Parlando di sanità, non c’è un programma elettorale di qualsiasi partito, grosso o piccolo che sia, che corra per il governo nazionale o per quello regionale, che non metta tra i suoi principali obiettivi la soluzione (o per lo meno il governo o il contenimento) del problema dei lunghi tempi di attesa per l’accesso alle prestazioni sanitarie, in particolare (ma non solo) le prestazioni specialistiche ambulatoriali. Non è da oggi che se ne parla ed il problema sussiste a prescindere dal colore delle amministrazioni che si succedono, e tutte le volte viene proiettato lo stesso film. Chi è al governo propone delle iniziative; chi è all’opposizione le critica perché inadeguate o insufficienti; ma al giro di sedia il fenomeno si ripete: stessi argomenti ad attori invertiti.
Questo stato delle cose fornisce molte indicazioni. Innanzitutto conferma che il problema c’è, è serio, e preoccupa molto i cittadini. Poi ci dice che la sua soluzione è piuttosto difficile, considerati i diversi e numerosi tentativi effettuati, locali o più generali, che a giudicare dagli esiti insoddisfacenti non sembrano ancora avere preso il toro per le corna: una soluzione sicura all’orizzonte non si vede. Con molta probabilità le cause che portano ai lunghi tempi di attesa sono molteplici e diverse e non è chiaro come interagiscano tra di loro: c’entrano le risorse (uomini, fondi, spazi, …), c’entra l’organizzazione (strumenti, aperture, …), c’entrano sia i prescrittori che gli erogatori di prestazioni, c’entrano le regole di prescrizione (priorità e dintorni), c’entrano i bisogni (le loro caratteristiche, le loro variazioni, …), c’entrano la medicina difensiva e l’inappropriatezza, c’entrano le iscrizioni contemporanee in più liste e le mancate cancellazioni, c’entra la scarsa disponibilità di strumenti tecnologici adeguati (CUP unificati, ad esempio) in sede di prenotazione della prestazione; e si potrebbe andare avanti per pagine e pagine a mettere in fila argomenti più o meno rilevanti ma tutti che partecipano a rendere molto complessa la questione.
Sono quindi meritevoli almeno di menzione e considerazione quelle amministrazioni che, con ragioni serie, provano a farsi avanti con proposte, consapevoli che si espongono al rischio di insuccessi e fallimenti.
È per questo che è degna di segnalazione la recente delibera n. 2224 del 22 aprile 2024 di Regione Lombardia con oggetto “Ulteriori determinazioni in ordine al contenimento dei tempi di attesa per le prestazioni di specialistica ambulatoriale previste nel PNGLA e per i ricoveri”, delibera che è solo l’ultimo di una lunga serie di provvedimenti (ho contato ben 11 deliberazioni tra il 2022 ed il 2024) sul contenimento dei tempi di attesa, il che da una parte ribadisce la difficoltà e complessità dell’affronto della materia, e dall’altra l’insistenza della Regione nel voler cercare di risolvere il problema.
Quali sono le azioni previste dal provvedimento? Tralasciando i dettagli e le iniziative minori, le proposte più rilevanti sono le seguenti. Ampliamento, a partire dal 6 maggio 2024, dell’orario di attività dei servizi ambulatoriali e di diagnostica, attraverso l’estensione della fascia oraria pomeridiana dalle 16 alle 20 e l’apertura al sabato mattina.
Le strutture pubbliche di erogazione dovranno effettuare (entro il 31 dicembre 2024) 4,1 milioni di prestazioni che fanno parte del Piano Nazionale di Governo delle Liste di Attesa (PNGLA), di cui 1,5 mln di prime visite; le strutture private accreditate ne dovranno effettuare 3,1 mln (di cui 1,2 mln di prime visite). Nella DGR sono indicate le quote di prestazioni per ogni ATS, e per le strutture pubbliche anche le quote delle singole prestazioni che dovrà erogare ogni Azienda.
Vengono messi a disposizione per queste attività di abbattimento delle liste di attesa 61 milioni di euro, 41 mln per le strutture pubbliche e 20 mln per quelle private accreditate. Quando la prescrizione è effettuata dai medici ospedalieri la prenotazione della prestazione dovrà essere garantita all’interno della struttura, così da favorire un percorso di presa in carico del paziente.
Prestazione per prestazione è stato definito un tempario con lo scopo di rendere efficiente l’utilizzo delle risorse. Tale tempario corrisponde ai “tempi più frequenti di esecuzione rilevati presso gli enti pubblici”, come ad esempio un quarto d’ora per una ecografia all’addome, 20 minuti per una prima visita di qualunque tipo (30 minuti per quella neurologica ed oncologica), 30 minuti per una risonanza magnetica, 40 per una colonscopia, 45 per una polipectomia dell’intestino crasso: si tratta ovviamente di indicazioni di massima e non di prescrizioni obbligatorie.
Tutte queste iniziative necessitano di monitoraggio, attività che è prevista e dettagliata nel provvedimento sia per quanto riguarda gli enti territoriali (ATS) che per quanto riguarda la regione (DG Welfare), a partire dai flussi informativi che sono stati previsti e da altri strumenti in preparazione (esempio: dashboard), monitoraggio che si prevede con frequenza mensile al fine di identificare prontamente eventuali criticità nei territori e garantire l’efficacia delle misure adottate. A parte le risorse messe in campo (61 mln di euro), l’ampliamento degli orari di apertura degli ambulatori, e la collaborazione pubblico-privato tipica del sistema lombardo, che sono in un certo senso iniziative che si possono considerare attese, almeno due sono gli aspetti innovativi del provvedimento.
1) Il tempario unico regionale, cioè l’indicazione di quanto tempo si dovrebbe dedicare alla erogazione di ogni singola prestazione. Il tempario è frutto di una rilevazione dei tempi avvenuta negli enti pubblici, ed è proposto come strumento da impiegare nella costruzione delle agende di prenotazione sia per le strutture pubbliche che per quelle private accreditate. È uno strumento che deve essere utilizzato secondo il concetto di tendenza media e non per misurare con il cronometro i comportamenti individuali.
2) La programmazione dettagliata del numero di prestazioni da erogare da parte di ogni azienda pubblica (il numero è indicato nella delibera). Per il privato accreditato il dettaglio si limita al totale di ogni ATS e non alle singole strutture di erogazione.
In termini programmatori si tratta di una svolta epocale per la Regione, che a quanto risulta non ha mai adottato nella sua storia una strategia di questo tipo. Ci aveva provato la Regione Lazio una ventina di anni fa, con riferimento alla sola attività di ricovero (e non a quella ambulatoriale) e nel contesto della stesura di un Piano Sanitario Regionale: il fatto che non se ne sia più parlato e se ne sia persa la memoria dichiara di fatto il fallimento del tentativo. Sarà interessante allora osservare cosa succederà in una regione come la Lombardia che non ha mai fatto della programmazione dettagliata delle attività (singole prestazioni) un punto di forza del proprio processo programmatorio in sanità.
Per chiudere il cerchio manca ancora almeno un elemento strumentale sostanziale, il CUP (Centro Unico di Prenotazione) unico regionale: le attività in proposito sono molte ma ancora sperimentali, con la previsione di una sua implementazione entro la fine del 2024 su una parte del territorio regionale ed in un sottogruppo di enti sanitari pubblici e privati.
Staremo a vedere se questo ulteriore tentativo di Regione Lombardia si rivelerà efficace (o almeno più efficace di altri) per risolvere (o per mitigare) un problema che sta molto a cuore ai cittadini, come i lunghi tempi di attesa per accedere alle prestazioni sanitarie (soprattutto specialistiche) all’interno delle strutture che fanno parte del SSN.
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