in termini di risultato, soprattutto sulla popolazione, è uno degli elementi che non stimola le amministrazioni competenti ad agire: i risultati del grande impegno di alcuni, oggi, viene riscosso in termini di consenso da altri domani.

Eppure ci sono fior fior di piani nazionali di prevenzione, e diverse regioni ne hanno poi fatto anche delle specifiche declinazioni locali. Non è questo il luogo per entrare in una discussione di dettaglio sulle iniziative proposte o per esaminare quanto di ciò che viene scritto nei piani sia stato poi effettivamente realizzato (poco in alcune regioni, sia secondo la valutazione LEA che secondo gli indicatori di Eurostat): qui è necessario però ribadire (come già anticipato) che la prevenzione ha sempre due aspetti, uno che riguarda le popolazioni e le attività che devono essere erogate dalle amministrazioni (norme da rispettare, campagne ed iniziative formative, organizzazione di screening, disponibilità di vaccinazioni, contrasto ai comportamenti inadeguati, controlli da effettuare, …), e che sono poi quelle che vengono misurate dai diversi indicatori messi in campo (vedi LEA), ed un altro che riguarda i comportamenti individuali (abitudini di vita, adesione agli screening ed ai programmi vaccinali, rispetto individuale di norme e raccomandazioni, …), sui quali le amministrazioni possono intervenire (disposizioni, informazioni, educazione, …) ma che è più difficile far entrare nei percorsi valutativi, soprattutto in termini di conseguenze, e dove l’esito dipende sostanzialmente dalle responsabilità personali.

La particolarmente scarsa attenzione alla prevenzione in alcune regioni è forse legata ad un problema di risorse? Premesso che le risorse contano sempre perché, come ricordava frequentemente uno dei direttori della clinica dove ho lavorato, “non si fanno le nozze con i fichi secchi”, e che è sempre meglio metterne di più che di meno (però bisogna averne di più per metterne di più, oppure toglierle ad altro), ma osservato anche che le risorse per la prevenzione sono assegnate dallo Stato alle Regioni con lo stesso criterio (anche se per taluni tale criterio merita di essere discusso), il fatto che alcune regioni siano adempienti (anche se con diverso livello dei risultati raggiunti) ed altre non lo siano fa pensare che il differente risultato non vada attribuito al problema delle risorse ricevute quanto piuttosto alla loro gestione ed alle decisioni di intervento prese dalle singole amministrazioni regionali.

Ancora una volta, e di fronte ad un argomento più specifico (la prevenzione individuale e collettiva), emerge come le valutazioni delle politiche sanitarie (e tale si configura la valutazione LEA appena condotta) se non vogliono rimanere un puro ed elegante (o meno) esercizio di stile devono prevedere delle conseguenze rispetto ai risultati che emergono. Non solo, ma se da una parte è comprensibile la preoccupazione di chi ci governa per via della lunghezza delle liste di attesa (con la conseguente necessità di adottare adeguati provvedimenti), dall’altra è opportuno anche ricordare (sempre a chi ci governa) che è inaccettabile la grande quantità di regioni che sistematicamente trascura (è inadempiente verso) le attività di prevenzione.

 

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