In questi giorni si moltiplicano gli appelli all’abolizione o alla mitigazione degli effetti della legge che impone alle imprese produttrici di dispositivi medici di rimborsare quote consistenti degli sforamenti di spesa cumulatisi nel corso degli anni di applicazione della stessa cosiddetta payback. Non mi interessa entrare nel merito della dinamica delle parti in causa e neanche entrare nella polemica di come mai il governo non abbia tenuto in considerazione nel progetto della manovra di bilancio questa pur rilevante problematica, che cuba più o meno quanto la variazione in aumento prevista per quest’anno al Fondo Sanitario Nazionale, tanto per dare un’entità di grandezza del tema. Ma vorrei invece soffermarmi, da cultore della materia sanitaria ed economica, sulla pericolosità di calcolare tetti di spesa su singole voci di bilancio nei rapporti tra Stato e Regioni ed anche nei rapporti tra Regioni e singole aziende sanitarie.
La pericolosità risiede nel fatto che ragionamenti di questo tipo, al posto di agire sul governo strategico ed intelligente della spesa, determinano risultati contrari rispetto alle motivazioni che li hanno originati anche perché sono disancorati dalla valutazione complessiva degli effetti che questi interventi, miopi, producono nella modalità di applicazione. Chi ha detto che introdurre un tetto su un dispositivo medico alla fine produca una minor spesa per il sistema? Dipende: se si tagliano costi che hanno effetto su esiti di salute è invece probabile che il sistema registri un incremento di altre spese e sicuramente di esiti sfavorevoli di salute sui pazienti.
Se ad esempio riduciamo il costo di impiantabili per il sistema cardiocircolatorio magari andando a tagliare i costi di quei devices che possono avvertire pazienti e medici curanti di potenziali scompensi cardiaci da remoto, oltre a fare un danno ai pazienti, probabilmente ci troveremo con una maggiore spesa ambulatoriale e di ricovero a causa di maggiori accessi in Pronto soccorso. Chi ha fatto allora il calcolo della spesa complessiva derivante dal taglio? Ma siccome si insiste su righe diverse di contabilità Stato-Regioni e su diverse righe del bilancio delle singole aziende sanitarie, allora questo corretto ragionamento di valutazione dell’effetto complessivo non si fa. Si limita il ragionamento a quello della singola dimensione di spesa. Più semplice, ma molto pericoloso. Anzi se siamo in presenza di un aumento di 28 San o di DRG plaudiamo perché si stanno recuperando livelli di produzione senza capire che l’origine di questo aumento può essere indotta da un taglio di costi. Paradossale, non credete?
La questione centrale risiede invece nella capacità di valutazione dell’effetto complessivo di certe scelte che poi condizionano la salute dei pazienti ed i bilanci delle aziende. Non bisogna ragionare sulle singole righe ma soprattutto sull’ultima riga, che non è l’utile, come ci insegnano in economia aziendale, ma l’esito di salute sul paziente. Il famoso outcome. Diversamente rischiamo di perdere di vista completamente l’obiettivo complessivo e portare, come tra l’altro è successo, tutto il sistema fuori dall’equilibrio complessivo economico.
In altre parole, stiamo traslando, con le logiche attuali per singola riga o dimensione, una categoria di spesa da una riga all’altra senza definire quale sia la spesa utile per il bene dei nostri pazienti. Va cambiata l’impostazione e come ricordavo in un altro articolo definire un budget complessivo di spesa per patologia che consenta alla fine di evitare o perlomeno ridurre i fenomeni acuti. Scopriremo che per molti di questi dispositivi non va diminuito l’utilizzo ma aumentato. Per questo motivo, nel mio piccolo, ho promosso sempre ai miei capi dipartimento budget che mettevano in relazione spesa, produzione ed esiti. Guardare solo alla spesa, o alla produzione separatamente, porta a gravi problemi di salute ma anche di borsa.
Adottare questa impostazione è sicuramente più complicato e sfidante, ma è quello che serve in sanità, diversamente non solo si distrugge valore ma si perde di vista la sostenibilità complessiva. Bisogna definire per ognuna delle principali patologie, a partire da quelle croniche più ricorrenti (sappiamo che il 75% della spesa si concentra sulle prime 7-8 patologie croniche) un budget di salute e un costo standard associato a un obiettivo di salute, come ad esempio la riduzione degli accessi per fenomeni acuti derivanti da mancata presa in carico, e definire quale sia la spesa per dispositivi medici e trattamento farmacologico che sia coerente con questo esito.
Ci sorprenderemmo, sono sicuro, nello scoprire che non solo spenderemo di meno, perché selezioniamo meglio su cosa spendere, ma che migliorano gli esiti per i nostri pazienti. Non è questo il motivo per cui si fa sanità? Non è questo il significato di valore che ci ha insegnato Porter? La capacità di una azienda o di una regione di generare esiti migliori sui pazienti va poi premiata attraverso una distribuzione delle risorse che riconosca anche i risultati di salute e non sia solo ripartita sulla base di quote capitarie del Fondo Sanitario Nazionale o di budget storici assegnati alle singole aziende del territorio.
Premiare di più chi garantisce migliori esiti. Siamo lontani anni luce; per ora invece distribuiamo soldi sulla base di ragionamenti di proporzione della popolazione e poi tagliamo su base lineare. Senza uno stimolo di qualità non esiste miglioramento e non ci sono fondi che tengono. I meccanismi di governance dei bilanci delle aziende sanitarie, in questo momento, non tengono in nessuna considerazione la correlazione esito/ricavo/costo e si limitano a registrare questi fenomeni su singole voci che non vengono mai vissute dal management come leve di indirizzo strategico, ma al massimo come vincoli amministrativi. ll bilancio non è solo uno strumento amministrativo, ma deve rappresentare una leva gestionale e strategica di indirizzo e di miglioramento della salute per i cittadini. Ma dobbiamo cambiare logiche. Sempre che si voglia sopravvivere.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.