Le poltroncine vuote dell’Ariston sono state riempite con dei palloncini colorati e di varie forme. Nemmeno gli organizzatori del Festival di Sanremo sono riusciti a sostenere una seconda serata con l’immagine desolante, per quanto necessaria, di un teatro privo di pubblico, immagine che costringeva Fiorello a fare battute poco eleganti su quella situazione. L’assenza del pubblico è insuperabile, ma la tristezza di un teatro senza gente lo è di più. Tra l’altro lo stesso spettacolo musicale e televisivo cambia senza un referente, senza qualcuno che restituisce agli artisti qualcosa dell’energia che esprimono e al secondo tentativo qualcosa migliora nel meccanismo, soprattutto nella scioltezza dei conduttori (oltre ad Amadeus e Fiorello, stavolta c’era Elodie), per quanto resti sempre quel sentore fuori luogo, quel rimbombo che in qualche modo ricorda sempre il mondo fuori.



La seconda parte dei cantanti in gara ha ovviamente rivoluzionato la classifica della prima serata, Annalisa scende in seconda posizione, sostituita in vetta da Ermal Meta che in un anno di corposo ricambio generazionale, non tanto per l’età quanto per il genere musicale (indie pop e hip-hop/trap), fa centro presso il pubblico con la canzone sanremese adatta ai tempi, piano e archi, e quel tono melodico che non è sfacciato e nemmeno innovativo, in zona midcult.



Il caso della serata, ossia Irama (due suoi collaboratori sono positivi al Covid e quindi, costretto alla quarantena, non si è potuto esibire: con uno strappo al regolamento è stato consentito mostrare il video della prova generale), raggiunge il secondo posto di serata e il terzo generale, avendo potuto usufruire della pubblicità gratuita e del rischio di squalifica, ma ha anche portato un pezzo molto migliore del previsto, moderno e coinvolgente, baciato dall’ottimo lavoro musicale di Dardust che si rivela l’autore dell’anno avendo firmato altre quattro canzoni quest’anno, tra cui quella de La rappresentante di lista, per chi scrive la migliore della seconda serata.



Sempre sull’onda di un certo conservatorismo il terzo posto di Malika Ayane (quarto in generale), con un brano furbo, disco music morbida, accarezzata dalla sua voce, adatto a tutte le stagioni. Ci si aspettava molto di più dalla classifica di Bugo, dopo il clamore mediatico della rottura con Morgan in diretta lo scorso anno, è finito ultimo assoluto, ma suona come quegli ultimi posti di Vasco e Zucchero – senza fare raffronti artistici -, che va quasi a premiare un pezzo solido e convincente, arrangiato e concepito con intelligenza verso il pop d’autore (ma Sincero era un’altra cosa).

Altrettanta delusione per Orietta Berti, penultima con un brano che sembra davvero uscito da un’altra epoca, in cui lei ha potuto dare sfoggio di una certa classe, ma che non è bastato a dare corpo a un brano in cui le ragnatele sembrano aver sovrastato le eleganze musicali. Le sorprese sono mancate, anche perché il caos organizzato de Lo stato sociale – che si sono esibiti senza cantante, rinchiuso in una scatola – non è supportato dalla canzone e fa rimpiangere, non diciamo i supremi Elio e le storie tese – ma anche Francesco Salvi o Gli statuto.

Tra i molti neofiti che hanno svecchiato – forse, quasi – il suono del Festival, il gioco alla conservazione e la paura hanno avuto la meglio sulla rivoluzione, ma è normale specie in un anno simile, e quasi tutti, da Random a Fulminacci fino agli Extraliscio hanno portato dei pezzi che potessero fungere da biglietto da visita per un pubblico che non li conosceva, l’unico però ad aver fatto un po’ breccia sembra essere Willie Peyote, con un rap alla Daniele Silvestri.

Le nuove proposte seguono lo stesso principio: Davide Shorty e Wrongonyou passano in semifinale rispettivamente con un pezzo soul di quelli aperti e funzionali, buoni per cantare e la radio, e con una ballata pop che più sanremese non si potrebbe. D’altronde, da una serata che celebra Laura Pausini e il suo Golden Globe, Marcella Bella, Fausto Leali e Gigliola Cinquetti, in cui Il volo canta Morricone non ci si può aspettare qualcosa di diverso: la ricerca, attraverso i cantanti in gara, di un pubblico che Sanremo non l’ha mai visto (il che spiega il parziale flop della prima serata) va compensata con degli appigli per il pubblico più maturo o anziano, più tradizionale.

In quest’anno come nessun altro, serve consolazione, serve allegria e sicurezza, serve la musica leggera o leggerissima, servono i palloncini. L’impresa è improba, anche per Sanremo, eppure il rituale può essere più forte di una pandemia, almeno a livello sociale.