Quando frequentavo l’università e, tornato a casa, mia nonna (mentalità ed esperienza contadina) mi vedeva chino sui libri, soprattutto nella bella stagione non poteva rinunciare a scuotere, sconsolatamente, la testa perché anziché stare all’aria aperta stavo rinchiuso a studiare, il che sarebbe stato dannoso per la mia salute. Se però avesse potuto conoscere ciò che sto scrivendo, invece di scuotere la testa avrebbe probabilmente fatto (ne fosse stata capace vista l’età) salti di gioia.
Per chi segue la letteratura di merito, infatti, si può considerare acclarata l’esistenza di una relazione tra la condizione socioeconomica e lo stato di salute, relazione che dice che chi vive (appartiene ad) una situazione sociale (comunque misurata) sfavorevole va incontro ad esiti di salute (anch’essi comunque misurati) peggiori. Cambiano nei vari studi gli indicatori che misurano la condizione sociale e cambiano gli indicatori che misurano lo stato o gli esiti di salute, ma il risultato non cambia: chi è caratterizzato da una condizione socioeconomica svantaggiata presenta esiti di salute sfavorevoli.
Il recente rapporto di ISTAT sul benessere equo e sostenibile (BES 2023) ce ne offre una ulteriore prova a partire da dati che riguardano il nostro Paese, prendendo come misuratore della condizione socioeconomica il titolo di studio e come indicatore di esito di salute alcune caratteristiche della mortalità, come il tasso standardizzato per tumori, quello per demenze e malattie del sistema nervoso, e quello per mortalità evitabile.
Se può essere abbastanza semplice anche per il non esperto appropriarsi del concetto di tasso per una patologia (tumori, demenze, …), il concetto di mortalità evitabile (che può suonare come un ossimoro) necessita invece di qualche parola introduttiva. Si definisce mortalità evitabile quell’insieme di “decessi che potrebbero essere significativamente ridotti grazie alla diffusione di stili di vita più salutari ed alla diminuzione di fattori di rischio ambientali e comportamentali nonché grazie a un’assistenza sanitaria adeguata e accessibile” (così nel BES). In pratica la mortalità evitabile è costituita da un insieme predefinito di patologie o perché curabili o perché associate (causate) da alcuni fattori di rischio ambientali e comportamentali.
La tabella che segue riassume il cuore dei risultati proposti dal Bes (si tratta di tassi standardizzati x 10.000 residenti) stratificati in base al sesso ed al titolo di studio.
Tabella 1. Tassi standardizzati (x 10.000 residenti) di Mortalità: evitabile 30-74 anni, per tumori 30-64 anni, per demenze e malattie del sistema nervoso (sopra i 65 anni); per titolo di studio e genere. Anno 2020. Fonte: ISTAT, Rapporto Bes 2023.
La mortalità evitabile 30-74 anni vale circa 30 casi ogni 10.000 abitanti all’anno, ma questo valore scende a circa 20 decessi in chi ha una laurea o un titolo di studio superiore e sale invece a circa 40 per chi non ha nessun titolo o solo la scuola elementare. Questa eterogeneità di salute tra i titoli di studio è leggermente minore tra le femmine (14,7 e 26,9) ma si accentua ulteriormente nei maschi con un tasso di 25,9 x 10.000 tra i laureati e di 58,4 tra chi non ha titolo o solo la licenza elementare. In altre parole, i diversi fattori di rischio ambientali e comportamentali che sperimentano i soggetti con diverso titolo di studio portano i meno istruiti ad avere una mortalità che può essere evitata che è il doppio di quella che si riscontra nella categoria dei soggetti più istruiti, e se guardiamo i maschi (dove la mortalità evitabile è superiore a quella delle femmine) il gap è ancora più del doppio.
La differenza di mortalità evitabile non si riscontra solo mettendo a confronto le classi di titolo di studio più estreme ma cresce con regolarità dalla laurea (20,3) al diploma (26,4) alla licenza media (33,5) alla licenza elementare (39,6), sia nei maschi che nelle femmine. L’eterogeneità della mortalità nei livelli di istruzione si mantiene anche quando si scompone la mortalità evitabile nelle sue due classiche componenti, la frazione trattabile e quella prevenibile, con una accentuazione in quest’ultima della quota maschile (29,6) su quella femminile (11,0). Ma non è solo la mortalità evitabile che risulta differente tra le classi di titolo di studio: come esempio il rapporto BES presenta i dati anche per la mortalità per tumori 30-64 anni e quella per demenze e patologie del sistema nervoso negli ultra 65-enni. Nei primi (tumori), sebbene su tassi standardizzati minori, si ripropongono le stesse differenze osservate per la mortalità evitabile: 7,5 x 10.000 tra i laureati e 12,7 tra chi ha la licenza elementare, sempre con i maschi che presentano un gap superiore alle femmine ed una crescita regolare della mortalità al diminuire della classe di scolarità.
Nei secondi (demenze e patologie del sistema nervoso) rimane la differenza di mortalità evitabile tra i livelli di istruzione ma tra il livello più alto e quello più basso la differenza è attorno al 20% (30,6 vs 36,7) e con poca diversità tra uomini (31,4 vs 37,3) e donne (29,1 vs 35,8). Sempre il BES ci informa anche su alcuni dei motivi che sono all’origine di queste discrepanze di salute quando attesta che l’attenzione ai comportamenti più salutari (cioè quelli che portano ad una minore mortalità evitabile) è maggiore tra le persone con titolo di studio più elevato: eccesso di peso 34,3% vs 54,8%; sedentarietà 50,6% vs 17,9%; dove lo svantaggio è tutto a carico dei titoli di studio più bassi.
Il titolo di studio, preso come indicatore dello stato socioeconomico, fa quindi la differenza per quanto riguarda gli esiti di salute (mortalità evitabile e per specifiche patologie): più alto è il livello di istruzione e migliori sono gli esiti di salute che si sperimentano. Non è il basso titolo di studio di per sé che causa la maggiore mortalità, ma è ciò che il basso titolo di studio si porta dietro in termini di diffusione di stili di vita meno salutari, di maggiore esposizione a fattori di rischio ambientali e comportamentali, nonché di assistenza sanitaria meno adeguata e accessibile. Il gap tra le due classi di titolo di studio più estreme è molto elevato (il doppio di mortalità, anche se non per tutte le patologie) e vede i maschi in posizione più sfavorevole rispetto alle femmine, sia per quanto riguarda le patologie legate agli stili di vita ed ai fattori di rischio ambientali e comportamentali (mortalità prevenibile) sia per le patologie legate invece alla accessibilità ed adeguatezza della assistenza sanitaria (mortalità trattabile).
Il tutto perché nelle classi di istruzione più basse ci sarebbe meno attenzione (volontaria o involontaria) ai comportamenti virtuosi che portano ad una mortalità evitabile inferiore e perché ci sarebbe maggiore difficoltà ad accedere ad una assistenza sanitaria adeguata. E quindi? Povera nonna! Aveva ragione su molte cose, ma sul tanto studio, che riteneva dannoso per la salute, non per colpa sua si sbagliava proprio.
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